Massimiliano Polselli
Tutto inizia da due frasi di Novalis sul corpo come «onnipotente»1 e della Bibbia come «ancora in crescita»2. Il corpo umano: nulla è più santo di questa figura3: elevando la potenza del corpo si diviene appunto cristiani. Ma così la creazione che chiude i tratti fondamentali dei superiori vangeli a venire4, equivarrebbe alla creazione di un corpo superiore come erezione di un nuovo santuario che distrugge la Legge, cioè il vecchio tempio ebraico. Dal Dio unico deve prodursi l’avvento di un onni-dio5, cosicché il nostro corpo deve divenire onnipotente.
Ciò significa che il corpo deve cessare di essere concepito come sistema di organi e come invece organo onnipotente come cioè capace di realizzazione totale della volontà, in quanto la potenza diviene l’essenza propria della volontà. Ma poiché il corpo volente, come si è visto, è il luogo in cui si articolano la metafisica greca e la religione cristiana, il suo nuovo concetto deve poter rispondere dell’una e dell’altra e della loro coincidenza finale.
La filosofia potrà compiere la morte di Dio solo se apre nuove possibilità al corpo6. Nietzsche citando il versetto tradotto da Lutero, dell’epistola agli Efesini, scorge il momento in cui il cristianesimo aiuta nella nuova prospettiva di un uomo nuovo7. Dato che il vecchio uomo è stato crocefisso con il Cristo e che l’uomo nuovo è resuscitato, Nietzsche rivendica con ciò il fatto che il corpo, in quanto nuovo e risorto, è altro da ciò che è.
Annunciandone così la glorificazione del corpo, il cristianesimo ne ha implicitamente riconosciuto la possibile pluralità: così l’uomo nuovo di cui parla S. Paolo non è il solo possibile. Il cristianesimo così per Nietzsche inaugura la possibilità della pluralità del corpo. Ma Nietzsche rivendica tale possibilità oltre il corpo anche dalla morte di Dio. Cioè dato che il corpo per S. Paolo è unificato dall’amore di Dio e vivendo sotto la carne, è diviso, rivolto contro se stesso e Dio, ora morto, non avendo più senso il peccato, l’unità perde il carattere di unità lasciando così apparire una pluralità di volontà il cui effetto è quello di richiamare la creazione di un corpo superiore8.
Il nostro corpo porta allora con la morte di Dio la speranza di una gloria totalmente diversa. E dopo aver scritto Così parlò Zarathustra che prima era intitolato La volontà di potenza in seguito Trasvalutazione di tutti i valori e poi l’Anticristo, che Nietzsche assegna al corpo la funzione di filo conduttore. Questa constatazione implica che la delucidazione del corpo è indissociabile dalla comprensione sia dell’eterno ritorno (che è il concetto fondamentale del Così parlò Zarathustra), sia della Volontà di potenza e della tra svalutazione dei valori (ossia dell’ultima figura del pensiero nietzscheano).
E il concetto di corpo come filo conduttore emerge dalla Nota del 18849. Ma perché Nietzsche accorda questo privilegio al corpo? Egli nota nel 18851886:
Se il nostro “Io” è per noi l’unico Essere a partire dal quale noi facciamo essere tutto ciò che comprendiamo: molto bene! Il dubbio è allora dovuto: non c’è forse un’illusione di prospettiva l’unità apparente in cui tutto si riunisce come una linea di orizzonte? Seguendo il filo conduttore del corpo, appare una prodigiosa pluralità; è metodologicamente permesso utilizzare un fenomeno più ricco e più facile da studiare come filo conduttore per la comprensione di un fenomeno più povero. Insomma: supponendo che tutto sia divenire, la conoscenza non è possibile che sul fondamento della credenza all’essere10.
Così prendere il corpo come filo conduttore significa in primo luogo destituire l’Io e considerare l’unità della coscienza come apparente unità11. Questa destituzione della coscienza rimette in gioco ogni interpretazione della coscienza che considera l’unità sintetica dell’appercezione come suo principio supremo. Così considerare l’Io in divenire e il corpo come filo conduttore equivale a modificare l’essenza della conoscenza mettendo in questione la verità delle categorie, ossia la deduzione trascendentale12.
Occorre indagare se si dà il corpo come filo conduttore in Nietzsche allora si darebbero anche gli enti e l’essere.
In realtà per il nostro filosofo l’essere e gli enti non sono che delle interpretazioni o stati del divenire: fluire assoluto o evento.
Se il corpo è l’essere o filo conduttore a partire da cui non comprendiamo tutto ciò che è, l’analisi del corpo ci indirizza verso ciò che Nietzsche chiama «l’essenza più intima dell’essere»: ossia la Volontà di Potenza13. Ciò significa che i tratti essenziali del corpo conduttore non possono provenire che dall’orizzonte della volontà di potenza e anche ne deriva che il corpo è il fenomeno più facile da studiare14, ed è il fenomeno più ricco e più complesso dell’anima o spirito o del soggetto o della coscienza15 e dato che è il fenomeno più pieno è sempre il cominciamento16. Esso in quanto metodo occupa il rango più alto17. Così accade in Nietzsche, dato che tutto sgorga dal corpo, l’umanizzazione della totalità degli enti18. Cioè il mondo è sempre stato interpretato in funzione del nostro essere: ecco che la struttura stessa della conoscenza è un umanesimo.
