Massimiliano Polselli
A partire dalla Fenomenologia dello Spirito giunge a riproporsi nell’unità di universale e particolare, ma in una condizione in cui quell’essere che egli stesso rappresenta in quanto pensare ed essere assoluti, ritorna come eco di una rimozione che riproietta nell’esigenza di riattivare il dialogo con l’altro da sé, ma non più nella forma fenomenico-pratica, ma in quella noetica della Logica (Essere-Essenza-Concetto). Ma ciò non può non avvenire in una duplice guisa: da un lato Rimozione-Spostamento e Proiezione dell’Essere che non-è e da cui deriva, dall’altro lato in una condizione nella quale il concetto stesso è obbligato ad essere assolutamente libero e quindi, secondo la sua natura, a negare assolutamente anche ciò da cui derivava. Ecco spiegata l’azione e la genesi della negazione assoluta logico-apofantica e autoriflessiva della Scienza della Logica. V’è una concezione “critica” all’interno dello stesso Sapere Assoluto e ciò è possibile, non solo all’interno del campo esistenziale, ma anche nel regno teoretico-speculativo. Tale criticità è possibile poiché il sapere assoluto si veste degli stessi panni dell’intelletto, in quanto non secondo momento, ma primo momento: cioè unitotalità. E la criticità al sapere assoluto è legittimata tanto quanto la criticità alla pratica della trasformazione del reale. Quindi, tanto i giovani della sinistra hegeliana quanto Marx potevano criticare il sapere assoluto, poiché esso è fondativamente costituito da un’autocritica alla quale lo stesso Hegel apre le porte, nella misura in cui è ri-pensabile tutto il pensiero che pensa se stesso attraverso la Scienza della Logica. Nell’ultimo capitolo della Fen. dello Sp.(Sapere Assoluto, capVIII, capoverso 20): “il sapere assoluto non conosce solo Sé, ma anche il negativo di se stesso o il suo limite”, ossia per essere Assoluto il Sapere deve poter pensare anche il suo limite. E poco più avanti: “quest’ultimo farsi dello spirito, cioè l’alienazione, è la Natura, è il suo vitale immediato farsi”. La condizione dunque è che per essere assoluto, lo spirito deve pensare anche il suo limite e che esso, come limite consustanziale, è partecipe della stessa consistenza ontologica, senza la quale verrebbe meno anche la dimensione stessa simbolica e iniziale della scissione, che poi permetterà la contraddizione di produrre la negazione della negazione, induce a pensare che quel limite è tale ma in quanto vitale ed intrinseco che gli dà in origine l’intelletto. Quasi che non sia un momento ab intra del concetto. Quasi che quell’automovimento iniziale dell’intelletto sia appunto autonomo dall’automovimento generale e totale del concetto. E quindi deve ripensare il concetto attraverso una logica soggettiva e confutare che l’intelletto possa avere agito, anche solo per un istante, effettivamente in modo autonomo dal concetto. Questo sospetto accende il dubbio radicale del Nulla come Nulla Assoluto, ma non tanto nella scissione della contrapposizione (cioè a dire nella alienazione e nella negazione della relazione), ma nell’esito unitotalitario del concetto come totalità con sé, che ricorda al concetto medesimo una funzione simile ma non propria dell’intelletto. E quanto Intelletto c’è ancora nell’esito concettuale del sapere assoluto nella fenomenologia dello spirito? Quanto di questa funzione rimane originariamente al concetto e non invece sia in parte suggerita dall’intelletto stesso, che grazie all’unità del concetto pretende ancora di esistere e di “sopravvivere”? Abbiamo la reificazione del linguaggio nella coscienza assoluta, poiché quel valore a filtraggio dinamico-processuale e circolare esperito sul terrenno fenomenologico-esperienzale, si trasfigura nella valenza dissolutivio-sistematica della negazione in sé e per sé, come autoriflessione della negazione della contraddizione, con una regressiva ed illegittima ontologizzazione con conseguente reificazione e quindi rimozione-spostamento-proiezione (mediante l’entoisserung e entfrembung) dello stesso linguaggio nella propria autoriflessività, di modo che produce essa la negazione assoluta. Essa è intesa come attività reale: negante e negantesi incondizionatamente e che si presenta nell’espressione linguistica del non-essere. Cessando così di avere un normale