Giovanni Finaldi Russo
La prima categoria che dobbiamo commentare è quella dell’Essere puro. Così come lo abbiamo già visto, l’aggettivo “puro” indica sempre, nel sostantivo che qualifica, la purezza e l’assenza di mescolanza con, in aggiunta, quella sfumatura di isolamento, di separazione e dunque di astrazione che queste espressioni comportano. L’Essere puro è dunque l’Essere che non è che Essere e nient’altro: un’astrazione rispetto a qualsivoglia determinazione ulteriore. Pertanto, non si tratta qui, come nel § 84, della sfera dell’Essere tutta intera con l’insieme delle determinazioni nelle quali il Concetto vi si dispiega come Essere. Si tratta piuttosto dell’Essere in un senso restrittivo, per cui esso coincide con la primissima delle determinazioni logiche e, in particolare, con la principale tra le determinazioni logiche contenute nella prima parte della Logica: la dottrina dell’Essere (“Essere” essendo inteso stavolta come senso più vasto della sfera dell’Essere in generale).
Questo ESSERE PURO costituisce il Cominciamento. Il cominciamento di cosa? Della scienza in generale certamente, ma, con più precisione, della Scienza della Logica. In effetti, il paragrafo giustifica questo cominciamento attraverso l’Essere affermando, da una parte, che l’Essere è puro pensiero e, dall’altra, affermando che è la Logica che, nell’insieme della scienza, “abbraccia tutti i pensieri in quanto essi sono ancora nella forma di pensieri” (§ 85). L’Essere puro è dunque il cominciamento della Logica poiché è puro pensiero e, inversamente, la Logica inizia con l’Essere puro in quanto e, per prima cosa, esso è puro pensiero. Che significa tutto ciò? L’essenziale, a questo proposito, è stato già esposto nella lettura dei §§ 18 e 19. Precisiamo pertanto solamente ciò che segue.
Le categorie della Logica sono definite “pensieri puri” allo stesso tempo retrospettivamente e prospetticamente. Retrospettivamente nella misura in cui, a differenza di quanto accade nella
Fenomenologia dello Spirito, che è un’introduzione al sistema dal punto di vista della coscienza sensibile immediata, il sapere logico si dispiega al di là dell’opposizione coscienziale della certezza e della sua verità nell’elemento dell’entità del soggetto pensante e dell’oggetto pensato, sicché il progresso del sapere non è oramai più legato alla diversità esteriore delle figure della coscienza ma, piuttosto, al puro movimento interno al pensiero che si pensa esso stesso come pensiero, nella sua purezza. Prospetticamente invece, nella misura in cui la Logica si occupa del pensiero nella sua completa astrazione, vale a dire, intanto che esso è ancora nella forma trasparente del solo pensiero e non già del pensiero nell’elemento concreto della sua alterità spazio-temporale, ossia in quanto esso costituisce la doppia sfera della Natura e dello Spirito, oggetti rispettivi della Filosofia della Natura e della Filosofia dello Spirito.
È evidentemente la prospettiva coordinata a dominare in questa sede. In effetti, all’inizio dell’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche (Scienza della Logica, Scienza della Natura e Scienza dello Spirito), ciò che è messo in rilievo nei puri pensieri della logica, non è tanto la loro mediazione fenomenologica, implicata dal fatto che l’Essere puro a partire dal quale essi si dispiegano è l’unità immediata in cui ritorna il Sapere assoluto nella sua purezza, quanto, al contrario, l’immediatezza propriamente ideale che ne fa dei puri pensieri logici e non delle realtà della Natura e dello Spirito, oggetti di due scienze “reali” (realen) della filosofia menzionate in un certo momento: la filosofia della Natura e la filosofia dello Spirito.
Se dunque la Logica comincia con l’Essere puro è, lo abbiamo detto, prima di tutto perché, come tutte le altre categorie della Logica (la Quantità, l’Essenza, l’Effettività, il Concetto ecc.), esso è un puro pensiero e non una realtà della Natura o dello Spirito. Questo semplice immediato che è l’Essere puro non è, per esempio, l’immediatezza naturale dello spazio né quella spirituale della coscienza: questo immediato è infatti piuttosto il puro pensiero dell’immediato o l’immediatezza del puro pensiero.
