Patrizio Paolinelli
- Le porte dell’abisso
C’è un’interessante novità nel panorama editoriale italiano: la prima traduzione italiana del libro di Benjamin Fondane, Baudelaire e l’esperienza dell’abisso (Aragno, Torino 2013). Innanzitutto due parole sull’autore. Fondane nasce a Jassy (Moldavia romena) il 14 novembre 1898 in una famiglia di intellettuali ebrei di origine tedesca. Nel 1923 lascia la Romania per stabilirsi a Parigi. Nella capitale francese entra in contatto con il filosofo russo di origine ebraica Lev Isaakovič Šestov (esponente della filosofia esistenziale), di cui diventerà l’erede diretto. Studioso dai molteplici interessi Fondane si occupa innanzitutto di filosofia, ma anche di teatro, cinema e in particolare di poesia. Quest’ultima è interpretata come una forma di opposizione al primato della razionalità, del calcolo, dell’uniformità. Ed è proprio nel clima culturale della crisi e della critica alla modernità che nasce lo studio su Baudelaire. Studio incompiuto e pubblicato postumo. La scomparsa di Fondane è purtroppo tragica: muore per mano dei nazisti nel campo di concentramento di Auschwitz il 2 ottobre 1944. I compagni di sventura che gli sono sopravvissuti lo ricordano mentre recita a memoria versi dell’autore de I fiori del male.
Durante gli anni ’30 Fondane è un personaggio assai noto nella vita culturale francese, ma dopo la guerra cade nell’oblio. Lentamente però esce dall’ombra. Nascono in Francia la Société d’Études Benjamin Fondane e l’Association Benjamin Fondane (con i loro «Cahiers» e i loro «Bulletin»), nel frattempo si moltiplicano gli studi sul pensiero del filosofo e la recente traduzione italiana del suo Baudelaire lo propone al lettore al di là di una ristretta cerchia di specialisti. Comprendiamo che quest’ultima affermazione potrebbe apparire azzardata. Ma la scrittura di Fondane ha il pregio di cui sono dotati i grandi pensatori: si fa capire da tutti. Ciò non vuol dire che tutti la fruiscano allo stesso modo. Il che è un altro pregio: significa che di tanto in tanto su quella scrittura bisogna tornare proprio perché nessuno di noi è lo stesso da un anno all’altro. Si tratta insomma di una scrittura inesauribile, come quella di Nietzsche, peraltro tra gli ispiratori della filosofia esistenziale di Fondane.
Cosa intende Fondane con esperienza dell’abisso riferita a Baudelaire? Diamogli la parola:
Finché il nostro detestabile io ammutolisce nell’Eterno, fintanto che rimane il riflesso sensibile dell’Idea, questi non ha porte né finestre, l’abisso non esiste, niente potrebbe insinuarsi in noi, da fuori. Ma che entri, con il suo corteo di soli e vie lattee, eccoci dunque nello spreco. L’arte cede il passo all’“effimero”.
Il lettore esperto noterà l’utilizzo delle stesse affermazioni di Baudelaire (il detestabile io, ad esempio) e l’operazione culturale di Fondane è proprio quella di sottrarre Baudelaire sia alle gabbie in cui lo chiudono i suoi critici (Valéry in testa) che da quelle che si costruisce lo stesso Baudelaire: nonostante tutti i suoi sforzi, nonostante tutte le convergenze tra ispirazione e ragione il poeta non può mai essere il critico dei suoi versi:
Molte volte, nel corso della sua vita [di Baudelaire], la sua intelligenza critica guarda con lo stesso stupore ai poemi creati dall’altro, il poeta, il sognatore, il marmocchio-paria. Ecco, evidentemente, una trasgressione dell’ordine “naturale” assolutamente inaccettabile.