significato relativo a contesti logico-predicativi semantici, determinati e specifici (come nella dinamica dell’esperienza della vita), ma che appunto assume il senso ontologico (ecco la reificazione!) di un Assoluto Nulla: concepito come pura attività o Essere che nega assolutamente e che non può non negare, essendo incondizionato. Ma non può non negare anche il proprio negare, poiché non tollera alcuna fissità di struttura che gli possa resistere e, quindi, non può non togliere anche quella costituita dalla funzone della propria attività negatrice. Questo comporta la rimozione dell’altro da sé nel sapere assoluto e non un superamento reale dell’altro da sé nell’autocoscienza assoluta, questo in difesa del fatto che Hegel non intende il sapere assoluto e, quindi, l’autocoscienza assoluta come momento solamente metafisico-teologico-sostanzialistico. In realtà quella stessa autocoscienza assoluta rimette in gioco l’alterità attraverso un’autofraintendimento di se stessa nella produzione, mai veramente superata, ma sempre rimossa dell’altro da sé, che rappresenta nella Logica la reificazione della stessa attività del negare, in quanto negazione incondizionata che rimane l’essere che non è, in quanto assoluto nulla. V’è l’assolutizzazione del passaggio logico-predicativo del nulla come nulla che è, ma questo nulla che è nella dimensione di nuovo di un assoluto che deve togliere da sé l’alterità, non può rimanere come ciò che è, ma deve ritornare ad essere come ciò che non è e, quindi, negare come oggetto il Nulla indeterminato. Ne esce un quadro in cui l’autoriflessività assoluta dell’autocoscienza assoluta non è, appunto, una sostanzializzazione dello spirito e del pensare semplicemente come autoriflessività, ma è di nuovo la riproposizione interna ad una dimensione definitivamente assoluta di una condizione ancora intellettualistica, ancora permanentemente presente, anche se come mera traccia occultata dal concetto stesso dell’intelletto. Ossia ci si riferisce ai primi due momenti della logicità dello spirito. Quest’ultimi si ripropongono come alterità mai veramente superate, anche nell’insieme e nella dimensione della coscienza assoluta e che solo attraverso una nuova disamina speculativa e astratta si possono appunto snidare come altro da sé e porre come un sé da sé. Ecco spiegata l’autoriflessività ferma e quietativa e allo stesso tempo dinamica e spirituale del pensiero che pensa se stesso. E questo dubbio non può certo essere sciolto dal Concetto tramite un percorso pratico-fenomenologico-esperienziale, ma solo un tragitto assolutamente astratto, verticale e logico-categoriale può sciogliere l’affaire llluministico. Poiché il Concetto deve usare le stesse armi astraenti e potentissime della negazione assoluta per stanare l’intelletto e, infatti, deve superare questa condizione mediante un nuovo processo. Per fare questo deve rimettersi in discussione e la criticità sta nel fatto che l’autocoscienza assoluta si rimette in condizione di nuovo reificare la negazione assoluta, cioè di nuovo cosificare il Nulla: così come la coscienza naturale aveva posto in essere il dispositivo rimozione-spostamento-proiezione con l’annesso processo di alienazione-estraneazione-reificazione. Così ora lo fa il Pensiero che pensa se stesso. Lo fa non più ad un livello ricco e fenomenologico, ma in una modalità autocratica e monolitica del pensiero che pensa se stesso, poiché deve giungere a pensare di mettere in dubbio quell’Unità che ha raggiunto nel campo fenomenologico. Così il problema del cominciamento è inquadrabile, d’ora in poi, sotto un’altra condizione: l’indebita, incongrua, illegittima e regresiva ontologizazione del Nulla Assoluto non deriva da un’aporeticità del sistema hegeliano nel suo insieme o dalla falsa “partenza” o inserimento forzato che verrà dopo, come la categoria dell’Etwas, ma dare l’esistenza al Nulla significa consentire che l’Autocoscienza Assoluta inizi di nuovo a “negare”. A questo punto non è tautologicamente la negazione assoluta concepita come pura attività in quanto Essere, ma l’Essere è costituito dall’illimitato negare che non può non negare anche il proprio negare. E quindi allo stesso tempo non può non togliere anche quella costituita azione della funzione della propria attività