Fenomenologia dello spirito e dintorni

Franca Sera

Aldilà della vexata questio, sulla collocazione della Fenomenologia nell’ambito del Sistema della Scienza, il problema è come iniziare: se si parte da una coscienza naturale, ciò significherebbe far coincidere tale cominciamento con il medesimo inizio della Logica, ossia che non vi siano due cominciamenti, ma un unico inizio, solo che il primo (quello Fenomenologico) risulta su di un piano fisico-fenomenico o logico-pratico, l’altro è solo sul piano noetico-astratto o apofantico-speculativo. Ma i due piani risultano uniti nell’orizzonte dell’Idea Assoluta. Se si dividessero le due dimensioni, si farebbe di nuovo opera di carità sull’altare dell’Intelletto, riproponendo cioè il primato di una facoltà sull’altra e quindi ristabilendo un presunto primato di un mondo o di una dimensione rispetto all’altra. Aldilà dei momenti della Logicità espressi, per la prima ed unica volta in formato “tabellesco” (ndr schematizzazione che Hegel disdegna) nel par.79 dell’Enciclopedia, in quanto momenti della logicità dialettica, come specificazioni di quella generalità dinamico-funzionale della stessa Dialettica, che si suddivide nei momenti: 1) astratto-intellettuale 2) dialettico-negativo razionale 3) speculativo-positivo razionale. Ma il processo che incardina la condizione di tutto l’andamento dialettico, in tutte le dimensioni del conoscere dell’Essere e dell’agire, cioè Logica, Natura, Spirito soggettivo-oggettivo, è permeato sottotraccia ed in filigrana dalla procedura della rimozione-spostamento-proiezione. Ossia Entfremdung-Entoisserung e Verdinglichung, cioè estraneazione e reificazione che retro-agiscono in tutto il processo. Tale surrettizia “presenza-assenza” la si deve al primo momento, cioè a quello astratto-intellettuale e al secondo momento, intellettuale-negativo, in quanto sintetico intellettuale. Così se si legge come cartina di tornasole il gigantesco pensiero di Hegel, riferendosi a tutte le province dell’Essere e del Pensare, emerge questo risultato alienante ed estraniante dell’Intelletto di cui esso è il responsabile. Ad esempio se si compulsasse con tale convincimento la Fenomenologia (Coscienza naturale-Autocoscienza-Ragione-Spirito), si vedrebbe l’andamento entificatore e falsamente universalizzante di un particolare lato a scapito di un altro lato o elemento, ottenendo il risultato ogni volta di un’autocoscienza falsamente universale. Se si riparte invece dalla Logica, laddove la Fenomenologia termina, qui il pensiero puro deve agire ad un livello categoriale-speculativo, in quanto sistema della Scienza. Poiché sul piano fenomenologico, la dimensione più propriamente idealistica, non viene “toccata” da Hegel, siccome egli non ha intenzione di sviluppare una storia della storiografia ideale-filosofica, e quindi un’analisi logica-ontologica, che si occuperà invece un piano di filosofia della storia. Ovvero nella Fenomenologia il processo è coscenziale-esperienzale in figure che non si perdono in un andamento noetico. Esemplificando: la figura, ad esempio della coscienza infelice, essa non si attarda su pensieri ed argomentazioni logico-speculative, poiché il suo travaglio non deriva dal fatto che essa si senta libera o meno nel pensiero logico-ontologico, ma il suo dolore deriva dal fatto che questa si intuisca come scissa in una doppia condizione che la porterà ad amare da un lato l’intrasmutabile (Dio) e dall’altro a capire che il suo essere trasmutabile non glielo consentirà. Così questo dramma, la coscienza infelice, non lo vive come un travaglio di un filosofo ma di un fedele appunto, nella propria immediata rappresentazione della realtà che vive, spirituale e corporea. Non è quindi una coscienza che ripensa il pensiero e le sue strutture