Anche l’arte per Nietzsche esprime il senso della vita, il senso del corpo19. Quando non avremo più l’opera d’arte, ma l’opera d’arte è il corpo stesso: allora dentro di essa c’è la volontà di potenza e l’arte è ridotta a fisiologia20. Come fisiologia l’arte dovrà dissolversi nella stessa fisiologia fondandosi sull’analisi del corpo e questa «sorpassa quella dell’opera d’arte»21. Così la bellezza artistica non è che l’ombra della bellezza vivente e corporea22. Ma così si ritorna alla metafisica della volontà che si compie, con la predicazione paolina.
Nietzsche rimette mani alla Volontà metafisica di Schopenhauer, laddove c’è l’aporia di una sola volontà di fronte alle tante volontà degli organi del corpo rendendo le determinazioni della volontà vuota, e senza presupporre l’unità Nietzsche comincia a ridescrivere il corpo come pluralità. Ecco Nietzsche nella nota del 1875: «L’uomo sembra una pluralità di esseri, una riunione di molteplici sfere delle quali l’una può gettare uno sguardo sull’altra»23. E, in «Morale e Fisiologia» (1885), Nietzsche, nella descrizione del corpo e della nostra unità soggettiva, afferma:
Noi pensiamo che sia per una conclusione prematura che la coscienza umana sia stata per così lungo tempo considerata come lo stadio supremo dello sviluppo organico e la più stupefacente delle cose terrestri, addirittura come la loro efflorescenza e il loro fine. Ciò che c’è di più stupefacente è piuttosto il corpo: non si finisce di ammirare come il corpo umano sia divenuto possibile: come una tale riunione prodigiosa di esseri viventi, tutti dipendenti e obbedienti ma, in un altro senso, comandanti e agenti per volontà propria, possa vivere come tutto, crescere e sussistere per qualche tempo: e manifestamente questo non succede certo grazie alla coscienza! Di questo “miracolo dei miracoli”, la coscienza non è che uno “strumento”, e null’altro – nello stesso senso in cui lo stomaco è uno strumento24.
Occorre da qui capire la coscienza a partire dal corpo come una delle sue funzioni o sintomo di uno dei suoi modi di essere. Infatti emerge anche che mentre per Schopenhauer il corpo è un miracolo poiché in esso volontà e rappresentazione, soggetto e oggetto coincidono, per Nietzsche il corpo è «miracolo dei miracoli», poiché esso è unità nella pluralità degli organi e degli esseri viventi. E dunque, l’unità o unificazione soggettiva che nomina il corpo proviene per Nietzsche dai rapporti che si allacciano nella pluralità dei suoi costituenti per cui «sono innanzitutto le relazioni a costituire gli esseri»25. Questi esseri viventi che formano il corpo sono chiamati in diversi modi: pluralità di spiriti26, pluralità di pulsioni27, pluralità di forze28, pluralità di anime29. Così da tali denominazioni l’unità del corpo non deve essere pensata come uno stato o un essere ma come evento o divenire.
Il concetto di forza è per Nietzsche un comando dato: è volontà. Ogni forza si rapporta all’altra, così essa è volontà. La volontà non è più unica ma complessa e plurale. La volontà, ordinando qualcosa, presuppone un’altra volontà che obbedisce. Così, in polemica con Schopenhauer, la volontà non deve essere concepita come agente sugli organi attraverso il sistema nervoso, ma come agente su altre volontà. Così la volontà agisce solo su una volontà e non su una «materia» (per esempio dei nervi). Insomma ovunque vediamo degli effetti dobbiamo vederci una volontà che agisce su una volontà30.
Quella che era l’intuizione come motore della volontà, Nietzsche sostituisce con il nome di «volontà di potenza»: in quanto pulsione creatrice, esercizio di potenza etc. Così anche le forze fisiche, le leggi fisiche di attrazionerepulsione sono ricondotte da Nietzsche alla volontà di potenza come analogia. Così, tutto, è riportato al filo conduttore del corpo. Così il concetto di volontà di potenza proviene da una interpretazione del corpo. E se in riferimento al concetto fisico, meccanicistico di forza, la volontà di potenza è compresa come un complemento, nella prospettiva delle pulsioni e funzioni della vita organica, questa complementarietà non ha ragion d’essere. E secondo il principio metodologico, cioè andare dal fenomeno più ricco a quello più povero, vogliamo semplicemente sottolineare che la volontà di potenza non è aggiunta esteriormente alla forza.
La determinazione della volontà di potenza è volere interno come forza vincitrice: potenza che è dentro la forza che vuole e che è voluta, che così può vincere altre forze. Così la volontà di potenza è ciò grazie a cui le forze si rapportano tra loro come dominanti e dominate. Ed è così il principio sintetico che assicura la riunione delle forze e delle volontà costitutive del corpo. Ora la forza è una grandezza, per Nietzsche, misurabile. Ecco dunque una scala di misura numerica della forza. Tutti gli altri valori misurabili sono pregiudizi, ingenuità, incomprensioni, poiché tutti sono riducibili a questa scala di misura numerica della forza. Progressione su questa scala significa un accrescimento di valore. La regressione su questa scala significa diminuzione di valore31.
La differenza quantitativa, dal più al meno diviene un rapporto qualitativo tra forze superiori ed inferiori.