Se è così, se la poesia travalica chi la scrive, se la biografia del poeta non è all’altezza della sua poesia, se l’arte è irrimediabilmente una falsa realtà ecco spalancarsi le porte dell’abisso. E di quali minerali è composto l’abisso di Baudelaire? L’assurdo, il male, l’odio, il dolore, il discontinuo, la sproporzione. Fusi tra loro che tipi di lega producono? La realtà quotidiana – da cui tentiamo disperatamente di evadere – e il selvaggio che è in noi, il selvaggio che magari dissimuliamo attraverso un dandismo più o meno raffinato (come faceva lo stesso Baudelaire).
Il Baudelaire di Fondane ha conosciuto in Francia tre edizioni: 1947, 1972, 1994. Nessuna di queste è dotata di un apparato critico. È merito del traduttore e curatore dell’edizione italiana, Luca Orlandini, di aver confezionato una pubblicazione che lui stesso definisce «solo in parte» critica. Ma soprattutto di aver prodotto un ampio commento all’opera di Fondane pubblicando un libro intitolato La vita involontaria. In margine al Baudelaire e l’esperienza dell’abisso di Benjamin Fondane (Aragno, Torino 2013). Si tratta di un testo che fa da contraltare alla monografia di Fondane e destinato ai lettori che intendono comprendere fino in fondo un’opera che turba l’esegesi baudelariana.
Se è vero che i due libri viaggiano insieme è altrettanto vero che il lavoro di Orlandini fornisce una messe di materiali che mettono a confronto la lettura esistenziale contenuta nel Baudelaire di Fondane con le riflessioni di critici ed estimatori di quella monografia. Tra i tanti autori ci limitiamo a segnalare: Cioran, con le pagine dedicate a Fondane in Esercizi d’ammirazione (Adelphi, Milano 1988) e la lettera dello stesso Cioran alla moglie di Fondane; la riproduzione integrale delle recensioni più significative di Benedetto Croce delle opere del filosofo romeno; una serie di citazioni tradotte in italiano dal Faux Traité d’esthetique di Fondane; la sintesi delle posizioni di Valéry, Perniola, Jankélévitch e di molti altri studiosi. Inutile dire che Orlandini non si limita a riprodurre i testi di questi autori ma ingaggia con loro un serrato dibattito senza risparmiare polemiche. Al di là delle interpretazioni, la speranza è che il ciclopico impegno di Orlandini contribuisca a far conoscere a un pubblico sempre più vasto un pensatore complesso e raffinato qual è stato Benjamin Fondane.
- Benjamin Fondane e Cioran
Fondane era davvero […] un guerriero. Era intellettualmente molto aggressivo, sempre contro o a favore di qualcosa […]. Fondane aveva una presenza imponente, tutto si animava intorno a lui; eravamo molto lieti nel sentirlo parlare.
Questi e altri ricordi di Emil Cioran sulla figura dello scrittore moldavo scomparso nel 1944 sono oggi contenuti in un piccolo tascabile curato da Antonio Di Gennaro e intitolato: Al di là della filosofia. Conversazioni su Benjamin Fondane (Mimesis, Milano-Udine 2014).
Il volume raccoglie le interviste concesse da Emil Cioran a Leonard Schwartz (1986), Ricardo Nirenberg (1988), Arta Lucescu Boutcher (1992) e una breve lettera dello stesso Cioran alla moglie di Fondane, Geneviève Tissier. Lettera che ha un valore documentale e tratta quasi esclusivamente questioni editoriali relative alla pubblicazione del manoscritto di Fondane Baudelaire e l’esperienza dell’abisso. Così come in Esercizi di ammirazione anche in queste interviste Cioran parla ampiamente della personalità di Fondane tratteggiando il ritratto di un individuo tormentato, di un solitario che adorava parlare abbandonandosi a monologhi che a quanto pare incantavano gli ascoltatori (Cioran in testa), di un intellettuale che esercitava un’attrazione straordinaria confermata peraltro dal successo di cui godeva nella Francia degli anni ’30 (persino durante la guerra la libreria tedesca di boulevard Saint-Michel esponeva in vetrina libri di Fondane). A una richiesta di colloquio per discutere di Fondane così risponde Cioran:
Gentilissimo Sig. Nirenberg, La ringrazio per la sua lettera, ma ci tengo ad ogni modo a precisarle che conosco in maniera del tutto insufficiente il pensiero di Fondane. In compenso, potrei parlare dell’uomo e dell’essere di grande fascino che ho conosciuto.