logiche-ontologiche. Così come il Cristo non utilizza il linguaggio filosofico, Egli non legge Parmenide, ma piuttosto parla con il linguaggio del cuore. La Fenomenologia non guarda alla libertà dell’Idea, quanto a quella del soggetto. Il Concetto dovrà liberarsi da tutto ciò che pensa essere altro da sé, solo nella rivisitazione della riscrittura e rilettura della storiografia filosofica (e quindi anche del reale), sotto l’idea che tutti i corrispettivi principi teologici, costrittivi, metafisici in genere, sia prodotti dalle filosofie sistematico-sostianzialiste, sia dalle filosofie dell’autocoscienza, non appaiano altro dal pensiero, ma sono il pensiero o concetto stesso. Questo è possibile solo se prima non c’è un farsi mondo del soggetto capace di essere individuale ed universale, quindi dopo lo stadio fenomenologico e universale storico con la ragione e lo spirito, si arriva alla dimensione in cui l’idea si appropria di se stessa. Ecco così la storia dell’Idea: dottrina dell’Essere, dell’Essenza, del Concetto. Ossia tutti i principi di tutti i filosofi che avevano affermato che il principio di Tutto è l’Essere (nelle sue molteplici forme) nelle forme della Logica dell’Essere. Finché altri avrebbero detto che la forma della Verità era Pensiero, e quindi Essenza, tutti quei principi espressi in termini noetici o logologici o essenzialistico-ontologici, avrebbero assunto una dimensione spirituale del principio e non più ontica-esistentiva come nella logica dell’Essere. Laddove l’Essere letteralmente “non parla” poiché è di derivazione mitico-poietico-ilemorfico e non personale, in quanto spirituale. Ad esempio l’essere di Parmenide è impersonale, e non essenzialista-spirituale. Mentre nella Logica dell’essenza tutti i principi saranno sostanzialmente “vitali”, ovvero volontà, logos, spirito e natura vivificata, ribadendo così che nell’Essere parmenideo non vi è la dimensione spirituale, ma solo logico-ontologico-modale. I due lati saranno poi sintetizzati e realizzati, oggettivo e soggettivo, nella Dottrina del Concetto. Parmenide affermerà ad esempio che l’Essere è sostanzialmente necessario, poiché non è pensato in tal guisa dall’essere umano, ma è necessario in sé. La necessità è, per Aristotele, tale in quanto giudizio modale dell’uomo. E quindi l’essere è anche pensare. Pensare-Essere e Divenire sono dunque compulsati dall’uomo, ma questo non lo si poteva affermare immediatamente. Gli antichi filosofi avrebbero così spostato e proiettato Essere-Pensare ed Agire di volta in volta in principi costrittivi e teologici, extra-mondani. E di volta in volta, avrebbero prediletto la forma o funzione “Essere”, piuttosto che Pensiero o Azione (Volontà), in riferimento ad un Principio o ad un Dio. Oppure si preferirà l’Azione (Volontà) piuttosto che l’Essere ed il Pensiero. O entrambi racchiusi in un unico principio. O un principio che casualmente avrebbe espulso entrambi, scorgendo il Nulla o il Caso come processo me-ontologico del Tutto. E inoltre chiarificando tali principi in rapporto con l’uomo, che di volta in volta sarà mostrato come nulla di consistente, irrilevante, sottomesso, compartecipe o addirittura esso stesso divino e produttore di Dio, o del Nulla[1]. È chiaro che solo con la nascita della soggettività e quindi con le filosofie autocoscenziali o filosofie-mondo, ci si avvicinerà man mano a scorgere che tali principi a-prioristici e costrittivi sono della stessa essenza umana, ma questo accadrà solo con il cammino dello Spirito, che già era assoluto, ma non ancora tale[2]. Quando la negazione esce dallo schema psico-pratico-dinamico, la negazione diventa: negazione assoluta. In un senso per il quale essa è inquadrata solo ed esclusivamente in un contesto di riferimento, solo logico-predicativo-apofantico. Con