Non c’è dunque adiaforia nel mondo delle forze, e la singolarizzazione della forza è una barbarie32. Il meccanismo non può che descrivere dei processi e non spiegarli33. Attive sono le forze dominanti, passive quelle dominate34. Una forza è attiva quando tende spontaneamente verso la potenza, reattiva quando essa vi tende per effetto di un’eccitazione proveniente dall’esterno. Quest’ultima è disposta a ricevere un comando e questo innesca l’esercizio della potenza propria alla forza obbediente.
Nessuna forza dunque può essere reattiva senza una preliminare inibizione della propria potenza. Dunque la passività è un momento strutturale della reattività. Ma la forza che patisce in quanto non è agita è anche resistente. E la passività è anche resistenza di sé a se stessa, essa è dunque reattività. Così dato che i valori sono soggettivi (qualità della potenza) ecco che l’intelletto, che basa la sua scala di valori etici e logici è relativo. Così la nostra sensibilità è governata da valori che sono per essenza suscettibili di mortificazioni. Le qualità sono la nostra autentica idiosincrasia umana e tutte le percezioni sono interamente impegnate da giudizi di valore: utile/nocivo, piacevole/spiacevole35. Non ci sono principi assiologici a priori della sensibilità. Non più giudizi di valori apofantici. Cambiare il nostro modo di sentire36. Così i valori diventano le condizioni di conservazione d’intensificazione37. Ciò significa che ogni essere vivente diverso da noi percepirà altre qualità e vivrà secondo prospettive e valori anche conoscitivi oltre che morali, diverse. E dunque le stesse qualità, oltre le cose in sé che in sé non sono valori poiché a seconda di ognuno variano e quindi in conoscibili, anche queste qualità dunque essendo sempre diversamente prospettiche per ognuno di noi sono per principio in conoscibili e dunque i giudizi del logos sono impossibili, poiché l’identità a sé dell’ente è fuori da ogni prospettiva e dunque inaccessibile. E tutta la teoria della conoscenza con le sue verità bimillenarie deve essere colpita. La prospettiva è irriducibile dall’intelletto, come la cosa in sé, essa può solo variare modificandone l’angolo di apertura: ecco l’epoca della comparazione38. Dunque solo con la morte di Dio e quindi con la tra svalutazione di tutti i valori e con il superuomo e possibile e legittimo riconoscere il carattere prospettico della conoscenza, sulla base solo della volontà di potenza39.
Infatti secondo Nietzsche, il monoteismo, ponendo ideali a priori e leggi morali, si lega alla riduzione della pluralità delle prospettive40. E finché il corpo, che qui è filoconduttore, era unità come complesso di forze o di volontà assicurate da Dio esse non potevano essere reattive, poiché reagivano (obbedendo o meno) alla volontà divina. Con Dio è impossibile la distinzione tra forze attive e reattive, qualità e quantità. Solo la sua morte lo permette. Così Nietzsche con la scoperta della «forza attiva»41, impossibile con S. Paolo, essa modifica il corpo e presuppone quella volontà di potenza che implica «il predominio della fisiologia sulla teologia»42. La proprietà cioè del corpo attivo a venire sul corpo reattivo da distruggere. Ora il calcolo, la matematica, l’intelletto misurano ma se il senso della volontà è «volere sempre di più» la misurabilità salta. La conoscenza logicomatematica, scientifica diventerà menzognera, essa ignora la profondità43.
Le analisi del corpo e della volontà di potenza si accompagnano alla critica della coscienza con la sua ragione. Ecco le pluralità di pulsioni: ogni pulsione è spinta verso qualcosa, forza che mira a un termine: ogni pulsione è sempre verso qualcosa. Ed ogni termine verso cui mira la pulsione è anche buono. Perché solo esso permette di essere alla pulsione, la pulsione che è. Tuttavia ciò che è buono per una pulsione in quanto è condizione della sua energia, potrebbe non essere buono per un’altra. Il buono è così suscettibile di venerazione poiché è differente per due esseri differenti44.
Inoltre ogni pulsione non è isolata ma è collegata ad altre gerarchicamente, ed ognuna ha un certo bisogno di dominio che vorrebbe imporre come norma a tutte le altre pulsioni.45 E i sistemi di conoscenza o valutazione, che si sono conservate come tali, non sono altro le stesse pulsioni che sono diventate come forme di esistenza perduranti accordate all’essere: come importante, vicino, lontano, necessario etc. e che ora agiscono istintivamente come un sistema di giudizi di piacere e dolore46. I valori però risultano dalla differenza quantitativa delle forze, ed essa forza però è solo qualitativa e quindi valutativa. Così dietro i valori come condizioni d’esistenza c’è una formazione di dominio, cioè insieme di forze sottomesse alla maggiore di esse.
Al principio la riunione di queste è il prodotto del caso, come si vede nell’organismo, nel mondo chimico47, ma poi con la prospettiva o valore imposto dalla forza dominante diviene la condizione d’esistenza stessa delle forze dominate poiché essa definirà ciò che è importante, vicino, necessario etc. Con ciò il corpo con la sua forza sovrana man mano diventerà abitudine, bisogno e poi pulsione: “Il divenire pulsionale delle forze è compiuto quando la valutazione si è fatta istinto. Con ciò la pulsione diventa ipsofacto giudizio di valore e l’attività pulsionale diventa spontaneamente morale: ecco perché Nietzsche può dire che il corpo è il fenomeno morale per eccellenza48. Ora la potenza si trova all’origine del movimento pulsionale, il piacere invece è coscienza della differenza e quindi della potenza raggiunta. Ma ecco anche il dispiacere: infatti se l’intensificazione della potenza è sempre una vittoria, non c’è vittoria senza resistenza. Il piacere è una sorta di ritmo come successione di rapporti graduati, stimolo per l’intensificazione49. Ma questo comporta che 1) il piacere è fatto anche di dolori 2) piacere e dolore sono differenti ma non contrari 3) il piacere è sentimento di intensificazione della potenza non solo più intenso sarà il primo e maggiore sarà la seconda ma piacere e dispiacere sono fondati nell’essere, poiché la volontà di potenza è Essere50. Ora se il piacere è sempre il risultato di una valutazione allora le pulsioni agiscono come sistema morale51.