E così sarà sia in quell’occasione che in altre. Cioran vive il suo rapporto con Fondane come un’esperienza esistenziale e vede l’amico come un uomo in cui dimensione umana e ricerca intellettuale sono inseparabili. Coerenza ontologica che segna tragicamente la vita di Fondane: un ebreo che in piena occupazione nazista della Francia anziché nascondersi va a spasso per Parigi come se nulla fosse e per di più senza indossare la Stella di David; un uomo che può salvarsi dalla deportazione (in quanto sposato con un’ariana), e che invece segue ad Auschwitz la sorella maggiore, Lina, per non abbandonarla al suo destino. Cioran spiega la tragica decisione dell’amico in modi diversi: afferma che Fondane era in qualche modo attratto dal disastro, che era rassegnato alla fatalità, che aveva delle idee sbagliate sulla sua situazione di ebreo internato nel campo di Drancy (a pochi chilometri da Parigi) illudendosi di non essere deportato in Germania, infine, che non prese alcuna precauzione perché aveva superato la condizione umana.
Certo non è facile capire perché Fondane scelse di andare incontro a una simile sorte. Sicuramente le motivazioni addotte da Cioran vanno approfondite. E questo eventualmente sarà compito di chi vorrà occuparsene. Al di là della filosofia pone il problema. E non è un problema da poco. Così come aiuta a far luce sulle affinità tra Cioran e Fondane. In entrambi insiste una concezione scettica dell’esistenza, il primato assoluto del soggetto sul mondo e la comune idea di superamento della filosofia. Opzioni che imparentano strettamente i due scrittori all’opera di Lev Isaakovič Šestov. È noto, per loro stessa ammissione, che entrambi erano intellettualmente debitori nei confronti del pensatore russo. Per quanto riguarda Fondane, Cioran è netto:
Šestov fu un grande evento della vita di Fondane. Attraverso Šestov, Fondane si convertì alla filosofia. Ma ciò che è straordinario è che il poeta ha cominciato dalla fine della filosofia. In altri termini Fondane era al di fuori e al di là della filosofia.
E come Šestov, Fondane pensava infatti che i problemi autentici sfuggissero ai filosofi e che la verità andasse cercata nella letteratura anziché nella filosofia, tant’è che entrambi furono molto influenzati da Dostoevskij.
Tra i motivi per i quali Fondane tenta di andare al di là della filosofia c’è la sua insoddisfazione per i limiti del linguaggio. Cioran è ancora più radicale. Per lui la filosofia è una cosa futile:
Le ore di veglia sono, in sostanza, un’interminabile ripulsa del pensiero attraverso il pensiero, è la coscienza esasperata da se stessa, una dichiarazione di guerra, un infernale ultimatum della mente a se medesima.
