Franca Sera
Lo Hegel sistematico, dopo aver scritto la Grande Logica a Norimberga (1812-1816), si recherà ad Heidelberg e ivi divenuto professore, scriverà la Enciclopedia delle Scienze Filosofiche (1817), prima di iniziare l’insegnamento a Berlino (1818-1831), chiamato dal ministro Altenstein. E così Hegel nell’Enciclopedia, inizierà il suo Sistema con la Logica e continuando con la Filosofia della Natura e la Filosofia dello Spirito. Ora, aldilà della problematica della collocazione della Fenomenologia dello Spirito, all’interno della stessa Enciclopedia nella sezione della Filosofia dello Spirito e rispetto alla stessa Fenomenologia dello Spirito del 1807, intesa come sistema “autonomo” rispetto al Sistema dell’Enciclopedia del 1817, si esce dal piano dell’esistenza naturale, a quello dello spirituale. E si esce con questo processo dialettico: ed il motore del movimento dialettico è la Negazione-Contraddizione. Da questo momento in poi si evidenzia come uscire dal momento naturalistico opaco e casualistico della filosofia spirituale della natura, attraverso la prima negazione. Dopo di che si passa alla concezione della Negazione, come Negazione assoluta, da cui però Hegel erediterà molteplici problemi. Come filigrana del reale, quale ordito che permea di sé la realtà, la funzione stessa dinamica a filtraggio dinamico della Formelle-Bestimmung, che consiste nell’autosapersi incondizionato attraverso un progressivo ed organico automovimento della funzione materiale, Materielle-Bestimmung, fino all’autoconclusione in sé e per sé della padronanza di sé del determinato e dall’altro lato la funzione particolare, che è tale solo in quanto movimento e condizione di quel incondizionato peregrinare, di quelle metamorfosi che alterano le configurazioni, inizialmente sempre parziali ed incongrue del determinato, è chiaro che la struttura della dialettica, con il suo motore che è la Negazione o Contraddizione è ab intra, cioè a dire è la filigrana, come dice Leonard, delle cose stesse o del reale. In questo quadro si ribadisce che, contro Feuerbach ed altri, nella modernità hanno costantemente misinterpretato, volontariamente od involontariamente, questa condizione realistica del vettore immanente che ricade sotto la voce della determinazione universale. E quindi dire che la filosofia della Natura, e quindi il territorio della Natura, in Hegel, non è oggetto di una attività creazionistica dello Spirito, non è fuoriuscita da una sorta di parto ontogenetico, per il quale lo Spirituale essendo Universale, produce e genera il reale o la dimensione naturale (che è quella dell’individuale). Ossia non è quel Geist che sovradeterminato volteggia e produce la Natura [come non è in termini assoluti quello Spirito che poi teticamente pone il Non-Io, pensando all’Idealismo fichtiano, che produce immediatamente attraverso un urto o azione attuativa, come atto inconscio, il reale]. È altresì bizzarro pensare ad un’azione inconscia, che è priva di Volontà. E dunque il produrre (Vor-bringen) l’altro da sé è attuativo di una individualità assoluta ma idealistica. Azione formale come formale è il concetto di Libertà nella Ragion Pratica di Kant, anche se fondamentale per la modernità. Da un’azione inconscia non può che derivare un probabile dover-essere, ma mai un Essere. In Hegel, la Natura è l’altro dello Spirito, chi ha inteso sempre in termini creazionistici il rapporto Spirito-Natura in Hegel, ha prestato un pessimo servizio all’interpretazione del pensiero Hegeliano, pur con legittime interpretazioni, poiché la Natura (come il Tempo) è l’Esser là dello Spirito. È l’Esser altro dello Spirito, ma con ciò non significa che lo Spirito non sia presente in questa alterità. Non significa che la Natura non sia permeata da questo principio sovradeterminato che è lo Spirituale, ma che al contrario, il principio sovraindividuale in quanto Spirito, è presente in quanto in formato in una dimensione particolaristica, individualistica, opaca. A sottolineare che la Natura non è altro dallo Spirito, ma è altro dello Spirito. Così come le categorie non sono astrazioni dalla realtà, ma sono momenti della realtà, avendo lo stigma del Reale. Quindi il soggetto è sostanziato da il proprio non-esser come altro da sé. È il non essere altro, è il suo non-essere ciò che individua l’identità del sé. È il non e