E tuttavia, che l’Essere puro sia un puro pensiero non è sufficiente a giustificare il fatto che la Logica cominci con esso, visto che anche tutte le altre categorie della Logica sono pensieri puri. Se la Logica comincia con l’Essere puro è pertanto e in maniera più precisa per le seguenti ragioni:
- L’inizio (della Logica e dell’Enciclopedia) non può essere niente di mediato né di determinato ulteriormente (al di là dell’Essere Puro).
- In effetti, 1) qualsiasi mediazione preliminare presupporrebbe un movimento a partire da qualche entità prima e più originale che costituirebbe perciò il vero inizio. Cosa sarebbe, difatti, una mediazione se non, come affermato da Hegel nella Nota, “un essere-uscito da qualcosa di primo verso qualcosa di secondo e un tornare in sé a partire da entità differenti”? L’inizio della Logica non può essere pertanto nulla di mediato.
- Quanto meno nell’ordine della Logica stessa, il cui punto di vista e concetto propri sono, altrimenti, il risultato della Fenomenologia come scienza dell’esperienza della coscienza, e astrazione fatta di ciò che l’Essere puro è anche sul piano logico, l’immediato in cui fa ritorno l’Idea logica al termine del suo sviluppo.
- Parallelamente, 2) qualsiasi determinazione ulteriore implicherebbe già un’uscita fuori dell’immediato originale e quindi un movimento verso una tappa successiva dell’idea.
- L’Essere puro è l’immediato indeterminato e semplice. Esso però non è solo un immediato – giacché tutte le cose contengono sempre un momento di immediatezza – ma l’immediato stesso, l’immediatezza pura e semplice. L’Essere puro, in effetti, non dice il pensiero di alcun contenuto: è senza rapporto, senza riferimento, senza determinazione alcuna: esso non dice nulla che sia ed è propriamente indicibile perché tutto ciò che se ne può dire comporta una determinazione ulteriore che occorre invece negargli. Essere, Essere puro, questo è il solo nome che conviene propriamente a questo immediato indeterminato, semplice. “Semplice” è qui praticamente un sinonimo di “indeterminato” e di “immediato”, salvo forse per il fatto che il termine “semplice” esprime in maniera essa stessa più immediata ciò che i termini “indeterminato” e “immediato” non esprimono che marcandone già una “riflessione”, vale a dire, un “riferimento”, un rapporto di opposizione a ogni determinazione ulteriore e a ogni mediazione preliminare. L’ “indeterminato” e l’immediato” della proposizione minore, che sono i garanti dei termini “mediato” e “ulteriormente determinato” della proposizione maggiore del nostro ragionamento, non sono dunque le designazioni più originarie della prima categoria della Logica in quanto connotato già esplicitamente una negazione: essi sono, di fatto, il non-determinato e il non-mediato. “Nella sua vera espressione, questa immediatezza semplice (che essi designano) è dunque l’Essere puro”.
- Quindi l’inizio è l’Essere puro. Ciò significa che, all’inizio, il pensiero non è neppure posto come “pensiero” puro, ma solamente come coincidenza o uguaglianza astratta con sé: due espressioni già mediate e riflesse poiché implicanti un “movimento” di coincidenza e un “rapporto” di uguaglianza “con” sé il cui vero equivalente, strettamente immediato, è l’Essere puro, punto e basta. Il Pensiero o l’Assoluto è l’Essere e questa è quindi la prima definizione di Assoluto. L’Idea logica “è”: questo è il minimo che si possa dire.