Il dolore, però, viene dopo la reazione non la precede. Cioè se le pulsioni operano istintivamente come un sistema di giudizi di piacere e dolore, ma il dolore segue come reazione52. Nietzsche spiega che qui per dolore s’intende ciò che danneggia l’individuo in generale, dopo, per esempio essersi bruciata la mano. Il dolore non sta nella immediatezza della scottatura, quanto sapere che quell’uomo con la mano bruciata non può prendere più questo, quell’oggetto come prima. Anche il dolore dunque è inseparabile dalla valutazione, come giudizio nocivo, intellettuale. Perciò il dolore corporeo è intellettuale quanto il piacere, ed è legittimo considerare il corpo pulsionale come un sistema di giudizi di piacere e di dolore. Così noi non soffriamo propriamente per le cause del dolore locale, ma per il turbamento dell’equilibrio che sopravviene in seguito allo choc53.
La volontà di potenza che agisce come forza attiva su altre forze giustifica anche la spazializzazione del corpo «se A agisce su B, A è localizzato separatamente da B»54, e un po’ essa rende possibile anche la localizzazione del dolore. Quindi forza e spazio non sono altro che la stessa cosa55. Questo Nietzsche già lo diceva nel 18701871 e rimarcava nel 1877 che forza e spazio non sono altro che lo stesso56. La localizzazione del dolore, la spazializzazione del corpo che la rende possibile e lo spazio stesso, derivano dunque dalla volontà di potenza. Ma così anche il tempo: poiché la forza quando si muove «diventa» cioè «cambia» e qui c’è la temporalità57.
Di nuovo, se per Schopenhauer l’apparato neurocerebrale era l’oggettivazione della coscienza, il corpo per Nietzsche è invece una pluralità gerarchica di forze diversamente localizzate che devono potersi comprendere reciprocamente, altrimenti non v’è comando né obbedienza. Comandare non è far conoscere solo un ordine e dall’altro farsi obbedire, ma significa essere in relazione con un inferiore e quindi comunicare come superiore gerarchico: «comunicarsi è originariamente estendere il proprio potere sull’altro», e Nietzsche riconduce così l’origine del linguaggio alla volontà di potenza. Un antico linguaggio di segni è al fondamento di questa pulsione. Il segno è l’impronta di una volontà su un’altra: «farsi comprendere con dei colpi»58. E il centro di trasmissione è l’apparato neurocerebrale. Esso è attività inconscia, poiché qui per Nietzsche non c’è coscienza59. Lo stesso Nietzsche rivedrà questa sua posizione ammettendo60 che il centro fisiologico è anche psichico ma non è mai centro di coscienza. Inoltre Nietzsche non distingue mai apparato neurocerebrale e volontà, sentimento e pensiero. Poiché una tale separazione implica la separazione di ciò che avviene e di qualcosa che lo fa avvenire, del divenire e dell’essere. Bensì egli attribuisce all’apparato neurocerebrale la produzione delle volontà, dei sentimenti, dei pensieri, come loro autore. Dividerle significa dire che la forza è di più e di altro rispetto agli effetti61.
«Come il popolo separa il lampo dalla sua luce» e la considera un’azione, l’effetto di un soggetto che si chiama lampo, così la morale popolare separa la forza dalle sue manifestazioni, come se ci fosse dietro un sostrato che si prende lo svago di manifestarsi o meno. Ma così non è. L’azione è tutto62. Mettendo tutto nell’apparato neurocerebrale, Nietzsche, chiaramente, congiunge volere, sentire, pensare e questi non sono altro che la forza stessa63. Abbiamo visto la corrispondenza tra forze e giudizio e quindi volontà. Ma ora occorre esaminare volontà di potenza e sentimento. Forza e sentimento.