negatrice, divenendo negazione che È. Ma la vera progressione del nulla assoluto che viene ad essere, è data dalla dimensione per la quale la coscienza assoluta, pensando al pensiero che pensa se stesso, non può non ripartire dall’Essere, che è chiaramente in trasparenza costituito dal Nulla. La sovradeterminazione che l’autocoscienza compie è direttamente sul Nulla perché è lo stesso motore dell’Autocoscienza Assoluta che diventa Essere. Questa reificazione del Nulla, ossia del Negativo, è anche padre dell’Essere e del Divenire, in una dimensione altra dell’autocoscienza assoluta, poiché appunto lo aliena in una dimensione di logica oggettiva che vede come estrinseca e fuori da sé. Ma non viene il Nulla dalla categoria dell’essere e neppure l’essere del nulla viene dalla categoria dell’esere e del divenire, in quanto l’Essere, il Divenire e il Nulla vengono dal pensare, dall’essere e divenire in quanto libertà assoluta dello spirito assoluto, in quanto manifestazione estrinseca in una dimensione nella quale esso si pone in una condizione dubitativa aperta al sistema (anche nell’assoluto!), per cui riproduce indebitamente e regressivamente l’Essere, il Nulla e il Divenire, dalle cui categorie aveva preso le mosse la coscienza naturale tramite però un percorso di carico-scarico tensionale. Solo che non si ha più dinanzi una orizzontalità esterna o interna, ma si ha un interno-esterno all’interno di un interno e, quindi, si ha una verticalità di relazioni. A maggior ragione si ha un processo psico-dinamico che però non è più pratico, ma noetico ed essenzialistico che non centra l’aporia del sistema hegeliano, per cui il nulla viene a prendere l’Etwas prima che questo sorga. L’Etwas sorge debitamente, poiché congruamente il Nulla è reificato dall’Autocoscienza Assoluta e non perché vi sia un’aporia nel sistema hegeliano. Si vedrà che l’Etwas reificato, che è il Nulla che È, scompare quando di nuovo il Nulla si presenta sotto le vesti dell’Essere. Questo significa che l’Etwas reale ed autonomo anche dalla stessa reificazione della dimensione del Sapere Assoluto, che volontariamente mette in campo una negazione di se stesso in quanto accende il dubbio per i motivi di cui sopra (e come dice Hegel senza il limite l’essere assoluto non può darsi: così esso si dà questo ultimativo limite dell’oggettività noetica reale, perché ancora una volta deve superare l’Intelletto). In una dimensione tuttavia assoluta perché se lo ritrova condensato dentro di sé (in quanto concettualizzato) ma mai veramente superato, bensì solamente rimosso: da qui ricrea “stabilmente” il Nulla Assoluto che È. A questo punto non si può essere d’accordo con Ilchmann nel suo Kritik der Übergang zu den ersten Kategorien in Hegel’s Wissenschaft der Logik; neppure si può essere in accordo sulla negazione in Hegel come assolutizzazione del “non” presente nel giudizio negativo ed astratto da ogni contesto determinato di D.Henrich in Formen der Negation in Hegel’s Logik. Non si può essere concordi con Horstmann nei Seminari Dialettica nella filosofia di Hegel (1978), poiché in questi volumi si tende ad indicare un “nulla assoluto”, al quale Hegel, per poter assegnare differenze ed autonomia al Nulla difronte all’Essere, onde concepire il nascere ed il perire del divenire come passaggio rispettivamente dal Nulla all’Essere e dall’Essere al Nulla, è costretto ad utilizzare e a citare la categoria del “Qualcosa”, la quale in quell’ambito iniziale dell’argomentare logico di Hegel non può essere ancora introdotta e difatti verrà ad essere concettualizzata solo nel capitolo secondo dedicato al Dasein. Ma se non si riesce a dare fondazione al puro nulla, non solo non si avvia ovviamente l’intero movimento delle categorie logiche, ma soprattutto non si costituisce l’ambito di concepibilità di una negazione che prima che esclusione dell’altro sia negazione volta verso se stessa, quale ha da essere appunto la negazione della negazione: quale alterazione costante ed autoriflessa di ogni costante identità (su questo peccato originale della logica hegeliana si veda Ilchmann, Henrich e Horstmann). Poiché tutto parte dal movimento autoriflessivo del negare che trova a sua volta la propria fondazione nella Scienza della Logica, nella tematizzazione del Nulla svolta nel capitolo