Franca Sera
Questo paragrafo deve servirci a posizionare la logica nell’insieme delle scienze filosofiche. Compito arduo perché, per far ciò, si deve poter dare una divisione (Einteilung) generale della filosofia nelle sue diverse branche. E questa divisione presuppone una comprensione del tutto che, per definizione, fa ancora difetto all’inizio dell’esposizione sistematica. Di nessuna filosofia, d’altronde, si può dare una rappresentazione preliminare e generale che sia soddisfacente, perché il contenuto e l’articolazione di questa rappresentazione anticipata non si giustifica, in fin dei conti, che attraverso la genesi sistematica, progressiva e necessaria della stessa esposizione scientifica.
La filosofia è, infatti, la scienza dell’Idea, come vedremo immediatamente, e solo il tutto della scienza è la vera rappresentazione (Darstellung) dell’Idea in se stessa e non soltanto la sua presentazione (Vorstellung) schematica, atta cioè a soddisfarei bisogni della nostra intuizione o della nostra immaginazione. Pertanto la suddivisione della filosofia in scienze particolari non può essere realmente “concepita” o “compresa” (begriffen) – e dunque non soltanto “rappresentata” – che a partire dall’Idea stessa nel suo sviluppo totale. Pertanto, come noi la presentiamo ora, questa divisione non è ancora il prodotto dell’auto-partizione dell’Idea -come sarà invece nei §§244 e376-, ma soltanto un qualcosa di anticipato, una classificazione astratta dei diversi momenti dell’Idea[1]. Quanto al concetto proprio dell’Idea, anch’esso è soltanto anticipato, esattamente come la divisione che ne deriva, perché sarà proprio e solo nel corso della Logica, e precisamente al § 212, che si produrrà il concetto dell’Idea. Da ciò segue che, qualora si voglia offrire una classificazione delle scienze filosofiche e collocarvi all’interno la scienza della logica, si deve necessariamente iniziare con il chiarire questo termine “Idea”, “Idea assoluta”, per quanto ovviamente sia possibile fare al di fuori di una stretta genesi sistematica.
Per prima cosa, per cogliere la portata speculativa dell’“Idea” hegeliana, ci si può riferire al Nοῦσ di Anassagora o all’Idea platonica o, ancora, al Logos stoico. Si può anche pensare alla terza Idea kantiana, l’Idea teologica della Ragion pura, ma a condizione di notare che, in Hegel, il fossato tra l’Idea noumenale e il fenomeno è livellato al punto che l’Idea, contrariamente a ciò che accade in Kant, è per il filosofo di Stoccarda sovranamente oggettiva ed è anche, come in Cartesio e soprattutto in Spinoza, l’oggetto proprio del Cogito, per quanto esso si espanda alle dimensioni del pensiero puro o dell’intelletto divino. L’Idea è, dunque, l’intelligibilità di ogni cosa, il pensiero che anima tutto e di cui tutto è un riflesso, una partecipazione. È il tutto nella sua intelligibilità. L’Idea, è ogni cosa in quanto forma intelligibile trasparente per il pensiero, ed è questa stessa trasparenza. Essa è l’Eἶδος, l’Iδέα, la “Visione” nel triplo senso soggettivo, oggettivo e assoluto di ciò che vede, di ciò che è visto e dell’atto stesso del vedere. Per meglio dire, l’Idea, come suggerisce lo stesso Hegel[2], è la Nόησις νοήσεως di Aristotele, il pensiero che si pensa e che, pensandosi, pensa tutto ciò che è pensabile, vale a dire ogni cosa. È ad essa che sono sospesi i cieli e la terra, perché al fondo di ogni cosa c’è il pensiero e fuori di esso (ma non esiste un fuori) tutto il resto (ma non esisteun resto) è “errore, confusione, opinione vana, agitazione, volontà arbitraria e apparenza passeggera: solo l’Idea assoluta è Essere, vita imperitura, verità che si sa essa stessa e ogni verità”[3]. Ora, se anticipiamo i §§che vanno dal 213 al 215 e il §236, vediamo come l’Idea si rivela essere il pensiero puramente e semplicemente identico a se stesso, e ciò, nello stesso tempo, sia in quanto attività che consiste, al fine di essere per sé, nel porre se stessa davanti a sé (sich gegenüber) sia, d’altro canto, nel non essere che presso se stessa. In altri termini, l’Idea è prima di tutto un universale, una Totalità dalla quale, in poche parole, non si esce mai. È il Pensiero che, qualunque cosa sia e qualunque cosa pensi, s’afferma e si conferma sempre come Pensiero e così rimane identico a se stesso. L’Idea, colta in quella purezza e in quella astrazione attraverso le quali è pura intelligibilità che si coglie come intelligibilità pura, è l’oggetto della Scienza della Logica, che è pertanto la scienza dell’Idea come Logos universale o, come dice Hegel, dell’Idea in e per sé, con la duplice sfumatura di astrazione e di purezza ma anche di totalità e di assenza di unilateralità, implicita nell’espressione “in-e-per-sé”. Ma, a ben guardare, in questa definizione dell’Idea considerata come il pensare identico a se stesso, c’è ben più della semplice universalità logica del Pensiero. Infatti, come verrà verificato più di una volta in seguito, non c’è in Hegel una vera affermazione se non attraverso la prospettiva della negazione della negazione. Allo stesso modo in cui l’Infinito hegeliano, per esempio, non è nient’altro che la negazione di quel nulla che è il Finito, così l’identità con sé che è il Pensiero, altro non è se non la negazione della sua differenza con sé. Nell’espressione “identico con sé” (e specialmente nella preposizione “con”) si trova così descritto un simile processo di identificazione con sé: il Pensiero è identico a sé perché differisce da sé e nega questa differenza. La distanza da sé a sé implicata da questa identificazione con sé costituisce l’Idea come Natura e, per questo, fonda la Filosofia della Natura, che è, nella terminologia hegeliana, la scienza dell’Idea nel suo essere-altro, cioè dell’Idea nella sua alterità, nella sua differenza con sé, nel suo allontanamento da sé, nella sua particolarità nel senso etimologico di “partizione”, “separazione”. Quanto all’atto stesso dell’identificazione con sé proprio del Pensiero, atto implicato dal “sé” dell’espressione “identico con sé”, quanto cioè al processo di ritorno a sé fuori dalla differenza e dalla coincidenza attiva con sé, esso è, invece, costitutivo dell’Idea come Spirito e fonda la Filosofia dello Spirito, vale a dire la scienza dell’Idea che, dal suo essere-altro, ritorna in sé. È la scienza dell’Idea non più nella sua universalità logica né nella sua particolarità naturale, ma nella sua singolarità spirituale di atto che dispone sovranamente di sé.
