Crisi, magia, storia

Analisi culturale del fenomeno magico
Paolo Calandruccio

In questo articolo svolgo una riflessione sul senso dei “poteri magici” nelle credenze popolari, rivolgendo l’attenzione, in particolar modo, a quella concezione che attribuisce ad essi la funzione di Pharmakon esistenziale. Nello specifico, desidero soffermarmi sulle dinamiche che riguardano le relazioni tra il singolo e la comunità nei momenti di “crisi di senso”, nei quali risulta necessario un intervento che agisca su fenomeni che non possono essere gestiti tramite l’ausilio di applicazioni tecno-scientifiche[1]. Da questa prospettiva, la magia, nelle credenze popolari, è sì una via per il riscatto esistenziale, sociale e psicologico, tuttavia è un rimedio dal “di dentro”, cioè dallo stesso mondo del dramma nel quale sorge la crisi che, come rimedio, necessita di “applicazioni” che abbiano la stessa grammatica ontologica del dramma stesso. Ho, pertanto, usato il lemma Pharmakon, richiamando l’ambivalenza del termine, gioco di significati già utilizzato da Platone e ripreso da Derrida ne La farmacia di Platone[2]. Il Pharmakon è, per l’appunto – a livello semantico e ontologico – sia rimedio sia veleno. Per questo ritengo valida l’idea di affiancare il fenomeno dell’intervento magico a questa concezione: si tratta, infatti, di un’operazione che è parte integrante dell’orizzonte di senso in cui sorge la necessità di rivolgersi ad un intervento di tipo magico. Si tratta, dunque, di un prodotto socio-culturale di risposta ad una crisi esistenziale e di “senso” che comunque, “in qualche modo”, deve effettivamente contrastare i rischi che non sono gestibili in altri modi. Ritengo importante, pertanto, esplicitare che il discorso appena svolto deve muovere dalla comprensione, come sostengono Marcello Massenzio e Carlo Tullio-Altan, che il ricorso alla magia è una certezza socio-culturale che garantisce alla presenza un «aggancio al piano della storia» e che, comunque, risulta essere un modus di reintegrazione sociale e di riadeguamento dell’orizzonte di senso del reale, dopo il momento della crisi[3].

In questo ordine d’idee, una prospettiva di particolare interesse, sulla quale fondo le mie riflessioni, è quella di Ernesto De Martino e, pertanto, rinvio al mio testo Lidentità che trascende nel valore. Una proposta metafisica sullessenza delluomo fondata sul pensiero di Ernesto De Martino[4], per un’analisi del pensiero di questo autore, utile ad una comprensione più approfondita di questo articolo.

Per entrare con più incisività nel merito della questione, così come precedentemente impostata, è necessario soffermarsi su alcuni concetti fondamentali che stanno alla base di questo ragionamento, quali: «mondo»[5], «dramma storico del mondo magico» e, conseguentemente, «comunità magica». La spiegazione di questi concetti è, infatti, la base per individuare la valenza degli interventi magici come Pharmakon esistenziale. 

Il mondo, dagli studi di De Martino, risulta essere un concetto che può avere una «significativa trasvalutazione»[6], dovuta principalmente al contesto. Il termine sta ad indicare, infatti, sia concretamente la realtà in quanto tale (l’Umwelt heideggeriano), sia, in senso più complesso, la realtà di quel «mondo magico», inquadrato in quello squarcio di esistenza, vissuta dai singoli individui che appartengono alla «comunità magica»; indica, dunque, all’interno di quell’orizzonte esistenziale, la realtà di quella specifica modalità di esistenza. Proprio per questa accezione sarà utile citare un passo dal testo Il Folklore, di Paolo Toschi:

Entriamo così nel vasto mondo delle superstizioni e delle vane osservanze, della magia e della stregoneria, della profezia e di numerose forme di manzia, per svelare il segreto e il futuro; un mondo popolato di spiriti buoni o malvagi, di personaggi o animali fantastici, nel quale ancora vige il culto delle acque, delle pietre, degli alberi, degli astri e dove con scongiuri e amuleti, con filtri e legami si comanda sul bene e sul male[7].