Volere è sentimento piacevole. Il piacere è sintomo di intensificazione di potenza64. In più al volere, quando si vuole qualcosa da se stessi e non ci si sente liberi, si conoscono altre gamme di sentimenti: costrizione, dominio, vincere una resistenza, passaggio dall’uno stato subordinato all’altro da dominatore. In più questi sentimenti implicano: stato di chiusura, di apertura, di relazione, comunicazione. Più pensiero che comanda la volontà, in quanto la volontà è forza, la forza è quantum, è valore gerarchico, e quindi giudizio. E allora la volontà è il corpo possono essere conosciuti65; di contro a Schopenhauer per il quale la Volontà non può essere conosciuta. Questa intellettualità del volere, che non è altro che il suo carattere prospettico, si estende al «sentimento muscolare» che accompagna ogni volontà. Così la noia, l’angoscia, la paura, l’amore: tutti riferibili alla volontà, relazioni tra sensi e così via66. Così il pensiero diventa fenomeno muscolare e quindi corporeo67. Il sentimento muscolare che accompagna la volontà non è in fin dei conti altro che un sentimento di vittoria ed appartiene alla volontà di potenza. E come il sentimento, l’affetto si caratterizza a partire da un’apertura e una relazione. Infatti affettare o essere affettati è sempre essere in relazione e ciò che affetta o è affettato. La differenza con la passione è che l’affetto non dura, contrariamente alla passione. In più la volontà stessa può essere definita come l’affetto del comando perché comandare è affettare in modo subitaneo un’altra volontà che deve essere percepita e subordinandola grazie a un superiore quantum di potenza, cioè maggior valore, provare piacere con l’aumento della propria68. La trinità: pensare, volere, sentire69 è tale solo nel corpo. Mentre prima era costitutiva dell’anima70. La Trinità «pensare, volere, sentire» non rinvia a facoltà distinte ma è propria della forza in quanto tale. Il corpo è così ciò che permette alla volontà di potenza a strutturarsi per il suo dispiegamento. Ma che ne è della Libertà poiché essa ora è riferita al corpo e non più alla coscienza e quindi ad una formazione di dominio? La volontà è libera quando è costrittiva, afferma Nietzsche. Poiché essa è volontà di potenza, vittoriosa che implica sempre una resistenza.
Per Schopenhauer il corpo è differenziato in organi in quanto il corpo sotto la volontà unica riduce il corpo alla pluralità degli organi. Ma se la volontà è unica, gli organi al plurale sono impossibili. Per cui Schopenhauer pone una teoria metafisica del corpo.
- Paolo invece riconosce la pluralità degli organi con una pluralità di volontà, ma poi non distingue qualitativamente gli organi poiché tutti, sia quelli sottomessi sia quelli ribelli, dipendono dalla volontà divina. Davanti a Dio tutte le forze si equivalgono, sono uguali, non c’è forza attiva. Da qui la teoria teologica del corpo.
Con Nietzsche e la morte di Dio, gli organi sono concepiti in quanto appartenenti al corpo come formazione di dominio e in relazione alla volontà di potenza: essa regola la formazione degli organi e le loro funzioni, quali la riproduzione e la digestione.
Per Nietzsche il corpo, attivo o reattivo, è una formazione di dominio, ed è poi anche organismo. Dunque occorre spiegare il concetto di organismo tratto da quello di dominio. Così si compie il concetto di corpo come corpo nuovo, aperto a nuove possibilità.
Un organo serve per qualcos’altro. L’occhio è un organo perché serve a vedere ed è utile all’organismo. Però l’utilità non permette di accedere all’origine di un organo poiché essa non è a sua volta originaria. E inoltre il concetto di utilità viene dopo «l’organo» poiché è un giudizio di valutazione. E l’utilità di un organo può essere vicaria e non essenziale per l’organo stesso71. Tanto è che Nietzsche rispetto a Darwin affermerà che l’utilità di un organo non spiega la sua formazione72. In realtà l’utile è legato al buono e al cattivo.
L’utile ricade nell’essenza della volontà di potenza, in quanto è riferito a un atto di comando73. Così è alla volontà di potenza che bisogna risalire per comprendere la formazione degli organi. Essi sono suddivisi per valore: organi superiori e inferiori ed è tale differenza, costitutiva dell’organo in quanto tale. L’organo è un fenomeno morale. Ora il divenire organo dipende dall’asservimento dell’organo stesso dalla volontà o forza. Così è la gerarchia pulsionale la condizione dell’organo e il concetto di organismo presuppone la determinazione del corpo come «socializzazione di pulsioni»74. Ora la volontà di potenza «fa» l’organo imponendo a una forza dominata, che è l’organo, il senso di una funzione, e così la forza dominante ne fa ipsofacto un organo. Così soggiogare significa organizzare: né la funzione è prioritaria sull’organo, né l’organo è superiore alla sua funzione: poiché entrambi hanno per origine lo stesso dominio. La formazione di un organo (spaziale e morfologica) è quella di una catena di «sensi» dati nella fine, nello spazio, nella materia, dalla stessa volontà di potenza. È chiaro che se c’è un comando e un obbedire (organizzare) è perché c’è il senso che permette tale esercizio. Esso è relazione, prospettiva75, riducibile alla volontà di potenza. Ogni senso o valore permette infatti la gerarchia di valore e quindi ricade sotto la volontà di potenza. Essa nel formare un organo infine lo interpreta, perché lo fonda con determinati gradi, differenze di potenza. Il processo organico presuppone un continuo interpretare76. Ogni organo è un grado di dominio e di interpretazione della volontà di potenza che istituisce una gerarchia, ossia una valutazione, imposizione di valore in quanto interpretazione. Una forza mette altre forze al proprio servizio, si accresce con la loro potenza facendole servire alla propria, e le rende così utili, facendone il proprio strumento, il proprio organo, interpretando l’organo come interpretazione della volontà di potenza. Ora il corpo è fatto da più organi. Essi sono diversi poiché interviene la «speculazione»77. Cioè la volontà di potenza si specializza, organizza, indica chi obbedisce, chi ordina, chi nutre, chi è utile etc. La volontà di potenza così si demoltiplica. Nietzsche utilizza l’esempio del protoplasma, con riferimento alla botanica. Il protoplasma è sostanza colloidale che insieme al nucleo costituisce la cellula vivente78. La volontà di potenza regna anche nell’inorganico e la chimica del corpo è la Morale79. Nietzsche ribadisce che dall’uovo al protoplasma80, la volontà di potenza vuole sempre più potenza, cioè tende, la potenza stessa, a sottomettere sempre maggiore numero di forze. Nietzsche, tuttavia, nega che la forza vada all’infinito, poiché l’infinito presuppone l’uguaglianza e l’adiaforia tra le forze stesse togliendo la forza come atto «tensoriale», «vittoriosa», «costrittiva», e quindi togliere la differenza gerarchica e l’ineguaglianza. L’infinità della forza implica così la sua unità. Questo ci porterebbe a Schopenhauer per cui la volontà unica non spiega poi la formazione dei diversi organi.