l’altro che carnifica l’Io. Esso rende intelligibile l’identità, così che il soggetto naturale allontanando e rimuovendo (senza mai superare veramente) fuori da sé quella Universalità che è l’alterità, porta con sé esattamente l’opposto, poiché rimuovendo ed allontanando da sé l’alterità, allontana e destituisce da sé la propria identità. In una sorta di invio destinale, questo soggetto si capovolgerà in ciò rispetto cui voleva allontanarsi e superare, ossia nell’altro da sé. Si capovolgerà cioè in infinite alterazioni indeterminate che alla fine produrranno uno scacco alla sua stessa ragion d’essere, facendolo disperdere nel Nulla: nullificandolo. In questa continua separazione dall’altro separerà se stesso da se stesso. E quindi annienterà se stesso in termini introiettivi e non estrinseci, poiché l’alterità che vedrà da questo momento in poi come potenza estranea e mortifera, con la quale egli stesso s’inimicherà, non sarà altro che quella stessa potenza che lo trattiene nell’essere assoluto, come autocoscienza incondizionata in sé e per sé. E quindi è chiaro che vedrà nemica quella potenza che non sapendo di non dover allontanare, poiché allontanandola commetterà una sorta di auto decostruzione di sé, la vedrà appunto come colei che attenterà alla propria dimensione ontico-naturale. È chiaro che il destino di queste soggettività, che di volta in volta sono oggetti-soggetti organici-inorganici[1], si rivolgerà nel suo opposto. Ecco la tecnica dell’ Umkehrung o Gegenstoss o dell’Umschlagen, in quanto contraccolpo o capovolgimento. Ma si capovolgerà perché avrà alienato fuori di Sé, quello che in realtà fa sussistere quello stesso Sé. E quindi vedrà come opposto a sé quello che invece è il tema fondante di sé stesso, per la sua stessa esistenza, cioè l’Universale, l’Alterità. Poiché la sua identità è tale mediante l’Altro. È solo l’Altro che pone ed istituisce l’identità del Sé. Quando penserà di vedere l’Altro per un inopinato ed immediato Giudizio presupposto con sé, perché egli crede che la Verità sia il suo semplice coincidere con se stesso, essere Veri ed entrare nel Vero significa coincidere con se stesso, egli credendo e nella presupponenza che solo per il fatto che si coincida con se stessi si è il Vero, autentica unità di Universale e Particolare, si è Totalità. Nel momento in cui la soggettività naturalistica per sua natura gli detta inopinatamente tale disegno, o obiettivo, automaticamente inizia il suo declino: inizia il suo fallimento, caduta, tramonto esistenziale e psicologico, poiché inizia ad esaurirsi attraverso una sorta di auto da fè, come lenta e costante anoressia di Sé. Permette appunto che s’inneschi una sorta di processo suicidario, attraverso una specie di aneurisma dell’Io. Attraverso atroci e dubbi sospetti, attraverso surreali mondi e spettrali essenze che lo attraverseranno. Questa febbre dell’altro gli metterà sotto gli occhi (mediante proiezioni mentali) una serie di figure. E lo getteranno in un mondo di angosce, fatto di mondi opachi e visionari, per il quale il giovane Hegel scriverà il personaggio del Macbeth, con il re Banquo, che ucciso fraudolentemente da Macbeth, si ripresenta agli occhi dell’assassino in visioni notturne e diurne, quasi a testimoniare che la rimozione dell’altro ha esiti reali. È infatti durante la veglia che Macbeth (così come il Cristo) vedrà fallire il proprio progetto legato ad una soggettività in disfacimento. Tale fallimento è reale e non immaginifico: questo sta a testimoniare che Macbeth vede il volto insanguinato di Banquo anche durante la veglia. È un incubo reale. È una sottrazione reale della propria consistenza logica-ontologica e psichica. È una dinamica reale. Il NULLA È in quanto fantasma diurno. Così si deve uscire dal piano dell’esistenza individuale. Da questa soggettività dimidiata, che si vedrà letteralmente portare via il terreno sul quale essa stessa consiste. Nasce, si sviluppa e regredisce sino a morire in termini naturali. Quell’alterità sempre nuovamente allontanata e mai superata, poiché è impossibile che si superi l’alterità. Poiché superare l’alterità significa non essere. Significa perdersi in infinite determinazioni aventi valore del Nulla. Alterazioni indefinite che Hegel chiama cattive infinità. Poiché non v’è l’infinito, ma solo un mero approssimarsi di sé con se stessi. L’autocoscienza