Tali sono dunque, a livello di una rappresentazione anticipatrice, le grandi divisioni della scienza filosofica. Il risultato che ci interessa in primo luogo in questa classificazione è che la Logica può essere definita provvisoriamente come la scienza dell’Idea “in e per sé”. Questo modo di vedere ci richiede, però, qualche nota.
- 18 Nota
Come indicato nel corpo del paragrafo, le differenze fra le diverse scienze filosofiche particolari non sono che determinazioni dell’Idea stessa: esse corrispondono ai differenti momenti dell’Idea. È dunque l’Idea stessa e soltanto l’Idea che si rappresenta (sich darstellt) in quei differenti elementi. In effetti l’unica Idea della filosofia si rivela essere il pensiero puramente e semplicemente identico con sé (è l’Idea-Logos) e questo, nello stesso tempo, –e qui si trova esplicitato ciò che è contenuto nell’espressione “pensiero identico con sé”- come l’attività che consiste, al fine di essere per sé (è l’Idea-Spirito), nel porre se stessa di fronte a sé e, in questo altro (è l’Idea-Natura), a non essere che presso di sé (è l’Idea logica posta dallo Spirito nella sua identità e nella sua continuità assolute con sé).
Pertanto, il Logos, la Natura e lo Spirito non sono che tre momenti parziali e passeggeri dell’unica Idea assoluta la cui totalità si riflette in ciascuna di queste tre Idee determinate, Idee che, evidentemente, riprendono le Idee del primo Schelling e, oltre Schelling, le tre Idee kantiane della ragione: Dio, il mondo e l’anima (cfr. §15). Da allora, non c’è nella natura qualcosa d’altro dall’Idea che potrebbe essere conosciuto ma unicamente l’Idea – la stessa Idea del Logos -;esclusivamente, nella natura, l’Idea è nella forma del suo essere-altro o, più precisamente, della sua esteriorizzazione o della sua alienazione (Entäusserung)[4]. Ugualmente, nello Spirito, non c’è nient’altro che l’Idea e neppure un’altra Idea che si presenti; è la stessa Idea, ma la stessa Idea in quanto essente per sé e diveniente in e per sé. Che significa tutto ciò?
Abbiamo visto che il Logos è l’Idea in e per sé e che così la Logica è la scienza dell’Idea in e per sé, cioè la scienza dell’Idea pura, della pura intelligibilità nell’astrazione del suo solo pensiero di sé, la scienza dell’Idea che non ha ancora né la parzialità di un in sé-naturale, né quella di un per sé-spirituale, ma che dimora nell’imparzialità del suo in-e-per-sé logico e così non ha altra parzialità che la sua stessa imparzialità. Il culmine di questa scienza della logica, è, dunque, l’Idea assoluta in quanto Idea logica, vale a dire in quanto Idea che si pensa essa stessa come Idea pura al di fuori del tempo e dello spazio, dell’uomo e della storia. In questo movimento e attuazione di sé si trovano certamente già iscritti in filigrana il momento naturale dell’opposizione di sé a sé e il momento spirituale del ritorno attivo a sé. Invero, in quanto Pensiero che si pensa, esso è, allo stesso tempo, il soggetto (il Pensiero), l’oggetto (si) e l’avvenimento assoluto (pensa) di quest’atto del pensare. Ma nella Logica, questi due altri momenti dell’Idea, il momento naturale e quello spirituale, non sono pensati che, precisamente, nella loro universalità logica, nella loro idealità pura: il primo in quanto oggettività e il secondo in quanto soggettività o concetto dell’Idea assoluta[5]. Il Concetto, l’Oggetto e l’Idea sono di fatto i tre momenti logici dell’Idea assoluta. La Natura e lo Spirito non sono allora nient’altro che l’esistenza reale (real), autonoma e, in certo modo, separata di questi due aspetti, soggettivo e oggettivo, dell’Idea assoluta, ai quali si rende così piena giustizia. Come l’Idea logica è l’Idea assoluta esistente liberamente, o meglio allo stato libero, nel suo momento universale di pura intelligibilità che comprende essa stessa in e per sé, la Natura è la stessa Idea assoluta che esiste liberamente nel momento particolare e contraddittorio della sua oggettività o del suo in-sé, cioè nella coincidenza immediata e statica con sé in cui si aliena la pura mobilità dell’Idea, e lo Spirito è la stessa Idea assoluta che esiste liberamente nel momento singolo del suo per-sé, ovvero nella sua attiva liberazione da sé e nel suo ritorno soggettivo a sé grazie alla posizione di sé per sé.
Ciò nondimeno, al culmine del suo sviluppo, lo Spirito, in quanto Spirito assoluto, coglie ancora una volta e in modo nuovo la sua pura intelligibilità ideale attraverso l’arte, la religione e la filosofia e torna così, percorse le vicissitudini della libertà umana e della storia universale, all’apprendimento dell’Idea assoluta nell’in-e-per-sée della sua trasparenza logica a se stessa. È per questo che lo Spirito non è soltanto l’Idea in quanto essente per sé, ma anche l’Idea in quanto diveniente in e per sé. Ecco che allora il sistema enciclopedico delle scienze filosofiche si chiude con il ritorno al suo punto di partenza, cioè alla scienza della logica come scienza dell’Idea pura in e per sé, con la differenza, tuttavia, che quell’Idea logica che all’inizio non era ancora che la possibilità di ogni cosa, si avvera essere, al termine del cammino, la realtà sostanziale di ogni cosa, la fine ultima nella quale si cancella, a profitto dell’in-e-per-sé dell’Idea logica assolutamente universale, la doppia unilateralità, oggettiva e soggettiva, della Natura (Idea in sé) e dello Spirito finito (Idea essente per sé e diveniente in e per sé).