primo della prima sezione della Dottrina dell’Essere, che si possa concepire il nulla assoluto quale negare assolutamente negativo che non essendo relativo ad altro è negazione pura e non negazione dell’altro da sé, ciò è condizione indispensabile per concepire la negazione della negazione come negare assolutamente riflesso in sé. Ma proprio la fondazione del nulla nella prima triade categoriale di essere-nulla-divenire, trova insuperabili difficoltà nell’esposizione hegeliana. Ora questa funzione della negazione, afferma Hegel, non è opera di una riflessione esteriore: in quanto è movimento dello spirito ab intra e non si può quindi intromettere estrinsecamente la stessa categoria dell’Etwas, questa è la risposta di Hegel alla critica di cui sopra. La negazione è un movimento che parte dalla dimensione più oggettiva della vita, che è l’unione del soggettivo con l’oggettivo. L’unione del personale e dell’impersonale, ossia dell’autocoscienza assoluta della Fenomenologia dello Spirito, è da lì che proviene la negazione reificata come negazione che È. Quindi serviva come autocritica di se stesso in positivo (cioè dal punto di vista speculativo-positivamente razionale, ma solo ancora come momento assoluto e preparatore alla Scienza della Logica). La Fenomenologia dello Spirito è così una sorta di propedeutica alla Scienza, in quanto Sistema della scienza esoposto. Se è vera l’interpretazione dell’Annotazione del 1831, emerge che il ruolo della Fenomenologia dello Spirito è declassato a momento preparatorio dell’intero Sistema della Scienza, poiché la seconda edizione della Fenomenologia dello Spirito che Hegel avrebbe dovuto scrivere nel 1832 sarebbe stato un “lavoro autonomo dal tutto”. E come si evince dall’Annotazione del 1831, alla prima prefazione del 1812 della Dottrina dell’Essere, Hegel non avrebbe titolato Prima parte del Sistema della Scienza, titolandola invece con l’espressione: Fenomenologia dello Spirito, seconda edizione. Questo a testimoniare che la Fenomenologia era un primo momento di un sistema rispetto a quello di Norimberga ed Heidelberg, ma in quanto propedeutico e preparatorio. La Fenomenologia dello Spirito viene assorbita poi nell’ Eciclopedia delle scienze filosofiche, ossia nei lavori preparatori delle tre posizioni del pensiero rispetto all’oggettività. La Fenomenologia assume sempre più un valore “preliminare”, tale da introdurre la Piccola Logica prima ancora dell’inizio della Logica e della Filosofia Reale (Natura e Spirito). Ora se così stanno le cose, l’Assoluto raggiunto nella Fenomenologia dello Spirito assume un valore, nella sua parte conclusiva, di Sapere Assoluto, un senso di non perfetta trasparenza con sé. Ossia di una verità non ancora esaustivamente esposta come Scienza del Vero. E quindi il Sapere Assoluto, nella Fenomenologia dello Spirito, è una sorta di Assoluto preliminare. Ecco che allora si deve ricominciare da un’oggettività che la Scienza del Vero, in quanto Sapere Assoluto nella Fenomenologia dello Spirito, non può non riproporre dinanzi a sé come altro da sé, in una incongrua applicazione di questa preliminarietà dubitante ed ipotetica dell’ Assoluto, nel di nuovo riattivare quel percorso processuale di tipo psico-pratico-dinamico che sta nella rimozione-spostamento-proiezione di se stesso come unità di universale, particolare (trattandosi dell’Autocoscienza Assoluta nel Sapere Assoluto fenomenologico) e, quindi, della conseguente reificazione della Negazione assoluta del puro nulla: l’esito della categoria del Qualcosa assunto dal Nulla come qualcosa di ontico. Ma non accade questo perché il Nulla, nella Scienza della Logica, non è relato ad alcunchè di determinato (e dunque il puro nulla come negazione assoluta, inininterrotta ed ineusasta attività del negare che nega se stesso, come negazione assoluta ed autorepulsiva non può che non affondare se stessa come negazione negante e, quindi, porsi come qualcosa che non è pur essendo), per cui questa onotologizzazione regressiva ed illegittima semplicemente del Nulla partecipato, come valore semantico-apofantico-logico-predicativo con valore ontologico e reale, non perché non sia relato ad alcunchè il nulla e neppure perché vi sia la polemica sull’aporeticità di un Etwas anticipato rispetto ad un Dasein, nel