Franca Sera
E’ con Oswald Spengler[1] che nel 1918, con la pubblicazione del saggio “Tramonto dell’Occidente, inserisce il concetto per il quale tutte le Culture storico-sociali affacciatesi sul mondo, muoiono né più né meno dell’essere umano quando giunge alla propria fine esistenziale.. Egli condanna la storia dei popoli e e la loro vita alla limitatezza. Ossia la Cultura è anch’essa sottomessa al destino degli organismi viventi e come al singolo individuo non è permesso sottrarsi alla propria fine, allo stesso modo anche la Storia dei popoli è subordinata alla stessa scomparsa. Tale destino è inaggirabile e sottende una sorta di Legge Universale. Il bersaglio di Spengler è la cultura faustiana[2] intesa come coazione alla’operatività e dunque tutta rivolta al delirio attivo della Tecnica. Quest’ultima come elemento invasivo, che permea di sé uniformemente l’intero pianeta, grazie anche agli influssi dello stesso spirito faustiano. L’esito, per Spengler, è presto detto: la Tecnica soppianterà la Cultura.[3] In tal senso egli profetizza una desertificazione delle città, per mancanza di relazionalità, e l’uomo stanco della Natura, propria e del proprio ambiente naturale con i suoi limiti, si abbandonerà al suicidio. Ma prima della catastrofe il filosofo prevede un devastante impero totalitario, totalmente asservito ad un solo uomo: è chiaro in questo passaggio l’allusione profetica del sorgere del Nazionalsocialismo.
Al contrario di Spengler ,Jünger riteneva invece che la Tecnica sia ineluttabile e quindi l’uomo avrebbe dovuto disporsi benevolmente verso di essae con ciò accolta con favore. L’istituto della coscrizione obbligatoria alla leva militare impresse, secondo Jünger, un cambiamento epocale e tragico allo stesso tempo: la guerra non riguarda più solamente una decisione privata ed obbligata di un Sovrano contro un altro Sovrano, ma coinvolge le masse popolari, con una mobilitazione che verrà definita totale. A questo punto Jünger usa una similitudine non affatto scontata: la Guerra, come la prima guerra mondiale, è paragonabile al concetto di Lavoro che tutto pervade e unifica. Il Lavoro come Forma Lavoro è universale pervasività. Esso è come una trama che unifica la vita dei singoli. Nel suo saggio[4]DerArbeiteregli teorizza una radicale differenza del Lavoratore rispetto al Borghese: quest’ultimo “anche in guerra cerca ogni occasione per adocchiare una possibile trattativa, mentre per il soldato-lavoratore la guerra significa uno spazio in cui abbia valore morire, ossia vivere in modo tale da riaffermare la forma dello Stato: di quello Stato che è destinato a rimanere, anche se gli sottraggono il suo corpo. Lungi dall’essere un operaio nel senso marxiano, ossia un rappresentante di una classe sociale storicamente ed economicamente determinata all’interno di un contesto altrettanto materialista, l’Arbeiter di Jünger si mostra invece come un precipitato di ideologia metafisica. Egli pone l’accento sul carattere “spirituale” delle regole economico-politiche tra Capitale e lavoro. All’interno di un dominio spirituale che fa riferimento alla sovranità dello Stato come sovrastruttura metafisica: chi domina il proprio destino domina anche ilo mondo. Il lavoratore si presenta così come incarnazione di un principio politico trascendente che trova nel momento del dominio il suo inveramento. In tal senso è una Forma delle Forme senza tempo dentro il mutamento della storia e del tempo. L’operaio di Jünger assume così una dimensione aggressiva, poiché egli utilizzerà con il lavoro la stessa Tecnica come mezzo per mobilitare il mondo. Questa universale mobilitazione si presenta come una fenomenologia della catastrofe e annuncia un nuovo avvento: una fenomenologia dell’iper-nichilismo. Esso significa distruzione degli assetti trascorsi ed il profilarsi della nuova epoca si abbandonano ad un indisgiungibile pasdesdeux. La tecnica fa implodere la forza del vivente, la potenza primigenia dell’elementarità della natura. Così l’operaio con la Tecnica è in grado di assumere la potenza distruttiva della forza elementare , travolgendo anche la fede e la stessa borghesia. In “Oltre la linea”[5] egli, in dialogo con Heidegger[6]annuncia la possibilità di uno “stato di transizione” andando oltre il presente. Tale operazione di “oltrepassamento“ prelude ad un nuovo stile di vita del reale grazie alla presenza ipertrofica dei mezzi. In sostanza Jünger si apre al nichilismo per poi superarlo, poiché il Nichilismo non è l’ultima parola , come voleva Nietzsche, ma occorreva per questo superare un nichilismo compiuto statalista, negando uno Stato Leviatanico, e neppure prefigurare la morte dell’Essere, ma anzi preannunciando un ritorno possibile ad esso.
Ma purtroppo lo sforzo teorico-conoscitivo di Jünger fu misinterpretato da alcuni teorici del Nazismo che si affettarono ad utilizzare il concetto di Volontà di Potenza di Nietzsche per propagandare il totalitarismo nazista e sussumere il concetto di uomo tecnico-soldato di Jünger come baluardo della violenza pianificata.