non capisce che allontanando da sé l’altro, il mondo trasversale e verticale della propria forza centripeta ed insieme centrifuga, quali effetti della determinazione formale all’interno della determinazione-materiale, significa appunto esaurire se stessi. Significa depauperare la propria consistenza ontica-ontologica. Giulio Cesare, i Monarchi del 600, Abramo, Cristo, Macbeth, eroi tragici antichi e moderni, oggetti organici ed inorganici, come il denaro, che riceveranno un’investitura simbolicamente universale, o che essi stessi si autopresentano davanti alle proprie comunità, come assoluti, incondizionati, avranno un unico ed invariabile Destino: quello del rovesciamento nel proprio opposto. Saranno cioè invasi da ciò che volevano allontanare. Saranno cioè sopraffatti, fallendo la propria natura e missione, da ciò che volevano superare. Poiché non avranno capito che ciò che volevano superare in realtà era ciò che, contrariamente a quello che pensavano, li formava e costituiva. Era ciò che come un Sostrato li sostanziava. Era ciò che li rendeva intelligibili. Era ciò che li rendeva reali. Era la loro ragion di vita, la loro ragion d’essere. Era la condizione sufficiente e necessaria della loro esistenza. Il primo Hegel osserva questo processo, dapprima come semplice inintenzionale Destino di tutte quelle soggettività in modo inopinato e presupposto, che si dichiaravano assolute. Poiché Hegel aveva capito che la risoluzione delle scissioni della vita, della storia, della Filosofia, dovevano avvenire attraverso un principio unitario; che riunificasse la realtà e portasse questa stessa ad un’Unità il molteplice. Sotto un principio uni-totale. E quindi se l’intento della modernità era quello di ricucire le scissioni, detergere il mondo dalle conseguenze negative delle scissioni logico-antropologico, che i Sistemi filosofici avevano prodotto ed non avevano fatto altro che erogare a dismisura. Il giovane Hegel, non tollera che vi siano elementi sovraccaricati di una dimensione solo apparentemente universale, ma che in realtà non fanno altro che atteggiarsi ad “addentellatori” della Vera ed Unica Verità. Il Destino prima e L’amore dopo che transita per Hegel, attraverso il sentimento dapprima soggettivistico-sentimentale, e poi lo stesso come sentimento religioso popolare, e la Vita infine, come sentimento biologistico-vitalistico, che lo Hegel del System Fragment (1800) affermerà essere la Vita appunto, come Unione dell’Unione e della non Unione. Amore, sentimento spirituale-religioso e popolare, che soppianta quello della Religione positiva (anche se poi Hegel stesso si ravvederà sul fatto che il solo lato sentimentale-universale dell’Amore, nella religione popolare, sarà manchevole del vero nesso universale e sintetizzante uguale per tutti). Il linguaggio dell’Amore, infatti, poi per Hegel non funziona; poiché coinvolge esteriormente ed estrinsecamente la vera condizione dell’esistenza e quindi della molteplicità. Poiché l’Amore è un sentimento, e porta con sé le semenze di una singolarità inevadibile, di una condizione comunque soggettiva anche se su di un terreno agapico, universale. L’amore non unisce realmente in una dimensione comunitaristica i singoli, poiché l’amore ricade in una dimensione soggettiva e quindi di nuovo non universale. Il falli mento del Cristo è sotto gli occhi di Hegel, che nel 1795 aveva scritto la Vita di Gesù. Il Cristo fallisce perché soffre di settarismo. Il suo linguaggio, la sua buona Novella, tocca e raggiunge solo alcuni. E quella presunta universalità che il Cristo stesso incarna in quanto Figlio di Dio, attraversa la parzialità di un linguaggio amorevole ma appunto non-universale, identifica un contenuto astratto. Un astratto universale da un lato, carnificato dall’autocoscienza storica ed assoluta del Cristo, ma solo in una dimensione rappresentativa, e quindi irrelata (si veda che la figura dialettica corrispondente a questa coscienza logico-antropologica e psico-dinamica, sarà l’Anima Bella), dall’altro un linguaggio dell’amore che arriverà a pochi poiché appunto, sebbene la salvazione dal peccato originale è una redenzione comune al mondo ed universalizzata a tutto il genere umano, la sua propagazione diventa settaria, sentimentalistica e non realmente oggettiva. La setta dei cristiani rifugge dalla realtà, poiché trova