ovvero dell’essenza divina nel concetto del Dio cristiano in Hegel
Massimiliano Polselli
L’incarnazione (Menschwerdung) dell’essenza divina, comincia nella figura della scultura con la statua” che annulla la distanza presente nella religione naturale che intercorreva tra Dio e l’uomo, assimilando esso stesso le fattezze di Dio. Nella statua dimora la stessa divinità, che però è Altro ad un livello di senso interiore rispetto al senso esteriore attivato dall’artista stesso nel l’operare tale forma. L’artefice non trapassa nella statua. “Nella Commedia invece l’attore non è s-progettato da ciò che crea ma è egli stesso il prodotto attuato.
Cosicché il personaggio comico domina l’oggetto, come se egli stesso fosse Dio, mostrando di fatto, in termini attoriali e per/ormanti, la dimostrazione di un’avvenuta de-divinizzazione del dio di fronte ad un pubblico di astanti o spettatori. È l’atto dell’attore orante e agente che fa “esistere” gli dei. Ogni principio, ogni fondamento affonda o dilegua nella propria iità e l’Assoluto da Sostanza è rabbassato (ist heruntergesunken) a predicato del Soggetto ed ogni contenuto avente valore è ormai risolto nel Sé; mentre il Sé, che costituiva l’accidentalità (das Selbst die Akzidentalitàt vrar) presso la Sostanza, ora è a sua volta Sostanza stessa, in sostituzione della prima Sostanza.
Da questo momento in poi Hegel ci invita a s-chiarire diversi momenti logico-teoretici sulla morte di Dio, a partire dalla Commedia. L’azione demolitoria, die Vernichtiing, l’annientamento di ogni Altro ente o Entità che la coscienza frivola viene ad attuare-negando, volge ad una prima considerazione.
Intanto la proposizione che esprime tale risultato, cioè quello della presunta morte di Dio, è attuata in modo frivolo o con leggerezza (mit dem Leichtsinn) questa espressione non è spiegata solo dal fatto che la coscienza comica è realmente tale indossando una maschera e parodiando le debolezze, i limiti caratteriali e psicologici delle presunte divinità, ma perché tale azione in realtà, che ha poi come fine appunto solo ironico o estetizzante della presa d’atto che Dio muore, non avviene come vero “travaglio del negativo”, non abbiamo ancora una storica, reale “via crucis” dello Spirito, ma la spoliazione, la deiezione di Dio avviene così per gioco o per recita (spielen). La coscienza come presunta autocoscienza, non ha “preso su di sé la fatica del concetto”.
Ma la pianta dalla quale nascerà il Cristo e con esso la concezione moderna della morte di Dio, mantiene e conserverà una contraddizione, che lo Spirito porterà fino alle sue estreme conseguenze: il Sé comico-Dio, è ateo, non solo perché ovviamente ex ante rispetto alla nascita del Cristo, ma perché soprattutto non riconosce più alcuna divinità dinanzi a Sé, poiché è egli stesso la Sostanza. Ciò perché proprio nell’atto di assoluta negazione di ogni altro-da-sé. Egli toglie la reale e “scientifica” possibilità di una determinazione di un Dio compreso, cioè dell’Autocoscienza come Sapere Assoluto, in quanto che impedisce alla coscienza di “lavorare” per divenire Reale Autocoscienza. L’ossimoro potrebbe altresì esser detto in questa maniera: proprio perché Dio è morto (nella Commedia), esso vive! Proprio perché il Dio di tutti i Cieli vive, la vera Autocoscienza ancora muore. Se dunque accettiamo l’impossibilità di dare avvio al processo di liberazione e di emancipazione della Coscienza, pensandola già come immediatamente depositaria della Verità, allora la morte di Dio, che proprio tale Coscienza attua, risulta inversamente proporzionale al suo risultato: ossia, di nuovo, proprio perché se la vera Sostanza è l’autocoscienza e se non esiste più nulla dinanzi alla coscienza affinché essa possa, grazie all’Altro, all’ente, al Qualcosa in tutte le sue forme, divenire Autocoscienza liberissima, allora la morte di Dio che ha un esito soltanto di totale svuotamento di ogni essere o esserci, sigilla, la vita di Dio: ossia nutre la impossibilità della scientifica comprensione e della logica-ontologica mediazione essenza di ogni aldilà e di ogni tipo di metafisica futura. Cosicché la “scientifica Morte di Dio” deve attuarsi seriamente e storicamente prima (Vita e passione del Cristo), logicamente poi (Coscienza infelice, Anima bella, Autocoscienza giudicante e agente) e sul piano Scientifico (ma ancora fenomenologico) prima con l’autoriconoscimento delle Autocoscienze e del Sapere Assoluto poi. Ed infine nella Logica (dottrina dell’Essere e dell’Essenza) con la comprensione della categoria di Dio come pensiero che pensa se stesso. Infine lo spirito verrà appunto a configurarsi dopo la Commedia greca, da assoluta soggettività a assoluta oggettività. Ossia il Sé diventa predicato e la Sostanza soggetto. Oppure il Sé diventa soggetto della sostanza, non essendo più vuoto, più frivolo, poiché è il Soggetto di una Sostanza. Con le esperienze storiche il Sé comico si riempie ed acquista serietà anche tragica, ovvero col sacrificio del Cristo. Certo si potrebbe pensare di tornare così allo status quo della Religione Naturale che predicava l’Assoluta oggettività dell’Essenza; ma così non accade, poiché il movimento d’alienazione non avviene verso una Sostanza che è totalmente altro dall’individuo-soggetto, ma che appartiene all’individuo stesso. Nel processo d’alienazione, f Io non si dimentica nella Sostanza ma si autoaccompagna nel momento in cui si aliena nella Sostanza: la divinità è in noi.