Si è detto che l’Essere puro non ha alcuna determinazione. Esso è l’assolutamente indeterminato. A dire il vero però, questo Essere puro comporta già implicitamente una qualificazione: quella dell’Essere “puro”. Esso include una determinazione: quella di non averne alcuna. Questo stato di cose è rimasto implicito e viene ora tematizzato e affrontato: l’Essere puro, precisamente perché è assolutamente indeterminato, è pura astrazione. Esso fa astrazione o, piuttosto, in esso il Pensiero che si pensa fa astrazione da ogni mediazione e determinazione; esso è dunque e conseguentemente l’assolutamente negativo, ossia l’astrattamente negativo, l’immediato indeterminato che respinge o, più esattamente, che nega ogni mediazione e si tiene lontano da qualsiasi determinazione. Se preso anch’esso, come l’Essere, in maniera immediata, vale a dire isolata e astratta, questo assolutamente-negativo è, nella sua purezza, il Niente o il NULLA. Invero, a causa della sua purezza e indeterminatezza iniziali, l’Essere puro non è niente, è un indicibile, un nulla.
Questa è dunque la seconda definizione di Dio o dell’Assoluto: il Pensiero o l’Assoluto è il Nulla, il Niente. L’Idea logica è il Nulla, essa non è niente, è la più povera e immediata espressione di ciò che si riveleranno più avanti essere la trascendenza e la libertà concrete dell’Idea in rapporto a ogni contenuto da essa stessa determinato (come) sua assoluta negatività. In quanto ab-solutus, l’Assoluto nega tutto, compreso se stesso. Nella sua immediatezza, trattiene soltanto questo assoluto diniego che somiglia alla brutalità astratta di un “no”, di un “non”: niente, il Nulla.
L’Idea-Nulla, il Nulla logico, non è quel Nulla concreto, elaborato e carico di positività che ritroveremo costantemente nelle forme più ricche e complesse della negatività semplificate dalle categorie ulteriori della Logica. Il Nulla con cui il Pensiero logico ha a che fare in questo momento preciso dello sviluppo del suo pensiero di sé non è che questo Nulla immediato e uguale a sé che abbiamo descritto come essente, insieme all’Essere, l’inizio dell’Idea logica.
Il Nulla immediato, uguale a se stesso. E prima di tutto: Nulla immediato, allo stesso tempo retrospettivamente e prospetticamente. Retrospettivamente perché il Nulla che qui sorge non è in
“rapporto” con l’Essere puro che è trapassato in lui – ci fermeremo tra breve su questo punto nel commentare il punto 1) della Nota. Prospetticamente in quanto la pura negatività che qui si afferma nella sua più totale astrazione non è ancora combinata con la positività dell’Essere al fine di offrire una categoria complessa in cui, sia il Nulla che l’Essere, rivestano un significato concreto. Successivamente: Nulla uguale a se stesso: quest’espressione ha all’incirca la stessa portata della precedente: designa la stessa astrazione, retrospettiva e prospettiva, del Nulla, ma lo fa più positivamente e più immediatamente poiché ne sottolinea l’aspetto di “continuità” proprio
dell’immediata coincidenza con sé del nulla di pensiero. Per questo motivo, tale seconda espressione introduce meglio della prima quanto segue, cioè il passaggio dal Nulla alla Positività o alla coincidenza con sé dell’Essere.
In effetti, come l’Essere puro era il Nulla, inversamente, il puro Nulla, in quanto Nulla immediato, uguale a se stesso, è la stessa cosa che l’Essere. Esso è innanzitutto e formalmente – se la distinzione tra forma e materia ha un senso qui – la stessa immediatezza e la stessa uguaglianza con sé proprie dell’Essere: il Nulla è, infatti, assolutamente immediato e uguale a sé come lo è l’Essere o, piuttosto, esso è, come l’Essere, l’assolutamente immediato e assolutamente identico a sé. Da ciò segue che esso è, materialmente – ma materia e forma coincidono qui ancora completamente – la stessa cosa che l’Essere; il Nulla ha lo stesso contenuto o meglio, la stessa assenza di contenuto dell’Essere; è la stessa astrazione pura, lo stesso immediato, indeterminato e semplice. “Il Nulla è così la stessa determinazione o piuttosto la stessa indeterminazione e di qua, assolutamente parlando, la stessa cosa che l’Essere puro”.