Il fatto che né il Logos, né la Natura, né lo Spirito siano altra cosa rispetto all’Idea assoluta si traduce nella fluidità e nella continuità del loro passaggio gli uni negli altri. La verità del sistema è, in effetti, l’unica Idea assoluta. Certo, essa non esiste astrattamente al di fuori delle tre sfere del Logos, della Natura e dello Spirito, ma nondimeno essa trascende ognuna di queste come un momento astratto di sé. Questa trascendenza dell’Idea assoluta in rapporto alle tre Idee particolari nelle quali pure si presenta, si manifesta proprio nel passaggio necessario da una sfera all’altra. Sia che si tratti del Logos, della Natura o dello Spirito, tale determinazione, nella quale l’Idea si mostra, è dunque e nello stesso tempo, malgrado l’alterità o la distinzione dell’elemento particolare che essa costituisce, un momento fluido (fliessendes), ossia un momento transitivo che, man mano che si compie e si totalizza, scorre e passa nel successivo. È per questo che ogni singola scienza (la Logica, la Filosofia della Natura o la Filosofia dello Spirito) non ha per vocazione esclusivamente la conoscenza del suo proprio contenuto(il Logos, la Natura o lo Spirito) come un oggetto che è (seienden), ossia come un oggetto marcato dall’immediatezza, l’immobilità e l’identità astratte dell’Essere[6]: invero, essa consiste anche nella conoscenza di come, immediatamente, avvenga in ciascuno di questi contenuti il passaggio a una sfera superiore. La Logica non conosce quindi soltanto il Logos in quanto Logos, ma anche il Logos come passaggio dal Logos alla Natura (§244); analogamente, la Filosofia della Natura non conosce soltanto la Natura in quanto Natura, ma anche la Natura come passaggio dalla Natura allo Spirito (§376) e, ancora, la Filosofia dello Spirito non conosce soltanto lo Spirito in quanto Spirito, ma anche lo Spirito come ritorno dello Spirito assoluto al pensiero puro del suo principio logico originale (§574).
In conseguenza a quanto appena detto, la rappresentazione che suddivide in tre parti distinte la totalità della scienza ha questo di non corretto: che pone le parti o scienze particolari le une giustapposte alle altre, senza indicare la loro fluidità in seno all’unica Idea totale, come cioè se si trattasse soltanto di parti immobili che poggiano sostanzialmente su se stesse, allo stesso modo in cui, in un genere, le specie diverse hanno la loro sostanzialità propria e autosufficiente[7].
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La Logica è la scienza dell’Idea in e per sé. Abbiamo visto che l’espressione “in e per sé” designa allo stesso tempo l’assenza di unilateralità e, attraverso questa, l’astrazione dell’Idea logica come intelligibilità che comprende se stessa. È questo aspetto d’astrazione che è messo per primo in evidenza quando si dice che la Logica è la scienza dell’Idea pura. È la scienza dell’Idea in quanto questa è il Pensiero di sé e soltanto di sé e non la scienza dell’Idea in quanto essa si realizza nelle forme più concrete della Natura e dello Spirito. La “purezza” che qui è in questione ha, pertanto, un significato originariamente privativo, nel senso che la Logica viene a indicare la scienza dell’Idea nell’elemento astratto del pensiero o, meglio, del pensare (des Denkens): non riguarda che la pura forma della verità in quanto tale, o il pensare del pensare. Tuttavia, se la Logica è sicuramente la scienza dell’Idea pura, cioè dell’Idea che si muove nell’elemento o nell’ambiente astratto del pensare come tale, resta il fatto che è l’Idea che è presente in questo elemento, che è essa che ci si mette, e solo così si dispiega effettivamente in essa la ricchezza del pensare. Quindi, per quanto possa apparire vera, la definizione secondo cui la Logica è la scienza del pensare, delle sue determinazioni e delle sue leggi rischia nondimeno di velarne la ricchezza se, in questa definizione, non si presta attenzione che a un solo pensiero il quale, considerato astrattamente in quanto tale, è soltanto l’elemento o la determinazione generale nella quale è l’Idea in quanto logica. Ma, ripetiamolo, in questo elemento astratto, è l’Idea che si trova e che si mette. Questo è vero perché l’Idea logica, sebbene abiti nell’elemento astratto del pensare, rimane comunque e sempre sovranamente concreta. Essa è il pensare, non in quanto pensare formale – come nella logica formale tradizionale – ma in quanto totalità in sviluppo di determinazioni e di leggi proprie che il pensare dà a se stesso dispiegandosi, determinazioni e leggi che esso non ha e che quindi non trova in se stesso come cosa nota, ma che genera lasciando dispiegare in sé la ricchezza in movimento e vitale dell’Idea. Benché sia la forma assoluta della verità e anche la pura verità, il Logos non è dunque, nonostante la sua astrazione e la sua purezza, una entità puramente e semplicemente formale, sprovvista di contenuto. Non solamente il Logos è la verità in e per sé e quindi la forma assoluta della verità, ma esso dispiega anche, secondo la totalità del suo sviluppo, la ricchezza di tutte le determinazioni che formano il contenuto del pensiero e la cui logica speculativa è la scienza sistematica. Se dunque il Logos è astratto in rapporto alle realtà naturali e spirituali di cui è pur sempre essenza intelligibile, esso è nondimeno sovranamente concreto, non solo perché è il fondamento intelligibile di queste realtà, ma anche e soprattutto perché è in se stesso la vita e il movimento del Pensiero che si pensa.