La morte di Dio vede tre destini incrociati, su quattro piani diversi: Coscienza comica, Coscienza infelice, il Cristo, Autocoscienza. Della coscienza comica è stato già detto quanto sopra.
Per la coscienza infelice il riferimento alla morte di Dio è espresso da Hegel nel capoverso 8, nel quale vi si legge che essa è la perdita proprio di questo sapere di sé, della sostanza così come del Sé: è il dolore che si esprime nella dura parola: Dio è morto. È l’opposto della coscienza comica. Non solo perché la sua genesi è strutturata nell’ambito della bildung riflessiva dello Spirito: per cui la coscienza infelice è il risultato di un’idea.
L’universalità, nella quale sola risiede una verità astratta; nozione questa di derivazione stoica, ma orinata anche dalla negazione di tutto ciò che È, con riferimento alla tradizione scettica, il cui esito pone una stessila o medesimezza del Sé, come certezza del Sé, allorquando lo scettico negando tutto ciò che è e quindi affermandolo come essere nullo, lo fa essere. Inoltre ponendo il proprio Sé come assolutamente negativo-negante si autoafferma. In tal senso il risultato è quello di un tragico destino in quanto l’universale in lei non è per lei ma in sé e dall’altro lato il particolare non è per sé ma in sé. In termini storici la coscienza infelice è riferibile alla coscienza ebraica poiché tende ad avvicinarsi al Dio dismettendo la propria soggettività. Questo le procura una tragica esistenza perché è cosciente che per unirsi a Dio deve rinnegare la propria corporeità e tuttavia è cosciente altresì che togliendo la propria corporeità non raggiungerà mai allo stesso modo Dio. Anche in tal senso l’impossibilità a divenire Autocoscienza è resa, non solo dal fatto di enti fi care e pietrificare l’idea di Dio come assolutamente in trasmutabile rispetto alla propria trasmutabilità e caducità del suo lo, e quindi irreprensibile non solo per l’intelletto ma anche per il negativo in quanto tale (n.d.a.: Dio così è vuoto, senza vita, morta spoglia ), ma anche perché l’Io della coscienza infelice, attua, come figura “anoressica”, un vero e proprio “aneurisma” (n.d.a.) o “collasso” (n.d.a.) dell’Io. E dunque essa non vivrà mai veramente o storicamente (infatti non è la coscienza cristiana!) appieno l’istante della sua morte, ma la presagirà soltanto, come limite. Cosicché la sua prossimità o angoscia della morte e per la morte è solo sentita e non agita.
Anche qui dunque si ha una sorta di morte di Dio non autenticamente razionale, ma solo psico-fonica. Se la coscienza comica rappresenta il lato della morte di Dio in termini estetizzanti-performanti, qui il piano dell’espressione “Dio è morto” è fideistico o psicologistico.
Ancora non si è difronte al tribunale storico dello Spirito.
Ma ecco il terzo elemento, come momento, storico, della vera morte di Dio. Si è così giunti all’avvento del Cristo, Figlio di Dio e della successiva visione pentecostale e cristianificatrice del mondo in quanto comunità cristiana.
Ma è fondamentale ricordare che proprio la kenosi cristologica non designerà il semplice toglimento di una “rappresentazione” inadeguata del divino, bensì proprio di Dio in quanto Essere diverso e distinto dall’uomo. E che quindi l’abbassamento di Dio (Menschwerdung di Cristo), significa di per sé, ancora prima della morte, la negazione del Padre, del Dio trascendente il mondo. Dunque kenosis di Dio in un Altro (Cristo ), ma questo Altro è a sua volta giudicato come involucro già morto”. Ciò comporterà una morte di Dio solo storicamente accaduta e non anche Scientifica o Concettuale. È una morte data all’esterno di una vita già fuori da una Sostanza e dunque due volte estrinseca a Dio. Motivo questo per il quale su di un piano ancora rappresentativo.