passagio Essere-Nulla-Divenire, ma perché la Coscienza ha reificato, dopo aver avuto un problema di un Assoluto come preliminare, ed essendo essa stessa Autocoscienza Assoluta nella preliminarietà della Fenomenologia dello Spirito, rimette in discussione e riparte, come una sorta di coscienza naturale, ma appunto assoluta nell’asimmetria di una soggettività e di una oggettività. È chiaro altresì che sul piano del Pensiero Puro categoriale, in quanto puro pensiero logico-ontologico-sistematico, anche il Nulla è sistematizzato come assoluto valore dissolutivo (irrelato ad alcunché), in quanto si è nell’ambito dell’Idea Assoluta. La circolarità dell’Autocoscienza, nella Fenomenologia dello Spirito rispetto alla Scienza della Logica, termina poiché la Negazione che nella Fenomenologia dello Spirito è riferita a figure determinate sia in termini soggettivi che oggettivi, ora esplica una funzione dinamica ma con una valenza autoriflessiva: poiché la Negazione non ha altri punti di riferimento se non la sua stessa autoriflessività. E quindi il processo (ecco la torsione di Hegel da circolare orizzontale a circolare verticale) di un soggetto che non pensa più l’altro come riferimento determinato a sé, ma pensa l’altro come riferimento determinante a se stesso, in quanto pensa il pensiero pensante e non più il pensiero pensato; come se il pensiero non debba più solamente pensare ad una logica cui si riferisca immediatamente un contenuto. Hegel critica tale atteggiamento del pensiero, poiché è da qui che si svilupperanno le aporie di una logica formale o trascendentale. Anche se quest’ultima inaugura poi la possibilità altra del pensiero come pensiero pensante e che pensando se stesso, non pensa solo un pensiero determinato. Il pensiero pensante è assoluto, in quanto idealismo esso è produttore dell’attività stessa del pensare. Da qui l’esito metafisico del soggetto che è descritto come produttore del tutto. Accade ora che il pensiero pensante possa figurarsi come avvitamento di un pensare inconcludente: l’autocoscienza è legittimata a cogliere l’essenza del pensiero come produzione autofondativa e autoconclusiva di se stessa e del mondo, poiché il pensiero pensantesi riporta la dimensione di una scienza della logica-ontologica e quindi metafisica. La condizione da cui nasce un esito autoriflessivo è quella di un avvitamento del pensiero su se stesso in una dimensione verticalista, con la regressiva ed indebita ontologizzazione della categoria del puro nulla e, quindi, con la reificazione del linguaggio. La logica come autofondantesi tende a cogliere la verità dell’essenzialità pensante come essenza della verità. Cogliere l’essenza del pensiero, significa cogliere la modalità di una Scienza della Logica che connetta il pensare e l’essere il cui intento è quello di pensare la Totalità, poiché non v’è Logica senza categorie logiche che surrettiziamente siano subordinate dalla Sostanza e cioè dall’Essere. Da qui la Logica, in quanto metafisica e scienza della logica, intesa come sistematizzazione del Vero e cioè mediante l’unità di pensare ed essere, che solo un’autocoscienza che pensa come pensiero pensante riesce ad avviare. Ma questo porta ad una riflessività che in modo illegittimo e regressivo entificherebbe il linguaggio. E quindi la categoria del puro Nulla diventa un Nulla che è. Il punto più alto di questa torsione hegeliana, nella Logica dell’Essere, è l’operazone di reificazione alla negazione assoluta che è rispetto alla Fenomenologia, in quanto tragitto pratico-esperienziale a filtraggio dinamico e riferito a figure determinate, è qui invece irrelata da alcunchè di determinato concepita quale attività che nega incondizionatamente: poiché è la negazione pura come negazione assolutamente intenta a negare e, negando indissolubilmente, nega anche la sua stessa condizione di non essere finendosi col porsi. Negando incondizionatamente, non solo nega ogni cosa o termine che voglia limitarla, ma anche soprattutto autoriflessivamente se stessa. Quindi l’espressione linguistica “non-essere”, cessando di avere un normale significato relativo a contesti logico-predicativi e semantico-specifici, assume il senso e lo spessore ontologico di un’Assoluto Nulla concepito come pura attività il cui Essere è costituito dal suo