Dovremo tenere bene in mente tutto questo all’inizio della logica propriamente detta, ovvero al § 86. L’Essere puro, che è la prima categoria della logica, vi sarà infatti presentato come “puro pensiero” (reiner Gedanke). A questo stadio iniziale è evidentemente la purezza o l’astrazione del pensare immediato e originale ad essere sottolineata e non già il fatto che questa immediatezza incoativa sia quella del pensare. Per questo Hegel si serve, nel § 86, del termine Gedanke (“Pensiero”), che designa il prodotto del pensare -e dunque l’oggetto della logica – in ciò che esso hadi più formale e di più indeterminato[8]. Non sarà che in seguito, nel corso progressivo e soprattutto finale della logica, che si rivelerà la ricchezza concreta di questo pensiero e che il Logos si manifesterà non più soltanto come “puro pensiero” ma anche come totalità pensata e pensante dell’Idea assoluta, come universo concreto del Pensiero che pensa se stesso. A dispetto della sua importanza, la bella Nota di questo § 19 non necessita di un commento dettagliato, pertanto ne abbiamo riportato i passaggi più significativi, secondo il nostro punto di vista, nel commento del corpo del paragrafo.
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La Logica è la scienza della logica, ossia del Logos o dell’Idea pura in e per sé. Vedremo nel § 83 che, dal punto di vista del contenuto, la logica si divide in tre parti nelle quali si espone la totalità delle determinazioni del pensiero. Ma, in ogni momento della logica, la Logicità stessa ha, secondo la forma, tre lati o aspetti: α) l’aspetto astratto o rilevante per l’intelletto(verständige); β) l’aspetto dialettico o negativamente-razionale; γ) l’aspetto speculativo o positivamente-razionale. Questi tre aspetti della logica saranno studiati nei tre paragrafi seguenti. Prima di iniziare la loro lettura, ci attarderemo però qualche istante sulla Nota del § 79.
- 79 Nota
I tre lati o aspetti formali della logica non costituiscono tre parti nelle quali si suddivide il contenuto totale dell’Idea logica. Sono piuttosto momenti di completa realtà logica (jedes Logisch-Reellen), cioè di ogni concetto logico e di tutto ciò che è vero in generale. Essendo il primo di questi momenti, il momento dell’intelletto astratto, ovvero quello della separazione delle determinazioni del pensiero – come vedremo tra breve – è possibile, afferma Hegel, porre anche tutti questi tre momenti formali sotto il segno di un tale isolamento astratto e tentare allora di far corrispondere ciascuno di questi momenti a una parte determinata della logica, ma, così facendo, essi non verrebbero più considerati nella loro verità, come cioè aspetti formali onnipresenti, risultando, al contrario, privi del loro significato proprio.
Notiamo infine che l’indicazione qui fornita delle determinazioni formali della Logicità (§§ da 79 a 82), esattamente come quella circa la divisione del contenuto della logica (§ 83),è soltanto anticipata e storica, allo stesso titolo della classificazione delle scienze filosofiche offerta nel § 18. Detto altrimenti, si fa qui soltanto l’inventario (ίστορία) del pensiero senza mostrarne ancora la necessità processuale e immanente.
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α) In quanto INTELLETTO astratto, il pensare (o il pensiero) si attiene alle determinazioni isolate e fisse del Logos. Esso poggia sulla determinazione rigida e rigidamente separata, e dunque sul suo carattere differenziato (Unterschiedenheit) in rapporto ad altre determinazioni; ed è una tale entità astratta, una tale astrazione delimitata (beschränktes Abstraktes) che vale per l’intelletto come avente per sé consistenza e quindi come essente per sé. É cosi, per esempio, che nella triade dell’Essere, del Nulla e del Divenire, l’intelletto si aggrappa a ciascuna categoria presa isolatamente, come se avesse una verità in se stessa e per se sola e si sforza di preservarla dalla contaminazione derivante dal rapporto con le altre categorie. Non si dovrebbe, pertanto – malgrado le espressioni hegeliane che ci invitano a farlo – considerare questo “intelletto” da un punto di vista soltanto soggettivo ed esteriore. L’intelletto è, invero, un momento formale del pensiero logico come tale e non soltanto un aspetto della nostra riflessione soggettiva. Il pensare logico è dunque esso stesso oggettivamente intelletto, nella misura in cui comincia a dispiegare discorsivamente le determinazioni del pensiero sotto forma di categorie rigide, separate astrattamente le une dalle altre.
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β) Il secondo aspetto formale della Logicità è il MOMENTO DIALETTICO o NEGATIVAMENTE-RAZIONALE. È il momento, presente ovunque nella logica, nel quale le determinazioni finite dell’intelletto, cioè le categorie logiche isolate le une dalle altre e astrattamente opposte le une alle altre, si sopprimono da sole, per il loro movimento proprio, e passano nelle loro determinazioni o categorie opposte. É così, per esempio, che il positivo, determinazione finita che l’intelletto mantiene astrattamente in disparte dal negativo, si rinnega esso stesso con il suo movimento immanente e passa nel suo opposto, il negativo.
Questo aspetto della Logicità è chiamato “dialettico” perché in esso è messo in evidenza il momento intermediario o transitivo (διά), quello attraverso il quale il Logos (λόγος) passa da una categoria all’altra e le attraversa tutte. La Nota preciserà ancora il senso propriamente hegeliano di tale vocabolo. Il momento dialettico è chiamato anche “negativamente-razionale” perché nella misura in cui, all’opposto dell’intelletto separatore, la ragione qui si presenta come capacità di cogliere l’unità concreta dei contrari, il suo lavoro comincia negativamente con la dissoluzione delle determinazioni fisse e la loro transizione nei loro opposti.