Un senso simile del concetto di «mondo» non è qualcosa di stabile, di certo, ma rientra nell’indeterminatezza e nell’instabilità di tutta l’esistenza magicamente intesa. Proprio questo aspetto rende, dunque, il concetto di «mondo» come qualcosa che, a sua volta, può essere perso dal singolo che entra in crisi o da una comunità che “sente” vacillare l’ordine naturale delle cose. Nella magia e nelle pratiche mitico-religioso, si può riscontrare un Pharmakon che stabilizzi dall’interno questa situazione di fragilità potenziale. Per noi è decisamente difficile comprendere quest’aspetto, poiché veniamo da una cultura che ha cercato di dominare il “negativo”, per sfuggire alla possibilità dell’ignoto, della fragilità di qualcosa che è incontrollabile e che, conseguentemente, terrorizza. Pro-veniamo da una cultura controllante, come spiegano brillantemente Theodor Adorno e Max Horkeimer nella Dialettica dellilluminismo[8], che col criterio di “spiegazione” e di “dominio” cerca di eliminare il negativo, negativo che, invece, in queste popolazioni viene vissuto ed esperito. Perciò, tutto l’aspetto magico è da interpretare dal “di-dentro” ed è questo il senso di ciò che De Martino intende quando, per esempio, nel Mondo magico parla de «La realtà dei poteri magici»; le parole che seguono possono confermare e chiarire quanto appena riferito:

La natura culturalmente condizionata rinvia alla condizione culturale da cui sorge, rinvia al mondo storico della magia. Se e in che misura i poteri magici sono reali è questione che non può essere decisa indipendentemente dal senso della realtà che qui fa da predicato del giudizio. Ma questo senso può essere appreso solo per entro la individuazione del dramma storico del mondo magico[9].

Dunque, a questo punto, uno dei problemi che vanno affrontati, per comprendere la “realtà” dei poteri magici, risiede, come spiega chiaramente De Martino, nella polisemia del concetto di realtà[10]. Prima di continuare la riflessione, c’è da esplicitare che questa è una questione spinosa, che aprì la strada ad un dibattito avvenuto tra Benedetto Croce e De Martino, riguardo alla storicità delle categorie; quest’argomento, tuttavia, non può esser affrontato in questo articolo, poiché ci allontanerebbe dal focus[11]. Comunque, tornando al nostro ragionamento, comprendere che un “fatto”, come quello dei poteri magici, sia “reale”, è differente dall’affermare la suprema universalità e l’efficacia della magia; infatti, ciò vuole semplicemente dire entrare in un diverso “orizzonte di senso”, all’interno di un’altra cultura che vede come “reale” la manifestazione di riti e di interventi magici come “rimedio” o come “riscatto esistenziale”.

Solo in questa prospettiva, che è quella del dramma storico del mondo magico, il senso della realtà dei poteri magici può e deve essere inteso. Dunque, riprendendo il filo del discorso, il mondo, così inteso, è il palcoscenico in cui la cultura magica si manifesta, col suo grado di realtà inerente alla realtà dell’esistenza e della presenza del mondo magico; a questo appartengono i soggetti che vivono all’interno di quella che può essere chiamata la «comunità magica», all’interno del dramma storico del mondo magico. Ma in cosa consiste questo dramma? Il senso di ciò è esemplarmente desumibile dalla questione, analizzata da De Martino in numerosi studi, della crisi della presenza e dal senso degli interventi magici come rimedio culturale e sociale a queste situazioni. Infatti, il dramma consiste nell’essere immersi in un momento della storia di un determinato popolo, nel quale la “presenza” non è né fondata né garantita, anzi è messa in pericolo; conseguentemente, questo “sentire il rischio”, la “possibilità di perdersi” fa attuare, a livello collettivo, strategie di difesa e di riscatto, compatibili con la situazione socio-culturale in cui si sviluppa l’evento del dramma[12].