Riescono i due pensatori ad andare oltre la filosofia? No. Per il semplice motivo che un tale superamento non può avvenire a causa dei moti interiori o delle riflessioni di singoli intellettuali per quanto stimolanti e rivelatrici possano essere le loro idee. E tuttavia oggi il superamento della filosofia è in larga parte avvenuto. Ma non sono stati né Fondane né Cioran a determinarlo. La filosofia ha oggi un ruolo marginale nella sfera pubblica a causa dei processi che hanno condotto all’attuale assolutismo del mercato sulla società. In altre parole, il pensiero unico ha oscurato quelle forme di sapere che mettono in discussione lo status quo e che immaginano un mondo alternativo. Il ritorno di Fondane sulla scena editoriale dopo tanti anni di oblio, così come il successo commerciale di Cioran si spiegano all’interno dell’attuale congiuntura storica: dopo che il pensiero critico di matrice marxista è finito all’angolo, all’occidentale colto e magari insoddisfatto della propria vita ecco che l’industria culturale propone autori che non disturbano le scelte politico-economiche del neoliberismo. Scelte responsabili del disagio materiale ed esistenziale di milioni di persone. Sia Fondane che Cioran basano il loro pensiero su un individualismo estremo e ipotizzano il disimpegno da azioni collettive per il cambiamento del mondo. Per loro la società quasi non esiste. Cosa potrebbero chiedere di meglio le élite dominanti? Tormentatevi pure fin che volete, sembra dire il potere economico. Tormentatevi così come ha fatto Cioran, che ha parlato di suicidio per tutta la vita (ed è morto a 84 anni in un letto d’ospedale). Fate del tragico l’oggetto della vostra ricerca esistenziale così come ha fatto Fondane. Ma non disturbate i padroni del vapore.
- La poesia come atto inconoscibile
È indubbio che il pensiero di Benjamin Fondane ponga seri interrogativi sulla condizione dell’essere nelle società dominate dalla razionalità strumentale. E tuttavia, come per Emil Cioran e altri intellettuali appartenenti alla galassia della cultura antilluminista europea della prima metà del ’900, l’orizzonte aperto dal poeta-filosofo moldavo non va più in là di un soggettivismo estremo. Soggettivismo che può assumere varie colorature: scettica, mistica, antirazionalista e così via. Nel caso di Fondane la centralità dell’Io si attesta nell’accanita difesa di una individualità estranea al mondo e che guarda sia al mito che alle forme primitive del sapere. Lo sbocco di questa tensione è una concezione tragica dell’esistenza. Concezione che influenza profondamente il Falso Trattato di estetica. Saggio sulla crisi del reale. Il libro venne pubblicato per la prima volta in Francia nel 1938 nell’ambito di un dibattito sulla relazione tra poesia e conoscenza ed è stato proposto al pubblico italiano a fine 2014 dall’editore Mucchi (Modena 2014).
Le architravi del Trattato sono essenzialmente tre: 1) la liberazione della poesia dal controllo del pensiero razionale; 2) l’autonomia dell’atto poetico da ogni fine strumentale; 3) la capacità della poesia di appropriarsi della realtà rimossa dalla coscienza. Negli anni Trenta del secolo scorso le tesi di Fondane non destarono particolare interesse. Resta il fatto che il Trattato è fortemente polemico e tra i bersagli della critica c’è il movimento surrealista, accusato da Fondane di addomesticare in qualche modo la parte irrazionale dell’esperienza. Di più: l’impegno politico del surrealismo contro il potere della borghesia è rigettato da Fondane a favore di una rivoluzione esclusivamente interiore in grado di mobilitare la coscienza soggettiva. Ma verso dove? Non certo verso il cambiamento della società. Il che è ancora più significativo se consideriamo che il Trattato uscì in tempi in cui socialismo, liberalismo e fascismo si contendevano a colpi di cannone la guida del mondo. Fondane non si lasciò prendere più di tanto dalla contesa politica e niente lo schiodò dalle sue certezze: disimpegno dai fatti del mondo, astoricità della poesia, primato della spontaneità sulla ragione.