Il Nulla è dunque la stessa cosa che l’Essere. “La stessa cosa” (dasselbe) non è una categoria esplicitamente definita della Logica e tuttavia ha il suo posto nella dottrina dell’Essenza il suo significato si apparenta a quello di uguaglianza, del quale è precisamente detto, in quel paragrafo, che “è un’identità soltanto tra termini tali da non essere affatto gli stessi”: l’uguaglianza non ha cioè senso se non tra due termini che differiscono tra loro. Allo stesso modo, “la stessa cosa” implica dunque una non identità o, più esattamente, una diversità tra i termini che compara. Pertanto è corretto affermare – come ci ricorda la Nota 1) ad finem – che l’Essere e il Nulla sono assolutamente diversi e dunque che l’uno non è ciò che l’altro è. In effetti, l’Essere mira a una positività assoluta mentre il Nulla mira a una negatività assoluta. Ma, precisamente, non si tratta che di un semplice riferimento o intenzione (Meinung) e, similmente, la differenza tra loro non è che una semplice intenzione anch’essa in quanto, essendo entrambi, sia l’essere che il Nulla, ancora e null’altro che l’immediato assolutamente indeterminato, non è possibile assegnare loro concettualmente qualsivoglia caratteristica atta a distinguerli. Sebbene vi sia dunque una differenza tra loro, in quanto però essa non è determinabile qui e non può esserlo in questi stessi termini, questa differenza è propriamente indicibile, una semplice opinione soggettiva.
Essendo l’Essere la stessa cosa che il Nulla e viceversa, – e questo nel senso preciso dell’espressione “la stessa cosa” che è stato appena definito – è possibile affermare che la verità dell’Essere, così come quella del Nulla, è l’unità dei due.
Quest’espressione “la verità di…” è tipica del linguaggio hegeliano. Essa implica ogni volta che l’entità designata dal genitivo che segue non ha un’esistenza vera in se stessa ma in un’entità più grande che la contiene come uno dei suoi momenti. All’occorrenza dunque, quest’espressione significa che l’Essere e il Nulla non esistono veramente e concretamente se non nella loro unità e non quindi, nella loro separazione o nel loro essere isolati. Ne è una prova il fatto che l’Essere puro, preso in se stesso, coincide e fa tutt’uno col Nulla e che, dal canto suo, il Nulla, preso in se stesso, è la stessa cosa che l’Essere. La verità dei due è pertanto la loro unità.
Logica della Quantità, ossia in quella sfera dell’Essere in cui, come vedremo, la determinazione di quest’ultimo gli è esteriore e indifferente. L’unità” è gravata della stessa superficialità della sfera in cui appare. Essa designa la continuità che collega le componenti discontinue del “Discreto” per il fatto che l’elemento costitutivo della molteplicità di quest’ultimo è sempre lo stesso “Uno”. Similmente, al, l’”unità” designa uno dei due aspetti qualitativi del nome, quello che, a differenza dell’aspetto discreto o discontinuo del suo “ammontare” o “ valore numerico”, lo costituisce seguendo il suo momento di continuità, come un certo numero, un tutto numerico o, precisamente, un’“unità” numerica. L’unità designa dunque, propriamente, un’unione abbastanza debole, alquanto esteriore, simile a quella che fa si che i dieci “uni” riuniti nel numero dieci, per esempio, formino una decina, un insieme dotato di una certa “unità”. È in questo senso debole e relativamente indeterminato che questa categoria appare nella Logica, a meno che un aggettivo non ne venga a precisare la portata (“unità assoluta”, “unità negativa” ecc.). Per questo Hegel, nelle note, mette più volte in guardia il lettore rispetto a ciò che una tale espressione ha di unilaterale, zoppicante e indeterminato, a ciò che essa ha perciò di inesatto, se non addirittura falso.
Noi ci torneremo commentando il punto 4) della Nota al nostro paragrafo.