- 81 Nota
1) Se l’intelletto si impadronisce esso stesso del momento dialettico e, separandolo dall’intelletto stesso (primo momento) e dalla ragione (terzo momento), lo considera separatamente per sé, vale a dire come un momento isolato, allora il dialettico (das Dialektische) costituisce, soprattutto se lo si applica a concetti scientifici, lo scetticismo coltivato nell’Antichità. Diviso dall’intelletto che esso presuppone e dalla ragione positiva nella quale sfocia, il momento dialettico non è più, in effetti, che la negazione astratta di ogni determinazione di pensiero. Lo scetticismo, che contiene così la negazione pura e semplice come risultato del dialettico astratto, è quindi quel momento del pensiero razionale nel quale la dialettica è invocata per contestare ogni posizione chiusa e rimettere in questione il potere abituale del conoscere stesso. Esso richiama, ancora vuota, una conoscenza superiore – e questo è il suo merito – senza però contenerla in modo positivo[9].
2) La dialettica – ed è questa una delle sue accezioni più ricorrenti – è considerata da coloro che la praticano abusivamente alla stregua di un’arte estrinseca e sofistica che, in modo arbitrario, genera confusione nei concetti determinati producendo in essi una semplice apparenza di contraddizioni tale che, agli occhi del buon senso popolare, non sono affatto queste determinazioni concettuali a essere screditate, ma piuttosto quel certo scetticismo superficiale e soggettivo che si diverte a trastullarsi con presunte contraddizioni. In questo contesto, è dunque l’apparenza (ingannatrice) di contraddizioni che appartiene al Niente e non i concetti determinati nei quali la sofistica pretende di scoprire queste contraddizioni e, invece di essere la dialettica, così intesa, a fornire la verità, è piuttosto l’intelletto ad essere nel vero, poiché conserva fermamente i suoi concetti determinati. Inoltre – ed è questo il suo peggior decadimento – spesso la dialettica non è stimata essere nulla più che un sistema soggettivo di bilanciamento: un’altalena di razionalizzazioni sprovviste di qualsiasi contenuto consistente e costretta, per questo, a dissimulare il proprio vuoto sotto la maschera di uno spirito acuto che genera tali ragionamenti.
Nell’epoca moderna, il grande merito di Kant consiste nell’aver restaurato la dialettica in un senso oggettivo. Kant ha infatti mostrato che certe determinazioni di pensiero sono, per la loro stessa natura, necessariamente contraddittorie e capaci, qualora la ragione le applichi alle cose in sé, di inchiodarci per questo a invincibili illusioni; disgraziatamente egli ne ha tratto però la conclusione che è la Ragion pura che è inferma e impotente e non già queste stesse determinazioni finite. – Nella sua determinazione propria e autentica, la dialettica è piuttosto, contro ogni dialettica soggettiva e contro la dialettica kantiana, la natura propria e vera delle determinazioni dell’intelletto, delle cose e del finito in generale, natura immanente attraverso la quale queste determinazioni, queste cose e il finito in generale sopprimono essi stessi la loro non-verità e passano nel loro contrario al fine di formare, con esso, una unità concreta e vera. La dialettica si coniuga, così, alla riflessione, e tuttavia, al contempo, se ne distingue. La riflessione, difatti, non è nient’altro che un mettere in rapporto, in maniera esteriore ed estrinseca, le determinazioni, le quali rimangono così astrattamente ripiegate su se stesse; essa è cioè, per prima cosa, soltanto il semplice superamento (Hinausgehen) della determinazione isolata e una messa in relazione di quest’ultima per mezzo della quale essa è posta in rapporto a un’altra pur essendo mantenuta nel suo isolamento. È così, per esempio, che la riflessione mette in rapporto il positivo con il negativo, senza cioè contestare che il positivo sia in se stesso e per se stesso puramente e semplicemente il positivo[10]. La dialettica, al contrario, è quel superamento immanente in cui la natura unilaterale e limitata delle determinazioni finite dell’intelletto si presenta per ciò che essa è, ossia come loro negazione. Ogni determinazione finita e limitata è pertanto, proprio perché finita e limitata, una negazione. L’unilateralità delle determinazioni dell’intelletto e il loro carattere limitato sono dunque ciò che, dall’interno, le nega e le spinge all’annientamento. Tutto ciò che è finito ha così, per propria natura, quella di esibire la negazione attraverso la quale esso è soltanto finito, limitato, determinato e quindi negato; la sua natura propria di finito è, pertanto, di avere una fine, di finire e, infine, di sopprimersi da solo. Così intesa, la dialettica èquel movimento immanente attraverso il quale le determinazioni finite si sopprimono e passano nei loro opposti: il positivo nel negativo, il Finito nell’Infinito, ecc. In quanto assicura il superamento di ogni categoria finita, il dialettico costituisce, allo stesso tempo, l’anima motrice (die bewegende Seele) della progressione scientifica e il solo principio attraverso il quale una connessione e una necessità immanenti si introducono nel contenuto della scienza: è infatti solo per mezzo di un superamento esso stesso immanente, e non già mediante una riflessione estrinseca, che una transizione da una determinazione ad un’altra è assicurata; alla dialettica immanente della Cosa stessa corrisponde così la dialettica, pur sempre immanente, dello sviluppo della scienza.
Infine, a livello più generale, è nella dialettica come auto-soppressione e trasgressione immanenti alle determinazioni finite che risiede la vera elevazione, l’elevazione non esteriore, al di sopra del finito. Troppo spesso il pensiero metafisico si è elevato al di sopra del finito in modo arbitrario o esteriore; nella vera dialettica, invece, il finito si eleva da solo, si potrebbe dire, al di sopra di se stesso e passa così alla sua più alta verità.