Pur essendo entrati nel terzo elemento (in dem dritten Elementef – come momento del ritorno in sé ovvero momento dell’autocoscienza universale – ali geme innen Selbstbewufitsein -, lo spirito è la propria comunità – er ist seme Gemeinde – in cui vi si trova il senso dello spirito universale. Essa è libera dagli elementi rappresentativi. Parrebbe (la comunità) libera dagli elementi rappresentativi così come l’autocoscienza assoluta è effettivamente libera dalla vorsteli ung. Ma è solo un credere che in essa si renda per-sé (fur-sich ) ciò che era in-sé, reduplicando in realtà un nuovo Spirito universale ma di nuovo in-sé (ansieh ). Ossia lo sviluppo – Entwicklung – raggiunge un risultato – Residtat – ma tale risultato è esteriore o esterno al Sapere Assoluto. Come dallo “Spirito che in esso (mondo etico) è sol dipartito”, per cui nasce da un soggetto morto una soggettività come “involucro già morto”. È la perdita dell’essenza divina nella certezza di sé e della perdita allo stesso tempo di Sé come autocoscienza e anche del Sé (Cristo) come Sostanza: è il dolore che si esprime nella dura parola “Dio è morto “ – Goti gestorben ist Poiché la coscienza non sarà mai veramente autocoscienza, Dio muore, proprio perché Dio vive!
In tal senso appare che la propria certezza di Sé non ha essenzialità cioè non è in Sé verità, ma è solo coscienza senza verità. E ciò che si ritiene vero ora non lo è più. È perdita del Sé finché la propria certezza deve essere convalidata dalla sostanza dipartita, è il contesto o l’oggettività in cui agire è qualcosa che ha perso senso. Il per-sé è tragicamente separato dall’in-sé (cioè Dio). Così proprio perché Dio è morto (l’autocoscienza che muore) l’uomo teoretico non è più libero neppure in una comunità cristianizzata.
Nel capoverso [81] Hegel intende come morte di Dio dunque, l’incapacità da parte dell’uomo in quanto trasfigurato nell’autocoscienza infelice – imglùckliche Selbstbewufitsei – di essere Dio.
Se l’uomo è Dio e Dio stesso è morto, l’uomo non è più libero poiché l’uomo teoretico è colui che è assolutamente libero perché è diventato autocoscienza.
In effetti nel capoverso è chiaro che “l’elemento del rappresentare che inizialmente precedeva è qui dunque posto come tolto ossia è rientrato nel Sé, nel suo concetto, ciò che in quello era solo essente è divenuto soggetto “. Ovvero sul piano dello schema concettuale questa verità per cui lo spirito è presso di noi è apparente. Poiché prima di una qualche rappresentazione dell’Assoluto c’è l’idea della Sostanza. Questo sapere è dunque la spiritualizzazione con cui la Sostanza si è fatta oggetto, con cui la sua astrazione (Sostanza) e mancanza di vita (Cristo ) sono morte in quanto non ancora fattesi realmente autocoscienza. Questo processo — Fortgan –esprime la razionalità del contenuto cioè la verità diventa trasparente, evidente, attraverso il concetto. Ma “questa comunità non è ancor compiuta in questa sua autocoscienza e il suo contenuto è per essa in genere nella forma del rappresentare – in der Form des Vorstellens – e anche la spiritualità effettuale della comunità, cioè il suo ritorno del rappresentare, ha tuttavia in lei questa scissione – Entzwehmg ” – a quel modo che ne era affetto anche l’elemento del puro pensare – das Element des reinen Denkens -. Ciò indica che l’uomo della religione vive quel processo del farsi – altro e del tornare in sé ancora una volta fuori del Sé; essendo infatti vissuto nel processo del Cristo. Egli è ancora qualcosa di staccato dalla comunità. La comunità partecipa al processo cristologico ma non è mai veramente proprio quel movimento. L’assimilazione è avvenuta solo nell’eliminazione dell’elemento simbolico o rappresentativo così si rimarrebbe in un altro terzo elemento sempre cioè nella rappresentazione dell’Assoluto. Solo in una comunità moderna, post-rivoluzionaria, ci sarà la storica e concettuale – Begreifendes – presa di coscienza che la comunità è il Sé in un piano contemporaneamente realizzato dell’Universale e del Particolare, tale comunità religiosa apparentemente razionalizzata non è nella forma della razionalità, in quanto comunità della Chiesa che comunque ha bisogno di un soccorso trascendentale:
Ma passato e lontananza sono soltanto la forma incompleta di come la guisa immediata è mediata o posta universalmente; questa è immersa nell’elemento del pensare solo superficialmente: è conservata quivi come guisa sensibile e non vieti posta a far uno con la natura del pensare stesso. Esso è innalzato soltanto a rappresentazione, perché tale è il collegamento sintetico della immediatezza sensibile e della sua universalità o del pensare. (…) Essa non è ancora l’autocoscienza di lui svoltasi a suo concetto come concetto; la mediazione è ancora
incompleta.