Espressa in termini ancora vaghi e imprecisi, la verità dell’Essere, così come del Nulla, è quindi l’unità dei due. Espressa correttamente, secondo la sua specifica verità, questa unità è il Divenire. In questa sede, quel che importa è cogliere il Divenire nella sua indeterminazione e dunque 1) di non identificarlo col cambiamento, il quale non apparirà che successivamente né, ancor meno, col movimento, che è piuttosto un concetto della Filosofia della Natura e 2) di non ridurlo a una sola delle sue due specie o direzioni o, a uno solo dei suoi due momenti, il NASCERE (Entstehen, generatio), con l’esclusione dell’altro, il MORIRE (Vergehen, corruptio). Noi non ci occuperemo qui del movimento in quanto esso è una realtà della natura e non del pensiero logico. Quanto al cambiamento o all’alterazione (Veränderung), qui si tratta già di un divenire concreto i cui due termini non sono più l’Essere e il Nulla, ma piuttosto due “Qualcosa” (Etwas) di cui uno è l’altro dell’altro e viceversa. Conviene, infine, non cedere alle suggestioni della rappresentazione che ci portano a identificare il Divenire col solo “nascere”. L’Essere e il Nulla sono, in effetti, lo abbiamo detto, distinti l’uno dall’altro nonostante l’unità per cui e secondo la quale essi sono la stessa cosa. Se si tiene conto di questa distinzione, bisognerà dire che, in essa, è ognuno dei due che è unità con l’altro. Il Divenire contiene dunque una doppia unità dell’Essere e del Nulla: a) quella che, partendo dal Nulla, è costituita dal passaggio dal Nulla all’Essere: è il “Nascere” e b) quella che, partendo dall’Essere, è costituita dal passaggio dell’Essere nel Nulla: è lo “scomparire”, il “venir meno”, il “perire”. Il Pensiero o l’Assoluto è contemporaneamente Divenire in queste due direzioni distinte, due direzioni che si penetrano e paralizzano reciprocamente perché il Nulla passa nell’Essere, l’Essere passa nel Nulla e questo, inversamente, nell’Essere, ecc.. Lungo tutta la Logica e ovunque nelle altre sfere dell’Idea avverrà quindi – ma questa è una delle definizioni più povere del Pensiero –, che l’Assoluto, se colto nella sua immediatezza, è Divenire, puro Divenire, l’apparire e l’oscurarsi.
E questo è ciò che si è già verificato nell’apparire e nell’ oscurarsi delle due prime categorie della Logica: l’Essere e il Nulla.
Essere e Nulla sono opposizione. In effetti, come si è visto, l’uno non è ciò che l’altro è, ciascuno è piuttosto l’opposto in senso stretto dell’altro, in quanto il primo mira a una positività assoluta e il secondo a una negatività assoluta. Essere e Nulla sono in tal senso l’opposizione in tutta la sua immediatezza. Di fatto, una mediazione qualunque di questa opposizione presupporrebbe che, in uno dei due o in entrambi, una determinazione che contenga la loro reciproca relazione sia posta esplicitamente. E questo tuttavia non può essere il caso in questione poiché Essere e Nulla sono, tutti e due, la pura astrazione dell’immediatezza assoluta. Essi sono dunque, per definizione, senza rapporto, senza riferimento l’uno all’altro nonostante essi siano essenzialmente la stessa cosa l’uno e l’altro. La determinazione comune che li fa trapassare l’uno nell’altro e, in questo senso, li mette in rapporto è però e a pieno titolo contenuta in essi: è la determinazione che consiste nel non averne alcuna. Ma il rapporto o la relazione o, più esattamente, il passaggio dall’uno all’altro non può essere reso manifesto o posto esplicitamente in nessuno dei due in quanto entrambi non sono altro che il puro immediato denudato di ogni rapporto. È per questo motivo che, se la deduzione della loro unità è in un senso interamente analitica e necessaria, in quanto necessita, per ottenerla, di porre esplicitamente nell’uno l’astrazione o l’immediatezza già contenuta nell’altro, questa deduzione è ugualmente e interamente sintetica poiché, in ragione dell’assenza di ogni rapporto esplicito tra i due, c’è, dall’uno all’altro, a dispetto della loro identità, una totale discontinuità. Così è in questi primi paragrafi della Logica che si verifica al massimo l’affermazione del § 84 secondo cui, nella sfera dell’Essere in generale, la determinazione ulteriore e progressiva delle categorie è un Über-gehen in Anderes, un trapassare in altro, un passaggio discontinuo, sebbene necessario, di una categoria in un’altra.