la diretta conseguenza di una negazione pura ed assolutizzata. Mutando di senso e di qualità, affermando il “nulla”. Tale categoria inaugura, dopo l’esserci determinato, la Logica dell’Essere. Tale qualità è la stessa quiddità o essenzialità di ciò che è, ed è la Negazione in Hegel. Non a caso Hegel stesso escogita, per chiarire il nesso tra Qualità e Determinatezza, la figura filologico-retorica, per la quale la Qualità è l’indice del Determinato, e questo in quanto Qualität, orienta mediante la radice tedesca “Qual” il “tormento” o “irrequietudine”, e quindi trascendersi continuamente in quanto automovimento e negazione con sé. La Qualità è la negazione in sé, di tutto ciò che è: Omnis determinatio est negatio. Orbene, la negazione, nel momento in cui è riferita ad una coscienza appena sorgivamente apparsa come coscienza naturale, non può non essere funzione, naturaliter, negazioone assoluta. Dal punto di vista ontico-naturale, la condizione genetica della stessa struttura logica dello Spirito di Hegel, è quella per la quale un individuo organico tende solo e semplicemente a sostentare se stesso, per far vivere il proprio corpo, escludendo e negando l’altro, ad esempio per fagocitarlo per alimentarsi e poter vivere. Quindi la struttura del negativo è logica-ontologica ed esistentiva-psico-corporea. In una formulazione logico-predicativa, la negazione è il negare assolutamente inequivocabile qualcosa di un’altra cosa. Come per il predicato legato ad un soggetto, ad esempio: la mela non è rossa, indica perentoriamente che quel frutto non è rosso. La negazione logico-formale, non ammette la possibilità che sotto la stessa frazione di tempo e sotto lo stesso riguardo, si possa affermare che potenzialmente ora la mela non è rossa… ma poi diventerà gialla. Quindi, la negazione detiene insita in sé questa processualità di azione ineluttabile a negare. E quando la esercita in modo perentorio è sempre in atto la sua azione e significato logico-ontico a negare. Nega, diciamo così, una volta per sempre, ciò che dichiara di negare. Questa è la natura logico-predicativa ed ontico-fenomenologica (ontologica) della negazione. Quindi a stretto senso, quando si raccolgono le critiche di coloro che affermano che in Hegel (ed in special modo nella Logica) la negazione è assolutistica ed è una sorta di forzatura astratto-speculativa della predicazione metafisica hegeliana, si parte dal presupposto che nella sfera logico-predicativa non v’è altresì la dimensione fenomenico-esistentiva, in realtà non scorgendo che la negazione assoluta, che tra le altre cose non può non prescindere dalla negazione determinata, non può non prescindere da un concetto assoluto di negazione o nulla, o nullità, che ha con sé l’atto del negare, tant’è che nell’espressione –La mela non è rossa- non si afferma l’inesistenza della mela, ma solo che non-è rossa. Tuttavia tale negazione predicativa della mela include comunque un’attività del negare che gli pertiene assolutamente, anche se limitatamente, all’esclusione del colore rosso.

 

[1] Se le cose stanno così, perché per 2500 anni il pensiero dell’uomo ha prodotto principi e sostanze che apparivano estranei allo stesso uomo? La risposta di Hegel è ovvia: essi non erano in grado di “saperlo”. Parmenide non sapeva che pensando l’essere, in realtà pensava l’uomo. Un altro esempio è quello del Motore Immobile aristotelico: l’uomo partecipe della Sostanza Prima, ed essa è per Aristotele: Essere in quanto essere, che pensa se stesso e Motore che muove senza esser mosso. Di nuovo tre categorie dell’autocoscienza o Spirito assoluto: Pensare-Essere-Agire. Per Aristotele: Essere-Pensare ed Agire sono creazioni di Dio, anche se poi l’uomo ne partecipa. E gli esempi potrebbero continuare ad infinitum.