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γ) Lo SPECULATIVO o POSITIVAMENTE RAZIONALE – terzo aspetto formale della Logicità– coglie l’unità delle determinazioni nella loro stessa opposizione, afferra l’affermativo che è contenuto nella loro dissoluzione (Auflösung) e il loro passaggio nell’opposto. Come tale, il pensiero in quanto intelletto si attiene alle determinazioni fisse, astrattamente affermative in se stesse. Al contrario, il pensiero dialettico come tale si attiene alla pura mobilità negativa tramite cuiqueste determinazioni si sopprimono e transitano al di là di esse stesse verso i loro opposti. La ragione, infine, in quanto si oppone sia all’intendere astratto sia al puro scetticismo dialettico, arricchisce la stabilità dell’intelletto con la mobilità della dialettica e, reciprocamente, coglie l’unità delle determinazioni (e dunque le mantiene) nella loro stessa opposizione (cioè nel movimento stesso che le relativizza e le fa passare le une nelle altre); essa dunque non si ferma né all’affermazione astratta dell’intelletto né alla negazione sempre astratta del puro dialettico perché coglie piuttosto l’affermativo che è effettivamente contenuto nella dissoluzione stessa delle determinazioni finite e nel loro passaggio in altra cosa. Per esempio, essa coglie l’unità della Qualità e della Quantità nella Misura e apprende come, in quest’ultima, la Qualità si continui affermativamente passando nel suo contrario, ossia rinnegandosi nella Quantità. La Nota che segue espliciterà questo carattere affermativo o positivo della ragione dialettica.
Per concludere, notiamo soltanto che questo terzo e supremo aspetto formale della logicità è chiamato a giusto titolo lo “speculativo” o il “positivamente-razionale”. È chiamato “speculativo” perché, superando le opposizioni finite dell’intelletto, penetra nell’essenza della ragione e di ogni cosa tramite la mistica senza mistero della θεωρία, del pensiero unificante per mezzo del quale gli opposti si riflettono e si fondono gli uni negli altri come in uno specchio (speculum) intelligibile. Ed è chiamato “positivamente-razionale” perché in esso la ragione, come unità concreta dei contrari, si manifesta non soltanto negativamente, attraverso la dissoluzione delle determinazioni dell’intelletto e il loro passaggio nei propri opposti, ma anche positivamente attraverso la loro conservazione e la loro affermazione trasfigurate. È pertanto di capitale importanza, notare – e ci torneremo molto spesso – che questa positività della ragione riposa tutta intera sulla sua più originaria e più definitiva negatività. L’affermazione vera, in Hegel, non è, infatti, mai altro che la positività del negativo, la coincidenza con sé del negativo assoluto.
- 82 Nota
1) Benché sia essenzialmente negativa, la dialettica ha quindi un risultato positivo. E ha questo risultato positivo perché ha un contenuto determinato o, in altre parole, perché il suo risultato, in verità, non è il Niente vuoto e astratto, la negazione pura e semplice ma, piuttosto, la negazione di certe determinazioni e dunque una negazione determinata e un Niente concreto. Queste determinazioni sono contenute nel risultato –assicurando così la riuscita positiva della dialettica – nella misura in cui questo risultato è un “risultato” che, in quanto tale, in quanto cioè “risulta” dalla negazione di certe determinazioni, non è un niente immediato ma un niente mediato da esse e dalla loro negazione e quindi un niente concreto e positivo che le contiene in sé come uno dei momenti costitutivi.
2) In ragione di questo carattere positivo e concreto, e nonostante sia qualcosa di pensato e persino di astratto – poiché si mette nel puro elemento del pensare (§§ 18 e 19) –, il razionale è allo stesso tempo un concreto, vale a dire una realtà in cui, come indica l’etimologia (con-crescere), si riuniscono e si unificano più determinazioni; il razionale è pensiero speculativo ma pensiero speculativo concreto o complesso e questo perché non è unità semplice e formale, ma unità di determinazioni differenti, così come è stato appena spiegato. Per questo motivo, parlando in modo assoluto, la filosofia – e la stessa scienza della logica – non riguarda semplici astrazioni o pensieri formali, come volgarmente si crede, ma unicamente e, al contrario, pensieri concreti, in movimento e complessi: in breve “concetti” o, meglio ancora, “il Concetto” (Begriff), ossia il pensiero in quanto si concepisce da solo e diventa più complesso man mano che si raccoglie, si unifica e si coglie per mezzo di una comprensione totale[11].
3) Nella logica speculativa, così come sarà qui sviluppata, è contenuta interamente e può anche essere costituita staccandola dalla prima, la logica scolastica classica, ovvero la semplice logica dell’intelletto. A questo scopo è infatti sufficiente mettere in disparte tutto ciò che la logica speculativa contiene di dialettico e di razionale per conservarne soltanto la forma dell’intendere. Ciò che resta, allora, non è che un inventario di entità logiche rigide e disparate, inventario di cui si alimenta la logica usuale e che assomiglia a una sorta di “istoria” (Historiae) in cui tutte le determinazioni del pensiero sono tenute insieme arbitrariamente e superficialmente, in un modo tale che, nella loro finitezza, esse valgono abusivamente come qualcosa d’infinito, d’assoluto e d’immutabile[12].
Aggiungiamo, infine, che nel corso del commento stesso non tematizzeremo più che assai raramente questi tre aspetti formali della logica: il momento dell’intelletto, il momento dialettico e il momento speculativo. Dal momento che essi riguardano il metodo dell’Idea logica, essi saranno cioè costantemente esercitati ma mai esplicitamente assunti a oggetto di riflessione. Essi non riappariranno in modo tematico che al termine della Logica, quando l’Idea assoluta penserà il proprio metodo (§§ da 238 a 242). Ritroveremo allora, sotto la forma del cominciamento, della progressione e della fine del metodo, i tre aspetti formali della Logicità che abbiamo qui anticipato per i bisogni della rappresentazione.
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L’ultimo paragrafo di questa introduzione è anch’esso un paragrafo di anticipazione che mira a consentire al lettore di rappresentarsi il corso totale della Logica, fornendogli altresì una divisione del suo contenuto.
La Logica si divide in tre parti:
- La dottrina dell’Essere
- La dottrina dell’Essenza
- La dottrina del Concetto e dell’Idea
L’oggetto della Logica è il Pensiero (Gedanke) in quanto prodotto del puro Pensare (Denken). Essa è la scienza dei puri pensieri, dell’Idea in e per sé (§§18 e 19). La Logica è così la dottrina del Pensiero. Dal momento in cui la Logica si divide in dottrina dell’Essere, dell’Essenza e del Concetto (e dell’Idea), essa si scompone contemporaneamente nella dottrina del Pensiero:
- Nella sua immediatezza, – il concetto in sé: l’Essere
- Nella sua riflessione e nella sua mediazione, –l’essere per sé e l’apparenza del Concetto: l’Essenza (e il fenomeno)
III. Nel suo essere-ritornato-in-se-stesso e nel suo essere-presso-di-sé sviluppato, – il concetto in e per sé: il Concetto e l’Idea.