reale solo il mondo metafisico, teologico, che la Buona Novella annunzia con il Giudizio Universale e con la resurrezione della carne dei tutti i corpi defunti. Cristo al contrario predicherà quindi il disarcionamento dal mondo, il costituirsi come anime capaci di vivere per preparare una condizione di vita eterna, del Regno di Dio. Quindi il nesso universalizzante prodotto dalla teofania e dalla natura del Cristo fallisce; poiché allontana da sé quella dimensione realmente universale dell’ Altro che sarà invece nemica e si capovolgerà come potenza estranea alla potenza estranea del Cristo. Quella singolarità, naturalisticamente intesa, come figlia dell’universale dell’Assoluto soccomberà alla potenza estranea e tuttavia agita della comunità umana, per cui il Cristo sarà crocefisso. Se aveva predicato l’amore, il Cristo ricevette in cambio solo odio. Se aveva predicato la redenzione e la libertà assoluta di tutti gli uomini dalla morte, riceverà dagli uomini catene e morte. Se aveva predicato la Vita infinita, vedrà contro di sé scatenarsi gli strumenti per la tortura e della morte. La simbologia della Resurrezione, secondo il giovane Hegel, è l’emblema del fatto che in quel Sepolcro non c’è Nulla. Poiché è quel Nulla che il Cristo, in modo immediato, rappresentava. Ma il giovane Hegel non propone una risoluzione progressivo-dialettica della fuoriuscita dall’Autocoscienza naturale, ma propone fino al 1800 una semplice tecnica psico-dinamica ed antropologica, empirico-materialistica e carnale di un’alterazione in chiave psicodinamica, empirico-fenomenica, individuale. Senza vedere che quel rovesciamento è possibile solo perché ab intra (in ogni elemento individuale-particolare), vi è già una dimensione spirituale, ossia la determinazione formale. Il giovane Hegel non parla e non vede l’architettura dell’insieme, iscritta nella funzione dialettica con la Negazione-contraddizione, come motore del tutto, attraverso l’identità degli opposti. Ma coglie che se una unilateralità si pone in modo assolutamente estrinseco e fuori da ogni tipo di relazione con altre unilateralità o unitotalità (l’Universale), questa finisce con il curvare se stessa non attraverso un’appropriazione e padronanza di sé, ma in una dimenticanza di sé, con il collasso strutturale del proprio sé, capovolgendo attraverso il Destino psico-dinamico la sua stessa identità nel proprio opposto, venendo invaso dall’Universalità intesa come potenza estranea ed estrinseca, nemica ed invulnerabile. Qual’è il salto che porterà Hegel a concepire che quella dimensione modificatrice della soggettività determinata non è solo uno scacco psicologico, ma diventa un reale processo dialettico, divenendo una reale modificazione della reale processualità dello Spirito, in quanto determinazione-formale e determinazione-materiale? La forma è intrinseca alla materia poiché questa l’auto-manifestazione delle trasformazioni ed alterazioni delle stazioni della Forma, in quanto Idea di Universalità. Il giovane Hegel, non pensa ancora ad un processo Unitotale della dialettica come insieme di Universale e Particolare, attraverso la processualità ascensiva e discensiva rispettivamente dello Spirito e della Coscienza, poiché appunto ancora non mette nero su bianco la Logicità come “identità degli opposti”. Ancora non giunge a mortificare il Principio di Non-contraddizione di Aristotele, perché ancora crede che lo scacco e l’inversione di una Autocoscienza naturale (quando esso presuppone erroneamente di essere universale) è in realtà quello stesso automovimento dialettico, che presume insieme l’universale ed il particolare. Non comprende ancora Hegel, quello che gli sarà chiaro nella Fenomenologia dello Spirito in relazione alla morte di Dio nella sezione dedicata alla Religione Disvelata, proprio perché l’Autocoscienza persiste con sé nella sua incongrua ed astratta universalità e particolarità e non permette che si svolga il vero universale. Hegel, giovane, non capisce che l’autocoscienza naturale è astratta perché impedisce all’universale, autocoscienza assoluta, di svilupparsi. Ecco allora che l’Autocoscienza divina, proprio in quanto “Dio è morto”, nel senso di impossibilità di ricreare le condizione di una identità di universale e particolare nell’autocoscienza. Proprio perché quel Dio inteso come autocoscienza universale è morto, non può essere inteso come imperatore romano o Cristo, proprio perché è morto e non permette la possibilità di un’autocoscienza che sia insieme universale e particolare. La morte di Dio attraverso l’individualità che muove contro ogni tipo di principio teologico e metafisico-costrittivo, come principio autoritario ed eteronomo, in realtà designa l’impossibilità che il soggetto sia realmente unità di universale e particolare. Cioè paradossalmente con la morte di Dio, in quanto impossibilità di unione di universale e particolare, ma solo simbolica, vi è la morte della coscienza intesa come autocoscienza assoluta.