Dunque, il dramma storico del mondo magico consiste nell’essere situato in un momento ed in una popolazione in cui la “presenza” non è garantita, anzi è a rischio. Perciò, tramite risposte socio-culturali (che intervengono direttamente o indirettamente) vi è un’operazione volta ad arginare o ad estirpare il dramma. La totalità della situazione in cui si mettono in atto queste strategie difensive costituisce la «comunità magica». Questa, infatti, è composta da istituti, dal singolo e dalla collettività che vive il dramma (la crisi) e dai soggetti, appartenenti alla comunità, che intervengono per “arginare” il dramma in questione. In breve, la «comunità magica» è tutta la struttura di quella civiltà che è «preparata a sciogliere quel dramma, che è comune a tutti, in misura maggiore o minore, in una forma o nell’altra»[13]. Questo senso di comunità è molto importante nell’interpretazione dei drammi esistenziali che si risolvono col magismo, perché richiamano un aspetto “plurale”, unico del fenomeno in questione; per esempio, la capacità di recupero del singolo che “entra in crisi”, infatti, è riscontrabile in un lavoro collettivo, mentre la forza del singolo che sta subendo la crisi della presenza è zero, rispetto a quella necessaria per il riscatto. Questo riscatto, infatti, necessita di una “mobilitazione totale” e richiama l’eco di tutta la «comunità magica», leggiamo quanto segue, per comprendere bene:

Nel mondo magico, la salvezza si compie per uno sforzo che non è monadistico, dell’individuo isolato, ma è dell’individuo in quanto partecipe di un dramma culturale a carattere pubblico […]. In generale, nei casi di incipiente e fugace labilità della presenza, bastano i tenui compensi delle “piccole manie quotidiane”, di ciò che chiamiamo debolezze o superstizioni o stranezze. Ma nei casi più gravi, quando il rischio esistenziale magico si presenta in tutta la sua imponenza, non bastano le forze dell’individuo per conseguire il riscatto. L’individuo è affatto impotente a reinventare tutto il mondo culturale che sarebbe necessario per vincere il rischio[14].

Inoltre, questa salvezza arriva tramite una caratteristica ben specifica delle pratiche e dei rituali. Nelle situazioni studiate da De Martino, che rientrano nei casi di «crisi della presenza», per esempio, questi rituali e queste pratiche sono caratterizzate da un aspetto “destorificante” e da un aspetto “metastorico”, tramite i quali l’individuo si “distacca” dalla sua situazione attuale, per entrare in un sistema di simboli e di pratiche destorificati, che richiamano un ordine di “fatti” già accaduto – che rinviano ovviamente ad un aspetto “salvifico”. Tutto ciò all’intero di un orizzonte metastorico che infrange la linearità spazio-temporale del presente in cui si trova il singolo, per farlo immedesimare nella situazione desiderata, al fine di astrarlo dalla sua attuale condizione, riconducendolo così alla normalità, tramite la riproposizione destorificata degli eventi simbolicamente rilevanti; per chiarire il tutto, leggiamo cosa scrive De Martino per quanto riguarda le pratiche religiose (ma ciò può essere benissimo pensato in relazione anche alle pratiche magiche):

Il carattere fondamentale della tecnica religiosa sta nel contrapporre a questa destorificazione irrelativa una destorificazione istituzionale del divenire, cioè una destorificazione fermata in un ordine metastorico (mito) col quale si entra in rapporto mediante un ordine metastorico di comportamenti (rito). Con ciò è offerto un orizzonte per entro il quale si compie la ripresa delle possibili alienazioni individuali e la loro riplasmazione nei valori culturali[15].

Praticamente, come sostiene anche Umberto Galimberti nell’«Introduzione» a Sud e Magia, queste “pratiche” dischiudono il “senso” della metastoria e, cioè, introducono un mondo in cui questi accadimenti sono già avvenuti ed hanno avuto il loro esito positivo. Così, quando incombe il negativo sull’esistenza umana, l’individuo ha un quadro di certezze che lo aiutano a rimanere nell’orizzonte di senso della sua società o, meglio, il singolo sa che esiste un ordine metastorico come il suo, in cui la negatività si risolve e scompare[16].