Il Falso Trattato di estetica muove contro ogni spiegazione logica circa la natura della poesia. Il nemico da battere è il pensiero riflessivo perché il mondo della tecnica fabbrica fantasmi, illusioni e apparenze che mettono in crisi il reale. Viceversa il reale gode di una sua innocenza primigenia, tant’è che per Fondane nel corso della storia umana solo gli uomini primitivi sono stati pienamente felici. Non sappiamo se abbia torto o ragione. Certo, nonostante computer, satelliti artificiali e successi della medicina nelle società cosiddette avanzate l’infelicità è largamente diffusa, il buon senso si assottiglia ogni giorno che passa e la saggezza è praticamente scomparsa (ci sarebbe da aggiungere che sul piano filosofico non si sa più dove si sia rintanata la verità, ma lasciamo perdere). Dunque l’oggetto della critica di Fondane è concreto e ancor oggi esperibile nella vita quotidiana di ognuno di noi. Tuttavia la soluzione proposta dallo scrittore moldavo non si rifà a qualche forma di umanesimo. Ricorre invece a temi dell’assurdo quali l’incomunicabilità tra uomo e mondo e l’impossibilità del pensiero riflessivo di spiegare la mancanza di ragionevolezza della vita. Ovviamente questa prospettiva lascia la realtà così com’è autorizzando però l’anima dell’individuo a macerarsi in una sofferenza senza fine. Tutto ciò è molto poetico, se si vuole. Ma anche molto snob, per non dire profondamente asociale.
La concezione antidialettica della storia e dell’esistenza umana da parte di Fondane si riflette nella sua concezione estetica della poesia. Per l’autore del Trattato la poesia è un oggetto che non può essere affrontato con le armi della spiegazione. Scrive Fondane:
Baudelaire, Poe, Rimbaud, Mallarmé si sono fatti particolarmente un punto d’onore – ultimo rifugio del loro amaro dandysmo – di convincerci (e forse di convincere se stessi) di essere padroni del loro demone interiore, quando, in realtà, i primi tre sono evidentemente degli incurabili posseduti; un fatto che la loro intelligenza non fu mai in grado di esorcizzare.
Insomma, il demone del poeta attinge risorse dalla sua inconoscibilità. D’altra parte, chiosa Fondane, se il ragno dovesse pensare alla tecnica di costruzione della sua tela avrebbe molte difficoltà a tesserla. In definitiva, la poesia aderisce alla realtà come la pelle al corpo, «è una sostanza da cui la vita non può separarsi». Su un altro piano di riflessione si può dire che la poesia trattiene l’eterno nel verso, ma, per l’autore del Trattato, non in quanto tempo, bensì in quanto istante, in quanto oggetto unico, non in quanto essenza. Fuori da queste coordinate non si dà poesia, meglio: si dà una poesia cosciente e perciò antipoetica.
La forte presa di posizione di Fondane sulla natura della poesia ha le sue ragioni. Soprattutto in un’epoca come la nostra, dove la letteratura di successo è pianificata con le stesse tecniche con cui si commerciano lavatrici (con tutta la riconoscenza dovuta all’utilissimo elettrodomestico), mentre i poeti sono praticamente esclusi dalla vita pubblica (vendono poco, perciò non contano). Ironia della sorte, oggi Fondane conosce una sorta di revival promosso proprio dalla società della tecnica che ha distrutto non tanto la poesia come forma di espressione quanto la sensibilità poetica. Allora perché riproporlo? Sostanzialmente per il suo anti-illuminismo. La borghesia ha tradito i valori della Rivoluzione francese subito dopo essere arrivata al potere e oggi deve gestire il passaggio a una nuova forma di assolutismo. In questa transizione l’esistenzialismo di Fondane torna utile, nonostante Fondane. La sua contestazione al pensiero critico è vista con favore dal mercato e per vie carsiche sostiene l’individualismo negativo del borghese. Non basta. La sua polemica nei confronti della razionalità (polemica per molti versi fondata) spinge il soggetto a isolarsi dal mondo mentre lotta con un Io ipertrofico coltivato dalla pubblicità e dalla televisione. Sballottato in una marea di contraddizioni l’amante dei libri e l’intellettuale possono passare la vita occupandosi solo di se stessi e lasciando che il mondo vada come vada. Tenuto conto di questa conseguenza politica il Trattato illustra una posizione su cui riflettere. Il lettore che affronta quest’opera però deve essere ben attrezzato e sapersi difendere da effetti che vanno molto al di là del fatto estetico.