Ad finem. Qualora si cerchi, al fine di rappresentarsi l’unità di Essere e Nulla, un esempio in grado di aiutare l’immaginazione, ci si potrebbe appoggiare non soltanto sulla rappresentazione che ciascuno si fa spontaneamente del Divenire, ma anche su quella del Cominciamento. In effetti, quando una cosa comincia, essa non è ancora e, in questo senso, essa è Nulla; eppure, proprio in quanto essa comincia, essa non è puramente e semplicemente nulla ma essa è anche e già Essere. Il cominciamento è dunque, come il Divenire, unità nella distinzione, dell’Essere e del Nulla e si potrebbe quindi, a scopo pedagogico, cominciare la Logica con la rappresentazione del puro cominciamento (del pensiero), anche a costo di analizzare solo in seguito da un punto di vista concettuale, e questo al fine di estrarne le due categorie più originali dell’Essere e del Nulla insieme alla loro unità, accettando così quest’ultima più agevolmente. Ciò nondimeno, il Divenire resta la sola espressione davvero appropriata dell’unità originaria dell’Essere e del Nulla. La rappresentazione del Cominciamento suggerisce, in effetti, nel contempo troppo e troppo poco. Suggerisce troppo poiché essa esprime già il riferimento esplicito alla progressione ulteriore e di là sorpassa l’immediatezza che deve ancora caratterizzare il puro Divenire. Suggerisce, invece, troppo poco, giacché, sebbene permetta di apprendere con l’immaginazione il momento della nascita all’interno del Divenire, essa distoglie nondimeno l’attenzione dall’altro momento indissociabile del Divenire, il morire.
- Come è stato già detto nel commento, espressioni come “Essere e Nulla sono la stessa cosa” o “l’unità dell’Essere e del Nulla” sono soggette a cauzione: la prima perché non dice insieme che l’Essere e il Nulla sono diversi, la seconda perché, in ragione del carattere superficiale e indeterminato della categoria di unità, rischia anch’essa di essere unilaterale e di far risultare esclusivamente l’unità di Essere e Nulla a discapito della diversità, la quale però è presente ugualmente perché è dell’Essere e del Nulla e dunque è solo rispetto a due categorie distinte che l’unità è posta in quest’espressione. Anche Hegel conclude affermando che una determinazione speculativa del pensiero non può essere espressa correttamente nella forma di una proposizione come quella del § 88: “la verità dell’Essere, così come quella del Nulla è l’unità dei due”, giacché ciò che deve essere colto è sì l’unità, ma l’unità nella diversità e questo fatto implica che quest’ultima sia nello stesso tempo esistente e posta. Ora, non è questo il caso allorché si usa un’espressione come “l’unità dei due” dove la distinzione non è presente che sussidiariamente nel genitivo “dei due”.
Solo il Divenire è la corretta espressione dell’unità che risulta dalla dialettica tra Essere e Nulla. Il Divenire, in effetti, evoca un movimento incessante, una pura mobilità dei suoi momenti. Non c’è nulla in esso che sia stabile, fisso o statico. Questo avviene in quanto il Divenire non è solo l’unità dell’Essere e del Nulla, con ciò che questo termine “unità” implica volentieri di fisso e di non processuale: esso è piuttosto l’irrequietezza in sé, la pura inquietudine, l’assoluto non riposo; l’unificazione in atto più che l’unità perfetta. Esso è unità certo, ma l’unità che non è tale solo in quanto relazione-a-sé priva di movimento – come se il Divenire fosse una cosa che riposa nella calma di se stesso: esso è piuttosto qualcosa che si rinnega costantemente esso stesso, che si rivolge polemicamente contro se stesso in ragione della distinzione, presente nel Divenire, tra l’Essere e il Nulla.
Per contro, la categoria che segue, ovvero quella dell’Essere Determinato sarà la stessa unità dell’Essere e il Nulla, ma stavolta precisamente nella forma unilaterale dell’unità fissa e statica. L’Essere determinato è perciò unilaterale e finito. L’opposizione è come se fosse sparita essendo contenuta nell’unità solo implicitamente, senza cioè essere posta in essa.– Riserviamo alla Nota del paragrafo successivo il commento dettagliato di qualche riga che Hegel consacra in quella sede a questa nuova categoria.