Da ciò nascerà un filone irrazionalista che unisce i Greci ai Tedeschi , ma non come nell’epoca neo-classicista della Göthe-Zeit di Weimar , ma nel senso di un ritorno ad un filone romantico di Heidelberg pessimista, decadentista e reazionario ( II° Romanticismo), frammista a elementi fideistici e appunto reazionari. In tal modo fu rigettato il filone classicista e cosmopolita di Weimar e di Humboldt, a vantaggio di una esaltazione parossistica del concetto di razza, attraverso un progetto educativo, mediante la propaganda e le mobilitazioni di massa, prospettando alla Nazione tedesca un concetto di Popolo tutto raccolto in un’unità organica che avrebbe superato le divisioni sociali: esaltando il senso di uno Stato – Sostanza , più che Stato- Attivo o Pratico fattivo.
Altri teorici interpretarono il Dominio e la Forma di Jünger come dominio e forma della Razza Ariana sul mondo, in quanto Spirito e trionfo del più forte : l’Ariano contro gli Ebrei.
Presto, dopo l’abominio Nazista e della Seconda Guerra Mondiale, si aprì la strada, in filosofia, alla possibilità di discutere circa un Nichilismo Relativo, gettando un cono d’ombra sul Nichilismo assoluto. L’esito di ciò si materializza con l’apertura di un dialogo teorico e pratico tra Ragione ed Esistenza. Da qui l’istanza della categoria della Comunicazione. La stessa filosofia di Nietzsche è vista come pensiero che superi ogni stazione dogmatica della riflessione e del mondo. Lo stesso concetto di “volontà di potenza” è una nozione limite che serve come principio ermeneutico allargando ed accogliendo le possibilità dell’Essere e del reale, con uno sguardo al moltiplicarsi indefinito delle prospettive.Diffidare di Nietzsche stesso significa in altri termini pensare il Nichilismo come strumento ed attitudine ermeneutica o mimesi imitatrice di una coscienza che “lavora” con la Ragione e con gli infiniti significati del reale.
Così con la massima esperienza delle “possibilità ermeneutiche” che si dischiudono Nietyzschedifventa il filosofo della Libertà, e non invece il portatore del Nulla. Da ciò si parlerà poi di Nichilismo relativo e non assoluto.
Tenere a freno il Nulla: diventa òa parola d’ordine di molti tra cui Jaspers .Se il Nichilismo andasse fino in fondo esso avrebbe effetti devastanti sull’uomo e sul mondo assoluti. Si arriverebbe a giustificare ed ulizzare persino il suicidio come regola logica. Non a caso il Materialismo, o il Buddismo ad esempio, attingono DAL Nichilismo quella capacità critica e antiadattiva nei confronti delle strutture della realtà. Ma sempre utilizzandone una vis nullìus tenuta a freno e calmierata: ossia sposando un nichilismo antropologico-realativo.
Tuttavia il problema del Nulla, fu solo procrastinato a…filosofie da destinarsi!
Esso si aggira ancora come corpo morto rimosso ma mai veramente eliminato, all’interno delle regioni dello Spirito e della Realtà.Il Nulla ci appare così come lo spettro di Banquo che si manifesta al cospetto di Macbeth, nella tragedia shakespeariana: ciò da cui Macbeth voleva separarsi e appunto rimuovere e negare, ma di nuovo il fantasma di Banquo gli ricompare sempre come immagine orrifica e proiettiva di quello. Nella filosofia contemporanea il bisogno di alcuni di esorcizzare il fantasma del Nulla e di Nietzsche, con l’intento di elaborare un sistema capace di contenere in sé unità e opposizione, Essere e Non Essere,rende in realtà problematica ogni esclusione da questo dello stesso Nulla Assoluto,che non solo come il fantasma di Banquo che insegue Macbeth ad un certo punto si risveglierà, ma segnerà per l’uomo un destino condannato all’incessante inseguimento dell’escluso che si ripresenterà come Iper-Nichilismo. La questione nichilistica e della Tecnica si inserisce perciò, ad avviso di chi scrive, in questo errore di categorizzazione che ha segnato la post-modernità, come incapace di pensare il rapporto tra Mondo-Soggetto e Nulla, dando vita a tre concetti posti come auto-sussistenti e autonomi.
[1] O. Spengler, Tramonto dell’Occidente, Longanesi Ed., Milano, 2015.
[2] B, Croce, “Rivista critica di Letteratura, Storia e Filosofia “, Nr. 31, 1933; Nuovi Saggi sul Faust: “la natura è nel dovere di assegnarmi un’altra forma di esistenza affinché io continui ad operare”. Goethe a colloquio con Eckermann.
[3] O. Spengler, L’uomo e la Tecnica, Aragno Ed., 2016, Torino.
[4] E. Jünger, DerArbeiter. Herrschaft und Gestalt, 1932; tr.it. L’operaio . Dominio e forma, trad.it. di Q. Principe, Guanda Ed., Parma 1991.
[5] E. Jünger, Oltre la linea, Adelphi Ed., tr.it. A. La Rocca, F. Volpi; 1989 Milano.
[6] Nel 1950 per il genetliaco di Heidegger, Jünger pubblica il saggio “Oltre la linea” dedicato al tema onnipresente del Nichilismo ed egli s’interroga, se dopo il punto zero di Nietzsche, segnato dalla parola <Niente!>, si possa attraversare la linea, andando oltre il Nulla. Cinque anni più tardi Heidegger, raccogliendo la sfida, gli rispose con un testo dal titolo “La questione dell’essere”.