Spunti e appunti su un progetto di sistema

Luca Giannini

PRIMA SEZIONE

Evoluzione della negazione che è essere in Hegel – chiarimenti del passaggio aporetico: essere-nulla-divenire. Ossia metacritica alla critica della negazione come astratta della negazione assoluta nella logica dell’essere a partire dal “Commentario della logica dell’essere” di André Leonard

Nella presente Prima Sezione del progetto di ricerca si tenta di esporre come ipotesi di studio, rispetto alle ultime interpretazioni sul tema della Negazione nella Logica Hegeliana a partire dal “Cominciamento”, come: non sia il Pensiero che si avvale del senso della negazione e contraddizione basato su di una illegittima e regressiva ontologizzazione reificazione del linguaggio che produce una negazione assoluta, ma al contrario che si tratti di una ri-messa in gioco attiva e performante dell’autocoscienza assoluta (in quanto Sostanza come da esito Fenomenologico) che si scopre dover di nuovo uscire fuori da se nella considerazione di superare il momento ancora mai veramente tolto ma solo rimosso dell’altro come universalità e totalità e dell’altro come oggettività o Essere.

A partire dalla tesi di A. Leonard per la quale l’intelletto è ancora subdolamente presente nella stessa struttura logica-ontologica del sapere assoluto, si intende approfondire attraverso una scientifica disamina che non agisca più in un senso orizzontale (cioè fenomenologico), ma verticale (di sé con sé, in quanto Pensiero che pensa se stesso). Così non offrendosi nel Cominciamento, una regressiva e illegittima ontologizzazione del concetto della negazione-contraddizione in senso reificazionale, non emergerebbe neppure il senso di una valenza dissolutivo-sistematica in termini ontologizzanti così da “produrre” una negazione assoluta che viene incondizionatamente fissata come non-essere o pura negazione. Ed inoltre la negazione non sarebbe tale di per sé solo perché irrelata da qualcosa di determinato, ma in quanto tale ontologizzazione avverrebbe perché la stessa negazione è certo non riferita ad alcunché di determinato, ed è certamente concepibile come negazione incondizionata e autoriflessiva, ma in quanto l’autocoscienza stessa si porrebbe come una Unitotalità che costringerebbe di nuovo a dubitare della sua stessa struttura Assoluta (sapere assoluto), ed Incondizionata, poiché mai veramente superato (ma solo rimosso) sarebbe stato il problema rappresentato dalla stessa struttura ad unitotalità dell’Intelletto, e di conseguenza dell’essere fuori di sé. Poiché appunto in quella duplice condizione il Concetto era già presente ma non ancora esplicitato all’inizio della sua coopresenza, assieme, all’intelletto, così da risultare dimentico di se stesso nei primi due momenti della dialettica (cioè il primo momento: astratto-immediato, ed il secondo: dialettico-negativo) E per questo si devono riannodare le fila e ripartire a ritroso dal primo momento dialettico, cioè di nuovo il pensare l’unitotalità, in quanto Essere assoluto, che è nella Logica il pensiero che pensa se stesso. Per ripercorrere appunto di nuovo a ritroso e a cose fatte quei momenti che nella Fenomenologia dello Spirito, l’Assoluto, in quanto Saper-si Assoluto non era esplicitamente presente, riappropriandosi così di quei due primi momenti che, pur essendo momenti dello Spirito, tuttavia “trascendevano” il Concetto.