Riprendiamo, di seguito, ognuno di questi punti il cui contenuto, lo ricordiamo, non sarà dimostrato che nel corso della Logica e la cui concatenazione formale sarà tematizzata un’ultima volta al termine della Logica stessa negli importanti paragrafi dedicati al metodo speculativo (§§ da 238 a 242).
- La prima parte della Logica – la dottrina dell’Essere – tratta del pensiero nella sua immediatezza, cioè del pensiero nella indistinzione, indifferenziazione e indeterminatezza proprie del suo coincidere originale con sé. Parlando in questo modo, descriviamo il luogo o l’elemento del pensiero: si tratta del pensiero nella sua immediatezza originaria. Ma, anche in questo luogo formale, il pensiero rimane il Logos che si concepisce, si sviluppa e si coglie; rimane il Concetto come noi lo abbiamo provvisoriamente definito al §82, Nota 2. Per questo, sul piano del contenuto propriamente detto, la dottrina dell’Essere non è soltanto, dal punto di vista formale, la dottrina del Pensiero nella sua immediatezza, ma anche, e più precisamente, la dottrina del Concetto in sé, vale a dire del Concetto quale resta racchiuso nella sua identità primitiva e astratta con sé, senza mediazione espressa ad altro da sé, come anche senza ritorno esplicito a sé.
- La seconda parte della Logica – la dottrina dell’Essenza – tratta in modo formale del pensiero nella sua riflessione e mediazione, cioè del pensiero nel movimento con cui, uscendo dalla sua primaria immediatezza, esso torna poi su di sé e si riflette proprio perché si media con l’altro da sé. Questo momento è di natura intermedia tra quello dell’Essere e quello del Concetto propriamente detto. Esso sarà dunque marcato da una essenziale dualità, così come sarà tematizzato alla fine della Logica, al §239, dove sarà mostrato che il momento intermedio della progressione tra l’inizio e la fine è quello della relazione tra termini differenziati. Così, fuoriuscendo dalla sua immediatezza e prima di essere ritornato pienamente in se stesso, il pensiero comincia a riflettersi in se stesso, ma lo fa restando vincolato all’immediatezza dalla quale pur si distacca. In tal modo, esso si trova nel momento distorto della sua riflessione (in sé) e della sua mediazione (attraverso il termine immediato dal quale si distanzia)[13]. Questa duplicità si ritrova nel secondo membro di questo secondo punto, nel quale si dice che la dottrina dell’Essenza, cioè la dottrina del pensiero nella sua riflessione e nella sua mediazione, è, sul piano del contenuto propriamente detto, la dottrina dell’Essere-per-sé e dell’apparenza del concetto. In quanto riflettentesi in sé, il Concetto esce, in effetti, dal suo essere immediato, ritorna su se stesso, diviene Essere-per-sé a titolo di essenza autonoma fondatrice di ogni esistenza immediata. In modo preciso però, essonon è che Essere-per-sé, ancora troppo immediato, e non un assoluto per sé[14], come il Concetto propriamente detto. Per questo motivo esso perdura come relativo a quel resto dell’Essere immediato dal quale pur si diparte e che coincide con l’apparenza, nella quale la mediazione è ancora solo esteriore. Così la seconda sfera del Logos, quella del pensiero nella sua riflessione e nella sua mediazione, quella dell’Essere-per-sé infinito del Concetto e della sua apparenza finita, viene ad essere la sfera nella quale l’Essenza, a dispetto della sua infinità nascente o piuttosto a causa della sua infinità soltanto sorgente, rimane legata in modo imperfetto all’apparenza e all’esistenza fenomenale nella quale media in modo finito la sua riflessione-in-sé, senza cioè uguagliarla ancora all’assoluto per-sé del Concetto propriamente detto.
III. La terza parte della Logica – la dottrina del Concetto e dell’Idea – tratta, sul piano formale, del pensiero nel suo Essere-ritornato-in-sé e del suo Essere-in-sé-sviluppato, cioè del pensiero che non è più soltanto nel movimento del suo riflettersi-in-sé ma che è ritornato in sé e coniuga in tal modo l’Essere-in-sé del primo momento con la riflessività del secondo. Sul piano del contenuto propriamente detto – passiamo subito direttamente al secondo termine della definizione – questa dottrina del pensiero nel suo Essere-ritornato-in-sé è anche la dottrina del Concetto propriamente detto o del Concetto per sé e assolutamente per sé. Ormai, è assolutamente per sé che il Concetto si sviluppa e non più, come Essenza, in relazione all’alterità ribelle della sua apparenza finita. Ma, nel suo libero per-sé, esso si sviluppa in modo preciso, affinché il pensiero si trovi, dal punto di vista formale, nel momento del suo Essere-in-sé, certo, ma anche nel suo Essere-in-sé sviluppato – e torniamo al primo membro della definizione. Considerandola sotto l’aspetto dello sviluppo concreto dell’Essere-in-sé del pensiero, la dottrina logica è, sul piano del contenuto propriamente detto – e così torniamo di nuovo al secondo membro della definizione – la dottrina del Concetto in e per sé, vale a dire del Concetto che, sviluppandosi, si dona, partendo dal suo libero per sé, la consistenza di un oggettivo in-sé. L’in-sé che è qui in questione non corrisponde dunque più a quello del Concetto immediato originario o dell’Essere, ma a quello nel quale il Concetto si determina prima di diventare Idea, cioè soggetto-oggetto[15]. Conseguentemente, la dualità di questo terzo punto della divisione del Logos non riguarda più, come nel secondo, la sua funzione mediatrice, quanto piuttosto il fatto che Hegel ha voluto qui definire contemporaneamente il Concetto propriamente detto e l’Idea. Il Concetto propriamente detto è il Concetto per sé o soggettivo, quello che corrisponde al pensiero nel suo Essere-ritornato-in-se-stesso e nel suo Essere-in-sé. Il Concetto in sé (nel senso or ora indicato) è il Concetto oggettivo o l’oggetto che corrisponde allo sviluppo dell’Essere-in-sé soggettivo del pensiero. Quanto all’Idea, essa è il soggetto-oggetto o il Concetto che è, allo stesso tempo, per sé e in sé; essa è il concetto in e per sé e corrisponde al pensiero nel suo Essere-ritornato-in-se-stesso e nel suo Essere-in-sé sviluppato.