Giungendo al 1804 con l’abbozzo di sistema della fenomenologia dello Spirito, attraverso la Logica e metafisica di Jena, allorquando Hegel comprende che la struttura della realtà è questo principio unificante, è la dialettica. Il motore di questa dialettica è la Negazione o contraddizione. Per cui si esce da una dimensione auto coscienziale naturale (con la cattiva infinità delle indefinite alterazioni che portano all’estraneazione, Entfremdung) e questa concezione sarà superata dall’azione, insieme universale e particolare, della dialettica; assistendo al passaggio dalla fuoriuscita dell’esistenza naturale a quella spirituale. Essa è la dialettica mossa dal motore della negazione-contraddizione. Appunto ogni determinazione è una negazione, nel senso che ogni ente determinato è se stesso in quanto non è gli altri enti da cui si distingue. Non solo ogni ente è se stesso in quanto non è gli altri enti, ma anche ogni altro ente, che non è quell’ente, stabilisce che quello sia tale. Quindi non è solo dal punto di vista del soggetto che guarda a sé in riferimento all’altro, e quindi ogni cosa che è, è tale poiché non è l’altra. Ma ogni cosa che non è quel se stesso è tale da costituire l’altro. Quindi la negazione gioca su due sponde, se pensiamo all’Uno e all’ Altro. È quella negazione pensata diligentemente da T.W.Adorno nei Tre studi su Hegel, che non si limita a delineare solo una filosofia dei distinti, per cui vi è prima l’Identità e poi la Diversità, poiché si presume che una cosa per essere differente da un’altra cosa, questa si autopone immediatamente come tale e poi verifica la propria sussistenza a partire dall’altra cosa, che nel frattempo anch’essa si era posta precedentemente come Identica con sé. La negazione in Hegel è radicalizzata, in quanto esclusione del determinato da ogni relazione che lo lega all’altro. Ossia il determinato non si distingue dall’altro, ma esclude radicalmente l’altro. Questo è il processo della negazione, in quanto vera e propria opposizione e non semplice distinzione. Quindi Hegel tematizza e radicalizza come momento di volta il momento della distinzione semplice (tra elementi semplicemente distinti) in opposizione, l’esclusione e quindi la negazione del determinato. L’elemento determinato esclude da sé gli altri enti determinati, poiché il determinato non può pensare di essere uno tra tanti. Esso s’identifica con l’Uno e cioè con l’Assoluto. Tornando alla Natura, l’individuo non vive semplicemente nella modalità della coesistenza e della differenza indifferente. L’Hegel di Francoforte guarda a ciò che accade nella Vita: in essa non c’è solo indifferenza o semplice relazione di coesistenza tra individui, ma vivendo per la riproduzione della sua esistenza, in una condizione di permanente sospetto e opposizione verso l’altro.
[1] Come il Denaro: esso sublima l’allontanamento da parte delle comunità moderne, così come già intuisce Hegel nel Sistema dei bisogni, all’interno della sez. sulla Società civile, all’interno dell’ Eticità tra Famiglia e Stato, all’interno della Filosofia del Diritto hegeliana, quell’oggetto determinato quando per proprio volere (soggetto autocosciente: Cristo, Monarca, Re), assume l’incarico di Essere, presupponendolo con autosufficienza senza realmente realizzarlo, quello che dice di Essere: cioè l’unione dell’unione e della non-unione, di Pensare ed Essere, Universale e Particolare, Finito ed Infinito, quando questo accadrà (investito od attuato da se stesso), questo processo di autosedimentazione di sé (naturalisticamente inteso) come appunto unione dell’universale e del particolare, ebbene quando questo accadrà, quello stesso oggetto o soggetto (fintamente universale e particolare insieme).