 Ciò spiegherebbe anche il passaggio problematico del cominciamento in cui l’Etwas non è da recuperare prima o dopo ma è da produrre all’interno stesso dell’autocoscienza: l’Etwas non è anticipato rispetto al Dasein, ma il Nulla che è, è il risvolto stesso proiettivo quindi non reale ma sovradeterminato come funzione sovradeterminante dell’autocoscienza stessa in quanto autocoscienza assoluta come da esito Fenomenologico. Il Nulla che si autopone come Essere, non sarebbe semplicemente un’incongrua anticipazione dell’Etwas in quanto Dasein ma è il Risultato di un’Autocoscienza Assoluta (come epilogo della Fenomenologia dello Spirito) che, in quanto Sapere Assoluto, pensa il pensiero con accentuazione del valore logico-predicativo del Nulla assoluto (che prima era riferito a figure esperienziali-fenomenologiche), in quanto le figure determinate sono state “consumate” nel pensiero che pensa se stesso, ma senza giustificare la reificazione dell’autoriflessività a valenza logico-predicativa e metafisica inadeguata (da qui la critica mossa ad Hegel di “sistema chiuso”), ma viceversa evidenziando l’esigenza di una Sostanza che emerge dopo l’esito Fenomenologico, come assoluta che non può non rivedere in chiave “critica” il proprio aspetto “Unitarista” ed “Identitario con sé” (quindi sostanziale-metafisico), non potendo più surrettiziamente “affidarsi” a ciò che tale Sostanza è infine divenuta: ovvero Sapere Assoluto. Poiché invero i primi due momenti del dialettico (astratto intellettuale e dialettico negativo razionale) non sono mai stati esplicitamente “governati” dal Concetto. Quest’ultimo è certo trama, e filigrana di ciò che avviene in superficie. Ma appunto in “superficie” avveniva che operava l’Intelletto. Così ora il Sapere Assoluto deve riconquistare il “Negativo” come marcata presenza mai veramente oggettivata ed esplicitata poiché obnubilato dalla stessa compresenza della negazione dell’intelletto. E solo con la assolutizzazione della Negazione si comprenderà che il Negativo dell’Intelletto è la Negazione del Concetto o Idea. Quindi l’Assoluto ora con la Logica deve fare luce su quel cono d’ombra, su quella sua propria presenza-assenza risalenti a quei due primi momenti della dialetticità. La reificazione del nulla a livello logico-predicativo, accade non per la decisione di Hegel dunque per un massimo di astrazione metafisica, ma perché v’è una sorta di re-duplicazione dell’Assoluta Autocoscienza (mutuata dalla dinamica della coscienza naturale e non più in un senso di critica Trendelemburghiano) del carico-scarico di forze tensionali nel ciclo rimozione-spostamento-proiezione di tutto il pensiero che pensa se stesso, e con la connessione al processo di alienazione-estraneazione o scissione e reificazione che questa volta si sprigiona verticalmente ed all’interno della stessa dimensione noetica dell’autocoscienza assoluta. Così il Sapere Assoluto stesso produce una sorta di surplus sovradeterminato ed estraniato in se stesso, poiché esso deve poter vagliare la propria posizione, non più nelle stazioni dello spirito e nella propria dimensione particolare-naturale o sovraindividuale pratico-politico-storica, ma appunto da un punto di vista del Sapere Assoluto. Esso deve riaprirsi a se stesso, poiché non ha mai veramente metabolizzato i due momenti che l’hanno preceduto: ossia i primi due momenti dell’Intelletto. Infatti nel primo e secondo momento del dialettico, e nel momento dell’Essere che è unità di Pensare ed Essere, rimane sullo sfondo come celata la dimensione propria di Totalità che il Sapere Assoluto ha sempre mutuato dall’Unità con se come categoria “reale” dell’Intelletto. E che il Sapere Assoluto non ha mai veramente ricompreso esplicitamente come proprio: ossia il Concetto è da sempre anche Intelletto ma a livello Fenomenologico mai veramente in questo esplicitatosi. Questa presenza-assenza del Concetto nei pressi dell’Intelletto, deve ora essere certificata in maniera deittica dall’Assoluto stesso. Dato che l’esito di una Sostanza Assoluta deve essere il Risultato di mancanza totale di sedimentazioni e incongruenze tra Soggetto ed Oggetto, e quindi presenza assoluta di sé con sé nell’oggettività: tale trasparenza come Risultato con sé non ci sarebbe, poiché viziata a partire dai due momenti iniziali del dialettico (astratto intellettuale e dialettico negativo razionale), che ne avrebbero ab intra “sporcato” l’integrità. Quindi ora solo con la Logica è possibile escludere ogni tipo di “reflusso” intellettualistico. Ed essere compresente in modo chiaro e conclusivo in quella dimensione l’Unità di soggettivo ed oggettivo senza alcun diaframma. Ed è proprio per questo che Hegel riapre una “circolarità” assoluta dovendo attuare in sé e per sé la reificazione del nulla, come Negazione che è, affinché l’Essere ricoincida asseverativamente con la potenza del negativo come atto del divenire ed insieme dell’essere. Quindi, ad avviso di chi scrive, il secolare dibattito Trendelemburghiano, per cui nel cominciamento si anticipa la categoia dell’Etwas, non è da intendere (come comunemente è stato inteso) come ciò che anticipa incongruamente la categoria del Dasein che viene dopo, ma il Nulla che è, è preso dalla Rimozione dell’Unità assoluta Soggetto-Oggetto dell’Autocoscienza Assoluta che proietta in sé il dato o categoria dell’Universale reificato nella negazione assoluta in quanto Nulla. Così la Reificazione avviene non su di un dato mutuato da una qualche idea di “sensibilità” esperienziale, ma è la stessa sovradeterminazione universale in quanto derivata dall’atto stesso del pensiero come negazione assoluta che investe di sovradeterminazione se stessa come atto reale. Ma con ciò nega il proprio stesso negare che non aveva prodotto proprio nella fase realmente empirico-fenomenologica la vera ri-comprensione di un sé da sé del momento dell’Essere e del divenire (cioè primo e secondo momento del dialettico).