[2] Un altro esempio, questa volta nell’ambito delle Filosofie dell’Autocoscienza, è dato dall’epicureismo, che tanto aveva colpito il giovane Marx in un senso libertario, con l’elemento sorgivo della soggettività a scapito dell’unitotalità sostanziale della filosofia della natura democritea. L’atomo devia, ed in tale deviazione indica la strada della liberazione, con l’insorgenza dell’Autocoscienza, rispetto al determinismo autocratico e fatalista di Democrito. In questo trasgredendo l’interpretazione dello stesso Hegel, che reputava Democrito “superiore” per la causa soggettivista rispetto ad Epicuro. L’atomo democriteo apre all’idea astratta di un principio, non più ilemorfico, del mondo Greco, essendo l’atomo concetto astratto seppure materializzato, tuttavia eterno, e fatto di materia invisibile ed insecabile. In questo modo, per Hegel, l’atomo è negazione dell’Altro che costituisce dialetticamente fuori di sé, poiché negazione assoluta. Laddove, contrariamente ad Hegel, Marx ravvede un materialismo invece deterministico e non un idealismo astratto ed assoluto come per Hegel, invece appariva essere il concetto di atomo democriteo. Ma tale materialismo o idealismo atomistico, in realtà, essendo produttore del mondo, non consente di rapportare tale principio nell’uomo stesso. L’uomo non ha certo creato l’Atomo, poiché semmai è da esso scaturito. Dato che l’atomo è eterno, indistruttibile e da sempre esistito, il mondo ne è scaturigine. Pur avendo proprietà quantitative (e non invece qualitative, poiché l’atomo a stretto rigore è invisibile anche se esistente) nel senso di peso, grandezza, forma, posizione e disposizione. Allo steso tempo non è propriamente un principio astratto, poiché altrimenti sarebbe un numero, essendo invece materiale anche se immateriale. Ha un corpo materiale, ma non divisibile. Quindi da un punto di vista dello Spirito, il principio Atomo è ancora una volta fuori dall’Autocoscienza, essa partecipa solamente dell’essenza Atomo. Anche se il soggetto epicureo non riconosce alcuna divinità, in quanto le stesse divinità sono frutto e creazioni dell’uomo, tuttavia è aldiquà del principio atomo. I concetti di aponia e di atarassia, in più non permettono un’azione o manipolazione del reale da parte dell’autocoscienza, che si chiude in una sorta di stato catatonico-contemplativo. Gli infiniti mondi e gli infiniti atomi in Epicuro sono indici di un’incontrollabilità del mondo reale da parte del soggetto. Di nuovo, per misurare il grado della Libertà dello Spirito, anche detto “produzione di senso” dello Spirito che è Libertà in Hegel, l’epoca ellenica vedrà nell’Atomo alienati due grandi momenti dell’autocoscienza assoluta su tre: Essere e Agire, poiché l’atomo è assolutamente, ed è automovimento in sé. Il pensare invece inizia ad essere “autonomo”, se si considera appunto il livello di autocoscienza della soggettività in genere epicurea, almeno secondo Marx. L’Atomo spiega l’Essere e l’Agire: il Pensiero non è spiegato dall’Atomo, ma è facoltà autonoma dell’Autocoscenza. Tuttavia lo stesso Pensare consta degli effluvi atomici che inviano immagini e la stessa Intelligenza è composta da atomi ignei e aerei. Quindi anche il pensiero dipende, se non ontologicamente, dall’Atomo metafisico. Ciò nonostante si raggiunge comunque una dimensione del pensare dove l’individuo è formalmente “autonomo”, rigettando principi costrittivi, esteriori, teofanici, teistici e trascendenti di ogni sorta. Resta il fatto che, anche in questo caso, il Principio Atomo, Fondamento del mondo, non è prodotto dall’uomo.

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