La volontà di potenza si conserva organizzandosi e dunque accrescendo. E così si organizza in una molteplicità di potenze. E l’uomo, come organismo, è pluralità di volontà di potenza81. Più grande è la spinta verso l’unità, più si deve concludere che vi sia debolezza; più c’è spinta verso la varietà, la differenza, più c’è forza82. La formazione di molteplici organi è segno di forza, e la costruzione di organismi a partire dall’uovo è il capolavoro della volontà di potenza, poiché la complessità e l’organizzazione non sono che funzioni della potenza. Gli organi sono in relazione tra loro grazie alla loro prossimità: solo esseri imparentati molto strettamente possono congedarsi e quindi dar luogo all’obbedienza83. O ancora nulla di ciò che è distante può essere utile. Un martello fuori portata è del tutto inutile: la volontà di potenza assicura la coesione dell’organismo.
Di nuovo Nietzsche riprende l’esempio del protoplasma e alla sua scissione, alla quale Nietzsche ha dato questa forma: «1/2 + 1/2 non=1 ma = 2»84. Ora ponendo che «uno fa due e due fa uno» questa formula esprime ciò che si è «visto nella generazione e nella moltiplicazione degli organismi inferiori». Dunque nella scissione del protoplasma quando esso non è più in grado di incorporare ciò che gli resiste, si separa da se stesso dividendosi, e la volontà di potenza può così conservarsi proseguendo la sua opera per delega, dal momento che il rapporto tra i due prodotti della scissione non può che diventare il rapporto tra due forze ineguali, tra due forze delle quali l’una diviene funzione dell’altra. Tuttavia le «circostanze» – cioè il caso, poiché l’organismo è l’eccezione e il caso85 – non si prestano sempre al mantenimento di quel «legame di subordinazione» che è il principio stesso di ogni organizzazione. Ma se le circostanze non lo permettono, e se la formazione di un organismo dipende dall’ineguaglianza delle forze, al contrario solo la loro eguaglianza la può impedire. Cioè quando il caso rende impossibile la formazione di un organismo, se ne formano due. Riconducendo la generazione alla volontà di potenza, Nietzsche scrive:
La separazione del protoplasma nel caso in cui una forma si crea come la gravità è ripartita ugualmente in due ambiti. A partire da ognuno si produce una forza centripeta astringente: allora la massa intermedia si lacera. Dunque: l’uguaglianza dei rapporti di potenza è l’origine della generazione. Ogni sviluppo ulteriore è forse legato alla formazione di tali equivalenze di potenza86.
La divisione quindi di un protoplasma in due ha luogo quando la potenza non è sufficiente «a sovrastare i possedimenti di cui si è appropriata»87. La generazione e l’organizzazione hanno dunque come origine comune un’impotenza della volontà di potenza che, al fine di non lasciarsi sfuggire ciò che ha conquistato, organizza ciò che ha già acquisito, scindendosi da se stessa per continuare a regnare su ciò di cui si è già impadronita. Così c’è una distinzione tra organizzazione e generazione. Laddove una volontà non è capace ad organizzare l’insieme di ciò di cui s’è appropriata, nota Nietzsche, entra in gioco una controvolontà che procede alla separazione, con un nuovo centro di organizzazione, dopo una lotta con la volontà originaria88. Se al termine di questa lotta, la volontà originaria è vittoriosa, è mantenuto il legame di subordinazione e c’è la formazione di un organismo – «due fanno uno» – ma se essa è vinta la controvolontà diviene autonoma e vi è la formazione di due organismi – «uno fa due».
Nell’uno e nell’altro caso la volontà di potenza non potendo più crescere, si stabilizza per non decrescere e la riproduzione è un «puro vantaggio»89. Con ciò si arriva al fatto che l’organismo, non diciamo il corpo, è una formazione di conservazione e non di intensificazione della volontà di potenza.
Così il corpo è fluido, poiché diviene nella forma, i suoi organi si modificano. Ma esso mantiene anche in sé la pietà o comprensione, che sono appunto presenti nell’organismo umano tra i diversi organi. La volontà comandando, esercita violentemente una volontà sull’altra e quindi c’è dolore. Così il male è una funzione organica90 e gli organi che comandano ed obbediscono di volta in volta modificano il loro senso; il corpo è un divenire. Questa incostanza o fluidità del senso rende la comprensione, cioè l’obbedienza, lenta e difficile quanto dolorosa e l’unità organica non può che rompersi per effetto di un eccesso di sofferenza. Questo mette l’organismo in pericolo e lo minaccia di sparizione.