illimitato negare, che non può non negare per la sua illimitata incondizionatezza anche il proprio negare. Qui, invece, l’Essere della negazione assoluta viene prodotto dalla stessa coazione a ripetersi ed autoriferirsi come pensiero pensante, che reifica in modo indebito la struttura stessa del puro Nulla, che diventa “qualcosa”. Tuttavia Hegel, nella seconda Prefazione del 1831 della seconda edizione della Dottrina dell’essere,pensa ad Aristotele: nel senso che, quando Aristotele stila i 12 giudizi logici, sostiene che tali categorie logiche non possono non essere subordinate ed intramate dalla stessa prima universale categoria, cioè la Sostanza ovvero Essere. Cosicchè quando il pensiero pensa, esso pensa già l’Essere. Quindi non è che Hegel reifichi, egli stesso, qualcosa al di fuori di un discorso razionale, ma egli entifica nella dialettica e sviluppa (passando per il movimento della la Relazione-Negazione-Opposizione e Contraddizione non più riferito, tale movimento, a contenuti determinati, ma riferito a se stesso come autoriflessività) l’indebita ossificazione del puro nulla. In realtà tale ontologizzazione è nelle cose del Sistema della Scienza. Poiché la premessa è quella di un Pensiero non che pensi gli oggetti, ma che pensi se stesso come oggetto e come pensiero che È: questo suo Essere è l’Essere nella sua totalità e non nel senso di determinazioni finite e molteplici, come sul piano Fenomenologico. Questa dimensione Hegel la giustifica nella Prefazione alla seconda edizione del 1831 alla Dottrina dell’Essere, quindi non c’è un’improvvida anticipazione della categoria dell’Etwas come anticipazione del Dasein del capitolo secondo. Hegel non può introdurre una categoria che non sia prima già stata sviluppata, poiché porterebbe al collasso il sitema dialettico. È impossibile che l’andamento dello Spirito preveda un’intromissione di una categoria non ancora autosviluppatasi. Ora Cieswosky, nella sua trattazione titolata Storiosofia della Filosofia, afferma che la categoria del futuro non esiste presso Hegel, in quanto determinazione all’azione, alla trasformazione e all’atto. Mentre solo la filosofia post-hegeliana sarà quella dell’azione, portando a quattro le distinzioni nell’ambito della storia della storiografia filosofica, quindi, la filosofia della storia di Hegel e le epoche storiche, identificando nella Volontà la categoria dell’Atto o dell’azione. Questo per dare più “carne” al Soggetto e all’Autocoscienza hegeliana, per renderla meno astratta. Avrebbe ragione Hegel a immettere il futuro nella dialettica, ma così non è. Cieskosky e i giovani hegeliani in genere, non avrebbero posto tale problema se avessero interpretato il passaggio della Scienza della Logica di Hegel come una sorta di ritorno dal futuro: ritorna dal futuro la categoria dell’etwas che Hegel anticiperebbe. Lo stesso Trendeleburg, nelle Ricerche Logiche (1840, opera dedicata alla Scienza della Logica di Hegel), sosterrebbe che Hegel anticipi lo stesso Divenire o passare, mutuandolo dall’esperienza empirica della coscienza. Ma se così fosse la stessa critica a valenza metafisica-astratta delle categorie, si capovolgerebbe in “qualcosa di empirico invece c’è” nella Logica hegeliana. Non si può parlare di indebita reificazione da un lato, poiché essa è già contenuta nel manifesto stesso della Logica hegeliana. Se, invece, si parla di ontologia hegeliana, è da riferire al fatto che la tradizione aristotelica giustifica la consistenza ontologica delle categorie logiche. Ma se non si volesse tenere conto di ciò che precede estrinsecamente il Sistema hegeliano, l’Etwas non sarebbe comunque anticipato, ma sarebbe solo l’esito scettico dell’autocoscienza assoluta, che alla fine del sapere assoluto rimette in discussione se stesso come unità d’identità di universale e particolare. Ricominciando come una sorta di coscienza naturale a reinvestire, attraverso un campo tensionale di carico-scarico, la dimensione di una relazione psico-dinamica sotto la condizione assoluta (verticistica e verticale) tra sé e l’altro di sé, poiché ricomincia a riproporre quello schema tra rimozione-spostamento-proiezione che è di tipo psico-dinamica, ma ad un livello astratto-apofantico-predicativo e, quindi, verticale-circolare. Questo puro nulla, concepito