A Tubinga l’ottimismo illuministico di Hegel ed il pensiero millenaristico di Hölderlin. colorato da toni pietistici, si sono combinati con la rivendicazione kantiana dell’autonomia in vista di un progetto educativo nazionale, che avrebbe dovuto aiutare a preparare ideologicamente una rivoluzione politica in Germania (secondo il modello francese ), rivoluzione ritenuta allora necessaria; attraverso una nuova mitologia si sarebbe dovuto creare una nuova religione popolare, si sarebbe edificato il “Regno di Dio” già qui sulla terra ed eliminato una volta per tutte l’alleanza, ritenuta fatale, tra l’ortodossia cristiana ed il dispotismo politico. Il grande obiettivo era una sociatà libera, senza più signori e servi: l’ostacolo più significativo che ne impediva la realizzazione, e cioè l’idea di un Dio trascendentale e sovrano doveva cadere per primo. Il postulato che l’uomo “ debba essere libero “ e che per giungere a questo sia necessario ristabilire l’unità originaria tra dio e l’uomo, questo spinozismo rivoluzionario, non subisce modificazioni essenziali in Hölderlin e Hegel fino al 1798-99.
La comunità non è mai veramente universale. Per il concetto – Begriff – lo Spirito comunitario di una società cristianizzata è realmente universale?: “in-sé (per noi ) la comunità è bensì riconciliata con l’essenza (…), ma per l’autocoscienza questa presenziai ita immediata non ha ancora figura di Spirito (…) ma esprime un in-sé che non è realizzato o che non è ancor divenuto assoluto esser-per-sé. Ma il dato ermeneutico più rilevante è dato dalla rilettura del capoverso:
Lo spirito che è espresso nell’elemento del puro pensare, consiste esso medesimo nell’essere essenzialmente non soltanto entro di lui, ma nell’essere spirito effettuale, perché nel suo concetto c’è anche l’esser-altro, cioè il togliere del concetto puro e solamente pensato.
Il puro pensare infatti nel linguaggio hegeliano è il linguaggio astratto; nel senso che non si è alienato nella rappresentazione, (anche se è preceduto dalla rappresentazione stessa del Cristo in questo caso); infatti aveva già scritto Hegel: (…) il rapporto dell’essenza eterna verso il suo esser-per-sé è quello immediatamente semplice del puro pensare; in questo semplice intuire se stesso entro l’Altro, l’esser-altro non è dunque posto come tale; è la differenza a quel modo che nel puro pensare essa immediatamente non è differenza alcuna
Mostrando che pure la generazione e la processione della Trinità nella sua purezza, ossia la generazione del Figlio e la processione nello Spirito è verosimilmente un “movimento fisso” nell’essenza divina stessa, come tale sarebbe un’anticipazione del processo realizzato annunciato da Hegel solo come processo formale nella Sostanza stessa.
Il movimento tripartito del Padre che si fa Figlio e torna poi in sé e per sé (Spirito Santo) è solo un processo di un Intiero, ma astratto, anche se prefigura il Vero Intiero, ed è un intiero assolutamente formale, tanto che lo si può indicare in modo rappresentativo con i numeri indifferenti allo Spirito stesso:
(…) e se questi vengono numerati, sarebbe espresso (lo Spirito) come uno e quaterna o come quaternità, o, poiché la molteplicità si separa ancora in due parti, quella rimasta buona e quella divenuta cattiva, si esprimerebbe addirittura come uno e quino o come quinità
Così nella religione rivelata lo Spirito, ritornato in se stesso è però ancora affetto dalla negatività del mero rappresentare, che non è dunque ancora il concetto semplice e assoluto.
Il Dio che muore e risorge non è ancora trasvalutato: l’Assoluto è pur sempre rivelato alla coscienza da un estraneo:
Una forma come quella del decadere o come quella del Figlio, appartenente solo alla rappresentazione e non al concetto, rovescia del resto essa stessa i momenti del concetto e li abbassa introducendoli nel rappresentare, o innalza il rappresentare nel regno del pensiero.