Da quanto ho scritto, anche se brevemente, credo si comprenda il ruolo della magia – che si manifesta nelle varie società in quanto Pharmakon (con le proprie sfumature culturali che variano da cultura a cultura) – e l’importanza che rituali, pratiche magiche e credenze hanno in queste comunità. Queste forme d’intervento, infatti, sono una risposta culturale ed esistenziale a quelle condizioni limite nelle quali spiegazioni o risoluzioni altre non avrebbero un effetto, poiché non andrebbero ad operare sulla dimensione ontologica chiamata in causa dal dramma stesso, in quel determinato orizzonte socio-culturale.

Per concludere, mi sembra quantomai rilevante citare un brano pubblicato postumo, contenuto in Storia e metastoria, che parla della vita religiosa (come già detto, un caso particolare del discorso generale sulle pratiche magiche e sui rituali), nel quale si può cogliere chiaramente l’importanza pragmatica del discorso svolto fin qui:

La vita religiosa è un sistema istituzionale di tecniche mediante il quale si reintegra nella storia il passato smarrito. In particolare è un sistema istituzionale di tecniche destorificatrici, mediante le quali è istituito un piano metastorico del pensiero e della prassi, al fine di dare orizzonte alla alienazione irrelata (ripesa della alienazione), di convertire i simboli chiusi in simboli aperti al valore (ripresa dei simboli mascherati nel mito), di convertire la ripetizione del passato nella iterazione rituale del mito (ripresa del ritorno come rischio), di convertire l’assenza in assenza padroneggiata (ripresa dell’assenza in tecniche mistiche), e di riassorbire la proliferazione del divenire nell’iterazione dell’identico metastorico in modo da attenuare nel già deciso in illo tempore l’asprezza storica dei momenti critici del divenire (ripresa dei rischi rituali della presenza)[17].

 


Bibliografia

Calandruccio, Lidentità che trascende nel valore. Una proposta metafisica sullessenza delluomo fondata sul pensiero di Ernesto De Martino, Mimesis, Milano 2018.

Cherchi, M. Cherchi, Ernesto De Martino. Dalla crisi della presenza alla comunità umana, Liguori, Napoli 1987.

De Martino, Il mondo magico. Prolegomeni ad una storia del magismo, Bollati Boringhieri, Torino 2007.

Id., Storia e metastoria. I fondamenti di una teoria del sacro, a cura di M. Massenzio, Argo, Lecce 1995.

Id., Sud e magia, Feltrinelli, Milano 2000.

Id., Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria, Bollati Boringhieri, Torino 2000.

Durkheim, H. Hubert, M. Mauss, Le origini dei poteri magici. Tre studi classici di antropologia e sociologia, pref. di E. De Martino, Bollati Boringhieri, Torino 2013.

Derrida, La dissémination, Seuil, Paris 1972; tr. it., La disseminazione, Jaca Book, Milano 1989.

Horkheimer, T. W. Adorno, Dialiktik der Aufklärung. Philosophische Fragmente, Social Studies Ass. Inc., New York 1944; tr. it., Dialettica dellilluminismo, Einaudi, Torino 1997.

Massenzio, C. Tullio-Altan, Religioni, simboli, società: sul fondamento umano dellesperienza religiosa, Feltrinelli, Milano 1998.

Nigro, Ernesto de Martino e lapocalisse psicopatologica, in «Lo Sguardo. Rivista di filosofia», 2016/II, n. 21, p. 93-126 [titolo del n.: «Filosofia e catastrofe», a cura di M. Carassai e S. Guidi].

Pavese, E. De Martino, La collana viola. Lettere 1945-1950, a cura di P. Angelini, Bollati Boringhieri, Torino 1991.

Toschi, Il Folklore, Studium, Roma 1960.

 


Note

[1] Su questo aspetto, le riflessioni di molti celebri studiosi, fondamentali per l’antropologia religiosa e per la storia delle religioni, tra i quali Malinowski, Van Der Leeuw, Levi Strauss, De Martino, etc., mutatis mutandis, suggeriscono infatti che l’operato magico, nelle varie culture e con modalità differenti, vada ad agire su quella dimensione della realtà che non è dominabile tramite l’applicazione scientifica e che, pertanto, qualora faccia scaturire situazioni limite e circostanze critiche, necessiti, per la collettività e/o per il singolo, comunque di un “intervento” che “sistemi” l’ordine naturale delle cose.