Infine la volontà di potenza giunge ad assicurare la conservazione dell’organismo come forza organizzatrice, ed assicurare una rapida intesa tra gli organi secondo l’affermazione di Nietzsche per cui: «paure, volersi comprendere. Rendersi identico. Divenire identico. È l’origine dell’animale gregario»91. La pietà diventa così la condizione stessa di ogni comprensione tra gli organi e quindi della conservazione dell’organismo. Essa è comunicazione di senso tra i vari organi. Il logos o logica dunque è la carità stessa.
1 Umano, troppo umano, I, § 142.
2 Werke, herausgegeben von H.-J. Mähl und R. Samuel, Bd. II, pagg. 376 e 766.
3 Id., pag. 762. Cfr. I Cor., III, 16-17, citato da Nietzsche, 1887, 10 (179).
4 Id., Bd. II, pagg. 599 e 831; cfr. pagg. 556 e 602.
5 Novalis, Werke, Bd. II, pag. 551.
6 1884, 26 (370); cfr. 1884, 25 (120) e (362); 1888, 14 (151).
7 Ef., IV, 24; cfr. Rom., VI, 6 e Gal., III, 27.
8 1882-1883, 4 (83); Schopenhauer educatore (1874), § 4; 1881, 11 (27). Nelle Illuminazioni, pubblicate nel 1886, Rimbaud, riprendendo anch’egli l’espressione paolina esclama: «Oh! Le nostra ossa sono rivestite di un nuovo corpo amoroso» o ancora: «Giri la testa: il nuovo amore! Rigiri la testa: l’amore nuovo!»; 1885-1886, 1 (216); cfr. 1883, 3 (1), n° 148; 1885, 34 (235). In una delle sue ultime note in cui si raccoglie tutta la sua impresa, Nietzsche annuncia: «È solo a partire da me che ci sono nuove speranze»; 1888-1889, 25 (6).
9 1884, 26 (374).
10 1885-1886, 2 (91); cfr. 1884, 27 (70) e 1886-1887, 7 (63).
11 1885, 40.
12 1888, 14 (80).
13 1888, 14 (80).
14 1888, 25 (485).
15 Cfr. 1885, 36 (35) e 37 (4); 1885, 40 (15); 1884, 27 (70).
16 1888, 14 (119).
17 1886-1887, 5 (56).
18 1884, 25 (445).
19 Nota del 1887, con riferimento alla Nascita della tragedia dove Nietzsche afferma che l’arte è il filo conduttore del mondo e non il corpo.
20 1885-1886, 2 (114); cfr. 1885-1886, 2 (119); 1885-1886, 2 (114); cfr. Umano, troppo umano, I § 27, in cui l’arte è già compresa come ciò che assicura la transizione dalla religione a “una scienza filosofica effettivamente liberatrice”.
21 Cfr. 1885, 25 (408) e 1883, 7 (133).
22 1883, 7 (133); cfr. 1883, 7 (151).; 1880, 6 (359).
23 1875, 9 (1).
24 1885, 37 (4). È possibile che Nietzsche si sia qui ricordato di un testo di Kant probabilmente letto nel momento in cui, nel 1867-1868, aveva intrapreso una tesi sulla teologia e l’organismo. Nell’Unico fondamento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio, Kant scrive che «Poiché è stupefacente che qualcosa come un corpo animale sia stato possibile. Anche se potessi comprendere tutte le piume, tutti i vasi, tutte le fibre nervose, tutti i muscoli, tutta la disposizione meccanica del corpo, resterei ancora am-mirato che così molteplici elementi abbiano potuto essere riuniti in una sola struttura, che funzioni che si esercitano in vista di un fine possano articolarsi così bene con altre e che inoltre lo stesso meccanismo possa servire alla conservazione della macchina […] Anche quando ho finito per convincermi che tanta umanità e armonia non sono possibili che in ragione dell’esistenza di un essere che, oltre ai fondamenti dell’effettività, contiene anche quelli di ogni possibilità, la ragione di ammirare non sparirebbe lo stesso», op. cit., Akademieausgabe, Bd. II, pag. 152. Ricordiamo questo testo per indicare fin da ora che l’interpretazione nietzscheana del corp9o e della coscienza funge da critica della logica trascendentale kantiana.
25 1888, 14 (122).
26 1882-1883, 4 (207).
27 1884, 27 (59).
28 1885, 34 (123); cfr. 1882-1883, 4 (189).
29 1885-1886, 1 (58).
30 Al di là del bene e del male, § 36; cfr. 1885, 40 (37), 1885-1886, 2 (139) e 1886-1887, 5 (9).
31 1888, 14 (105); cfr. già 1869-1870, 3 (23); 1872-1873, 19 (55) e (156);1885, 35 (55) e (54); cfr. 1881, 11 (148), (190), (233), (245),(265) e (305).; 1888, 14 (79) e 1884, 25 (196).
32 1888, 14 (79) e 1884, 25 (196); 1887-1888, 11 (83); cfr. 1888, 14 (184). Cfr. 1885-1886, 2 (94); 1885-1886, 2 (157); cfr. 1884, 26 (224).
33 1885-1886, 2 (76).
34 Si deve a G. Deleuze d’aver insistito sull’importanza della distinzione tra forze attive e reattive: cfr. Nietzsche et la philosophie, pagg. 44 sgg.
35 1885-1886, 2 (95); cfr. 1884, 26 (72) e (75).
36 Aurora, § 103; cfr. 1881, 11 (112), sulla modalità del gusto; 1881, 11 (252) sulla storicità delle sensazioni; 1884, 27 (63), 1885, 34 (255), 1885-1886, 2 (35).