Quindi la negazione assoluta viene qui inadeguatamente ontologizzata ed entificata, ma invero quest’azione di reificazione non è da attribuirsi al significato ed ad un giudizio, nei confronti della Logica hegeliana, vista come opera metafisica del pensiero conclusivista di Hegel, ma contrariamente: essa (negazione assoluta-reificata) è l’indice di una messa a tema delle criticità del Sapere Assoluto da parte del Nostro, poiché Hegel stesso vi si riferisce come ad un ultimativo e radicale Dubbio: ossia di nuovo messa in discussione dell’Unità con sé di Universale e Particolare dello stesso Sapere Assoluto. Quell’unità è tale in quanto risultato della negazione della negazione (dall’esito fenomenologico) ma sorto e “accompagnato” in controluce dai due momenti del dialettico nel quale il Saper Assoluto pur presente non era ancora attuato ed esplicitato. Quindi Hegel non scriverebbe la Scienza della Logica, per un’esigenza di astrazione massima. In verità Hegel compulsa la Logica poiché deve togliere l’ultimo dubbio radicale che insisterebbe nell’assoluto stesso come cono d’ombra: che è quello derivante dai primi due momenti del tema della logicità della dialettica. Per togliere questo dubbio atroce: che l’intelletto possa avergli fornito incosciamente la forma dell’assoluto in quanto Unitotalità in quanto forma del sapere assoluto o momento positivamente razionale, deve riattivare tutta una serie di processualità logiche: quindi astrazioni, categorie etc, dovendo in primo luogo affondare la propria azione,in modo assoluto, sulla Negazione Assoluta a valenza dissolutivo-predicativa massima (quindi una negazione non più riferita a figure determinate e ricche del reale, ma irrelata appunto in quanto autoriferimento a se come valenza assoluta a se dove il processo dinamico è l’atto stesso del pensare, ebbene tutto ciò affinché il Pensare che pensa se stesso si sganci risolutivamente da qualsiasi contaminazione fisico-intellettualistica (sventando l’atroce dubbio se esso Intelletto sia ancora una presenza minima, ma subdola e dormiente inconsciamente presente anche se disattivato nell’Assoluto stesso) e proprio per questo l’azione della negazione assoluta ed irrelata è il Pensiero che pensa se stesso che deve poter verificare se dietro quell’unità compatta del Sapere Assoluto (esitato dalla Fenomenologia dello Spirito) vi sia il dubbio che l’idea Intenzionale o Inintenzionale (questo per dire che il concetto di Unitotalità con sé è persino per l’Intelletto stesso un enigma, poiché esso mira all’Universalità spontaneamente) in quanto Assoluto o Totalità dell’Intelletto surrettiziamente non sia scivolata e subdolamente celata al centro dello stesso cuore propulsivo del Sapere Assoluto o Idea o Concetto come esito non già dell’automovimento autonomo ed assoluto del Pensiero che pensa se stesso, ma come l’impronta o effetto collaterale dell’azione dell’Intelletto stesso in quanto tensione all’Unità. Cercando di capire semmai se e come l’intelletto si sia mascherato da Concetto.