Dopo questa divisione generale, possiamo infine cominciare il commento della Logica propriamente detta, muovendo dalla dottrina dell’Essere. Questa non inizia, tuttavia, che a partire dal § 86. Infatti, i §§ 84 e 85 costituiscono ancora una sorta di introduzione nella quale Hegel precisa anticipatamente lo statuto logico della sfera dell’Essere (§84) e sviluppa la portata metafisica delle categorie in generale (§85).
Note:
[1] Il carattere superficiale e inadeguato di questa “divisione” sarà sottolineato nel corso stesso della Logica al § 229.
[2] Cfr. 236, Addizione.
[3] L. II, 484a.
[4] L’Entaüsserung è una categoria della psicologia hegeliana che designa il momento in cui il Pensiero pone all’interno-di-esso-stesso un’esteriorità nella quale non si disfa di sé se non per meglio accedere a sé. La Natura è dunque qui considerata come essente, nell’Idea assoluta, il momento in cui l’Idea pone un’alterità radicale nella quale si spossessa della sua purezza e intimità solamente logiche al fine di tornare a sé e di gioire di sé come Spirito.
[5] Cfr. § 162.
[6] Cfr. §§ 84 e 86.
[7] La rappresentazione della suddivisione in Logica, Filosofia della Natura e Filosofia dello Spirito non ha solo l’inconveniente che abbiamo appena segnalato. Essa comporta anche e soprattutto la parzialità di un ordinamento speculativo unilaterale, quello che va dal Logos alla Natura e dalla Natura allo Spirito. Il Logos appare cioè come il punto di partenza, lo Spirito come il punto di arrivo e la Natura come l’elemento mediatore che assicura la connessione tra i due. Ora, questo è parziale e fazioso perché il Logos non è solamente un punto di partenza, essendo anche ciò che è generato dalla riflessione dello Spirito e ciò che penetra ovunque nel dispiegamento dell’Idea. Lo Spirito, a sua volta, non è soltanto un punto di arrivo poiché esso è anche l’atto che, da sempre, presiede liberamente a questo stesso dispiegarsi e che presuppone la manifestazione assoluta del Logos. Infine, mediare l’uno e l’altro tramite la Natura, cioè per mezzo dell’esteriorità a sé dell’Idea, è in realtà un unirli tramite ciò che è meno unificante, relazionarli per mezzo di ciò che è meno relazionale nell’Idea ed è anche non considerare la Natura che come un elemento mediatore mentre essa è, allo stesso tempo, anche il punto di partenza presupposto dello sforzo spirituale e il termine consistente cui si oppone eternamente l’Idea della filosofia. È per questo motivo che il tutto del sistema è da cogliere, in tutta la sua verità, non solamente secondo la successione Logos-Natura-Spirito, ma anche secondo il doppio scorrere Natura-Spirito-Logos e Spirito-Logos-Natura. Del resto, è proprio con questo problema capitale che Hegel si misura nella sua teoria dei sillogismi della filosofia ai §§ 575-576-577 della sua Enciclopedia del 1830.
[8] È chiaro d’altronde che, nel contesto del § 86, la designazione dell’Essere puro come “puro pensiero” non riguarderà soltanto l’astrazione mediante cui l’Essere puro è puro pensiero originario ma ancora e soprattutto, l’astrazione per mezzo della quale, esso è puro pensiero logico e non pensiero realizzato nella Natura e nello Spirito finiti. Ci ritorneremo nel commentare lo stesso § 86.
[9] Su questo problema della dialettica si vedano L. I, 6b, 36-39a; L. II, 491b-494. Cfr. anche E. § 239, Nota.
[10] Sulla riflessione si vedano anche §§ 112, Nota e 114 con Nota.
[11] Parlando di “concezione”, “raccolta” e di “inclusione” vogliamo rendere rispettivamente le diverse sfumature del latino conceptus (concipere e con-capere) e del tedesco Begriff (begreifen).
[12] “Istoria” (Historie e non Geschichte) è preso qui nel senso di una recita esteriore in cui gli avvenimenti sono semplicemente giustapposti e, contemporaneamente, in quello di un inventario empirico, come quando si parla, ad esempio, dell’“istoria” degli insetti o degli animali invertebrati ecc.
[13] La riflessione è sempre e congiuntamente riflessione-in-sé e riflessione-nell’altro. Questa congiunzione è stata peraltro già suggerita al § 81, Nota 2, a proposito della riflessione esteriore dell’intelletto. Qui è detto che tale riflessione sorpassa la determinazione isolata e la mette in relazione con delle altre (riflessione-nell’altro) ma, nello stesso tempo, la lascia valere astrattamente per se stessa (riflessione-in-sé). In questa sede, tuttavia, il contesto ci invita a comprendere il termine “riflessione” nel senso preponderante di “riflessione-in–sé” e a riservare al termine “mediazione” l’idea di una “riflessione-nell’altro”. Questa è nondimeno l’ipotesi di lettura che noi proponiamo.
[14] L’inizio del § 112 insisterà su questa restrizione.
[15] Cfr. § 162 e § 195 in cui l’Oggetto è presentato come il Concetto solamente in sé nella misura in cui non è ancora scopo e Idea. L’Essere è dunque l’in-sé immediato originario del Concetto, mentre l’Oggetto è l’in-sé immediato finale nel quale si determina liberamente il Concetto per sé.