[2] Cfr. J. Derrida, La Pharmacie de Platon, in La dissémination, Seuil, Paris 1972; tr. it. La farmacia di Platone, in La disseminazione, Jaca Book, Milano 1989, pp. 101-198.

[3] M. Massenzio, C. Tullio-Altan, Religioni, simboli, società: sul fondamento umano dellesperienza religiosa, Feltrinelli, Milano 1998, p. 58.

[4] Cfr. P. Calandruccio, Lidentità che trascende nel valore. Una proposta metafisica sullessenza delluomo fondata sul pensiero di Ernesto De Martino, Mimesis, Milano 2018.

[5] La riflessione sul concetto di Mondo che viene proposta è, sicuramente, parziale e incompleta da una prospettiva filosofica e storiografica; tuttavia, questa lacuna è propedeutica alla finalità di questo mio discorso che, riportando la concezione che ritiene opportuna e valida, la chiarisce e la propone in virtù di questo studio.

[6] P. Cherchi, M. Cherchi, Ernesto De Martino. Dalla crisi della presenza alla comunità umana, Liguori, Napoli 1987, p. 105.

[7] P. Toschi, Il Folklore, Studium, Roma 1960, p. 174.

[8] M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente, Social Studies Ass. Inc., New York 1944; tr. it., Dialettica dellilluminismo, Einaudi, Torino 1997.

[9] E. De Martino, Il mondo magico. Prolegomeni ad una storia del magismo, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 69.

[10] Ivi, pp. 9-10.

[11] Riguardo alla relazione generale tra il pensiero demartiniano e quello di Benedetto Croce, è bene far presente che gli studiosi sono concordi nell’individuare un riavvicinamento di De Martino a Croce, dopo questa disputa avvenuta in conseguenza della pubblicazione del Mondo magico. È interessante notare, come riporta Pietro Angelini, in una nota aggiuntiva a La collana Viola, che tale riavvicinamento non sarebbe avvenuto a partire dal ’51, bensì già da prima, intorno, cioè, al ’49; ciò è testimoniato da una lettera che De Martino mandò a Cesare Pavese, il giorno 11 maggio del 1949; in questa, l’autore campano parla di una prefazione ad un volume di Durkheim, Hubert e Mauss, in cui, per la prima volta, si manifesterà il riavvicinamento già menzionato (il vol. in questione è E. Durkheim, H. Hubert, M. Mauss, Le origini dei poteri magici. Tre studi classici di antropologia e sociologia, pref. di E. De Martino, Bollati Boringhieri, Torino 2013). Dice, dunque, Angelini al riguardo: «Più che per la storia della collana, questa lettera è importante per la periodizzazione della biografia intellettuale di De Martino. La prefazione al volume di Durkheim, Hubert e Mauss costituisce infatti il primo passo “pubblico” della sconfessione di una tesi del Mondo Magico (la storicità delle categorie): è il cosiddetto ritorno a Croce di De Martino, che generalmente si fa risalite al 1951, anno della pubblicazione del libro, mentre va evidentemente retrodatato». Cfr. C. Pavese, E. De Martino, La collana viola. Lettere 1945-1950, a cura di P. Angelini, Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. 133.

[12] Ivi, p. 151.

[13] D. Nigro, Ernesto de Martino e lapocalisse psicopatologica, in «Lo Sguardo. Rivista di filosofia», 2016/II, n. 21, p. 102 [titolo del n.: «Filosofia e catastrofe», a cura di M. Carassai e S. Guidi].

[14] E. De Martino, Il mondo magico, cit., pp. 151 e 156.

[15] E. De Martino, Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria, Bollati Boringhieri, Torino 2000, p. 37.

[16] U. Galimberti, Introduzione a E. De Martino, Sud e magia, Feltrinelli, Milano 2000, p. IX.

[17] E. De Martino, Storia e metastoria. I fondamenti di una teoria del sacro, a cura di M. Massenzio, Argo, Lecce 1995, p. 122.

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