SECONDA SEZIONE

Capovolgimento della negazione in “astrazione” e “Charakter Maske” nel pensiero “capitale” di Karl Marx e nei rapporti socio-economici del post-moderno

Scrive Marx ne Il Capitale: «Le persone esistono solo come maschere economiche. E, solo come personificazioni di rapporti economici, esse trovano l’una di fronte all’altra».

La crisi ha messo a nudo la grande questione del lavoro. Marx messo in soffitta rispunta drammaticamente a ricordarci che il lavoro che diviene alienazione può distruggere l’uomo, il lavoro che ha come fine solo il profitto crea alienazione, l’uomo diviene un’altra cosa da sé. Ma anche la sua mancanza riduce l’uomo a cosa.

Marx nell’Ottocento e Heidegger nel secolo scorso (due filosofi dalle idee politiche radicalmente opposte) segnalavano la progressiva riduzione dell’uomo alla sua funzione “mercantile”, nel senso che l’individuo è costretto a presentarsi con quella maschera (Charakter Maske, dice Marx) in cui sono scolpiti i tratti del suo impiego o, come dice Heidegger, del suo essere «impiegato (bestellt) al fine di assicurare l’impiegabilità (Bestellbarkheìt)», a cui l’economia, regolata dalle leggi di mercato, destina uomini e cose. Con la maschera in volto, l’uomo non è più in rapporto con il mondo, ma esclusivamente con le leggi che governano il sistema mercantile in cui il singolo si trova ad operare. Il suo agire non lo esprime, ma esprime la razionalità dell’apparato economico che determina non solo la sua azione, ma anche la relazione con i suoi simili, mediata dalle leggi che connettono la produzione, lo scambio e il consumo delle merci.

Tutto ciò, e questo è il tragico, non è “oppressione”, ma “sistema”. Di oppressione si poteva parlare prima dell’avvento dell’economia di mercato oggi globalizzata, dove la reificazione dell’uomo, la sua riduzione a cosa, avveniva per la volontà di un altro uomo, sia che questi sì esprimesse come individuo o come classe, per cui era possibile da parte dei “reificati individuare, nell’abbattimento di quella ‘volontà”, la condizione della loro liberazione. E tutte le rivoluzioni che hanno scandito i passaggi d’epoca nelle età precedenti la globalizzazione erano praticabili, perché accadevano all’interno dell’umano, tra una volontà opprimente e una volontà oppressa, o come dice Hegel. «tra un servo e un signore».

Perché le rivoluzioni esplodessero era sufficiente quella «presa di coscienza», secondo l’espressione di Marx, capace di segnalare la base irrazionale dell’oppressione e la conseguente razionalità della successiva liberazione. Ma quando la reificazione, la riduzione dell’uomo a cosa, non è più l’effetto di una volontà, quindi di un evento irrazionale, ma l’effetto della razionalità dei mercato, allora non avremo più, come nelle età che hanno preceduto la globalizzazione del mercato, il dominio dell’uomo sull’uomo, ma il dominio della razionalità del mercato su tutti gli uomini, servi o signori che siano, i quali non si trovano più contrapposti l’uno all’altro, ma entrambi dalla stessa parte, avendo come controparte la razionalità che regola le leggi di mercato, contro cui ogni rivoluzione è impraticabile. Per questo i giovani accettano con rassegnazione qualsiasi lavoro temporaneo o in nero, per questo chi perde il lavoro va in crisi d’identità e non sa come uscire dalla notte buia della disperazione. E questo non perché si sono identificati con il loro lavoro, ma perché non hanno una controparte dal volto riconoscibile con cui confrontarsi. Il mercato, infatti, non ha volto, il mercato è nessuno. Ed è vero, come ci ricorda Romano Madera in Identità e feticismo (Moizzi editore) che «Nessuno, come già ci segnalava Omero, è sempre il nome di qualcuno», ma questo qualcuno, nel mercato globalizzato, è invisibile. Di qui la rassegnazione e la disperazione che affliggono sia la classe imprenditoriale sia la classe dei subordinati, per la prima volta nella storia non più in contrapposizione, ma entrambi sottomessi alla dura legge della razionalità” (?) del mercato.

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