37 1887-1888, 11 (73).
38 1887-1888, 11 (374); cfr. 1885-1886, 2 (108); 1886-1887, 5 (25).
39 Così parlò Zarathustra, 1, «Della virtù che dona»; 1885, 34 (120).
40 La gaia scienza, § 143. Questo paragrafo, che presenta una delle prime occorrenze della parola «superuomo» dev’essere compreso in funzione del paragrafo 125. Il folle, che annuncia la morte di Dio; cfr. 1881, 12 (7).
41 1883-1884, 24 (28).
42 1887, 9 (165).
43 Philosophie als strenge Wissenschaft, in Husserliana, Bd. XXV, pag. 59.
44 1884, 26 (72); cfr. 1882-1883, 4 (147) e 1883, 7 (263) dove la pulsione è compresa come «personificazione» di una attività.
45 1886-1887, 7 (60).
46 1884, 25, (460); cfr. Umano, troppo umano, § 99; 1880, 3 (7), 1881, 11 (289), 1885-1886, 2 (203).
47 1881, 11 (313); cfr. La gaia scienza, § 109.
48 1883, 7 (133); cfr. 1882-1886, 4 (217).
49 1884, 26 (275);
50 1888, 14 (18); cfr. 1881, 14 (24).
51 1887-1888, 11 (61).
52 1888, 14 (173).
53 1888, 14 (173); cfr. 1881, 11 (309).
54 1888, 14 (80).
55 1870-1871, 5 (81), 1877, 22 (117), 1884, 26 (431); cfr. 1885, 36 (25), dove «lo spazio assoluto» è definito come «il sostrato della forza».
56 Id.
57 Cfr. Heidegger et le problème de l’éspace.
58 1883, 7 (173) e 1886-1887, 5 (81), in cui le «formiche» sono opposte agli «uomini sintetici», cioè ai superuomini; a proposito dell’origine gerarchica del linguaggio, cfr. La genealogia della morale, 1, § 2 e 1885-1886, 2 (156).
59 1881, 11 (316).
60 1886-1887, 5 (56); cfr. 1885-1886, 1 (72).
61 1885-1886, 2 (84).
62 La genealogia della morale, I, § 13.
63 1885, 40 (37).
64 Il viaggiatore e la sua ombra, § 55; Al di là del bene e del male, § 19; cfr. La gaia scienza, §§ 99 e 127.
65 1884, 26 (17).
66 1888, 17 (35); cfr. «Divagazioni di un “inattuale”», § 20, in Crepuscolo degli idoli e 1888, 16 (40): «Tutto ciò che è brutto indebolisce e rattrista l’uomo: gli ricorda il decadimento, il pericolo, l’impotenza. Possiamo misurare col dinamometro l’impressione della bruttezza. Quando è depresso, è per l’effetto di qualcosa di brutto. Il sentimento di potenza, la volontà di potenza-cresce con la bellezza, diminuisce con la bruttezza».
67 Ecce homo, «Perché ho scritto così buoni libri», Così parlò Zarathustra, § 4; cfr. 1887, 9 (70).
68 1888, 14 (121); Al di là del bene e del male, § 23; 1884, 25 (113); cfr. 1882-1883, 4 (217); 1883, 7 (60)e 7 (268).
69 1885, 37 (8); si tratta di una prima versione del § 19 di Al di là del bene e del male.
70 1885, 40 (39).
71 Cfr. Umano, troppo umano, 1 (96).
72 1886-1887, 7 (25); cfr. 7, (9); 7 (44) e 1884, 26 (85).
73 1884, 26 (407); cfr. 1885, 38 (13).
74 1883, 7 (94).
75 1885-1886, 2 (77).
76 1885-1886, 2 (148).
77 1885, 34 (194).
78 Cfr. G. Canguillhem, «La théorie cellulaire», in La conoissance de la vie, pag. 49; F. Jacob, La logique du vivant, pag. 132 e Heidegger, Die Grundbegriffe der Metaphysik, G. A., Bd. 29/30, pag. 327.
79 1882-1883, 4 (217); cfr. 1883, 7 (97).
80 1885-1886, 2 (76); 1887, 9 (151).
81 1885-1886, 1 (58).
82 1885, 26 (21). Sulla formazione degli organi a partire dalla volontà di potenza come unità del volere, del sentire e del pensare, cfr. 1885, 40 (37), 40 (38) e 1885-1886, 1 (57), dove Nietzsche si fissa per compito il «presentare le trasformazioni della volontà di potenza, i suoi adattamenti, le sue specializzazioni- parallelamente allo sviluppo morfologico».
83 1885-1886, 2 (69).
84 1885-1886, 2 (68).
85 1881, 11 (313).
86 1884, 26 (274); cfr. 1885, 43 (2); 1887, 9 (98).
87 1885-1886, 1 (118).
88 1886-1887, 5 (64); cfr. 1885-1886, 2 (76). W. Müller- Lauter ha mostrato che queste note corrispondono al libro di W. H. Rolphs, Biologiche Probleme zugleich als Versuch zur Entwicklung einer nationalen Ethik, di cui Nietzsche fece acquisizione nel 1884; cfr. art. citato, p. 222, nota 180, e 1885, 35 (34).
89 1887, 10 (13).
90 1884, 25 (113). Nietzsche aggiunge: «compassione».
91 1884, 27 (42); cfr. 27 (49).