come pura attività, mantiene come Essere non l’essere, poiché non si dirige al divenire qualcosa, ma solo a divenire.Non si può, infatti, affermare che il Nulla diventa Essere, ovvero che il Nulla venga ad essere ontologizzato. Semmai il Nulla viene ad essere attivato o attività pura, il cui essere è l’illimitato negare. Se il centro del pensiero pensante è il centro del pensare l’essere, non più nella dimensione statico-contemplativa-analitica (Aristotele, per il quale pensando le categorie si arriva a pensare ciò da cui le categorie provengono, ossia l’Essere), ma si pensa in primo luogo la dimensione dinamico-prassistica del pensare nella legittima condizione di interpretare il pensiero come Atto o Azione e non come Essere conoscitivo, ma in un senso trasformativo del pensiero che pensa se stesso, ossia attuativa. Ebbene il pensiero assume il senso di una circolarità in atto (logico-pratica o realtà in atto), l’Essere del puro Nulla è il fatto che esso sia pura attività e non già il fatto che esso sia Essere. Ma questa pura attività che è costituita dall’illimitato negare e che nega necessariamente ed assolutamente, deriva dalla “Logica stessa della Negazione” ad essa intrinseca e non attribuita all’essere. Nel senso che la negazione è non perché è, ma perché nega e quindi è. Ossia aldillà delle limitazioni nei giudizi negativi (differenza, contrarietà, negazione reale, ripugnanza reale positiva o contraddizione), si ha che il negativo nega assolutamente aldilà del valore del giudizio, ad esempio la mela non è rossa. Ossia, anche in una dimensione di un giudizio singolare dell’esperienza (la mela non è rossa) con un riferimento logico-predicativo-semantico ad un contenuto o contesto fenomenologico, “la mela non è rossa”, la condizione di un’apertura totale, tramite un elemento di giudizio empirico-singolare, a tutta la potenza illimitata infinita del negare. Nell’esempio “la mela non è rossa” v’è l’incondizionato Universale ed infinito atto del negare. Affermando che la mela non è rossa, si afferma che quel “non” è sempre attivante di tutta l’immane potenza del negativo. Da qui la negazione assoluta è sempre presente e non essendo, così, un’indebita ontologizzazione. Perché è presente in ogni singolo giudizio negativo. La negazione, anche se determinata, apre le porte all’infinito atto della negazione. Ecco l’infinito nel finito: la negazione che è finita, in quanto infinita. Da qui l’Unità degli opposti. Quando questo accade a livello noetico e non sul piano fenomenologico-apofantico, si ha la stessa condizione. Ma mentre a livello processuale dinamico psico-fenomenico si ha un contenuto determinato da cui partire, nel contenuto astratto l’Essere è dato dalle stesse categorie e, queste, aprono con la negazione all’infinito e all’unita di Pensare ed Essere. L’Essere o essenza del pensiero e, quindi dello Spirito, è il NEGATIVO. Nella Logica, la negazione non è negazione pura per il fatto che non è relata ad altro (vs Finelli-Parricidio mancato-Hegel introduzione), poiché se la negazione pura dipendesse dal fatto che essa è tale poiché non è riferita ad altro, si direbbe che tutto lo spirito e tutta la dialettica in quanto automovimento della negazine della negazione è pura, poiché senza Essere (facendo scomparire di colpo la Logica dell’Essere che non sarebbe a questo punto) si direbbe che non dipenda da alcunché di determinato. E se così fosse, non si avrebbe neppure la critica di Trendelemburg all’Etwas e al Dasein anticipato e presupposto da Hegel, poiché ancora la negazione pura nega a partire da se stessa e non a partire dall’altro e la negazione della negazione è la stessa negazione pura. Inoltre, avremmo che la monotriade categoriale Essere-Divenire-Nulla non può fondare il Nulla, poiché il Nulla è già negazione della negazione autofondantesi e non già fondato per difetto: ossia il Nulla che è non è fondato dal fatto che esso non ha alcunché di determinato per riferirsi e quindi è astratto nulla, oppure perché il puro nulla sia fondato dalla negazione della negazione, o perché il puro nulla è fondamento dell anegazione della negazione. In realtà negazione dell’anegazione, negativo del negativo, puro nulla o assoluto nulla sono autofondantesi, in quanto sono l’essenza o l’essere dello Spirituale.