Alienazione e sfruttamento nel primo Marx

Amelia Forte

Marx lavora contemporaneamente sui tre libri del Capitale, scrivendoli tutti insieme poiché essi fanno parte di un unico piano; insiste anche testardamente fino alla fine che non vuole pubblicare nulla fin quando non ha realizzato tutto il suo progetto (come scrive anche ad Engels in una lettera del 1865). Il Capitale è un’opera il cui disegno cambia continuamente in questi anni; il Capitale che noi possediamo non è il Capitale che Marx aveva pensato inizialmente, e bisogna perciò cercare di capire cosa Marx avesse in testa e volesse fare.

Marx scrive che ha in mente un’opera in sei libri; nella lettera a Lassalle del 22 Febbraio del 1858 scrive che i sei libri sarebbero stati rispettivamente “Del Capitale, Della proprietà fondiaria, Del salario, Dello Stato, Del commercio internazionale, Del mercato mondiale”. Questo programma è molto importante da tener presente, poiché nel progetto iniziale ci sarebbero stati anche libri sullo stato, sulla politica ed il 6° libro sarebbe stato una descrizione e una spiegazione del mercato mondiale, l’economia unificata del mondo moderno. -Questo piano non si realizzò e l’opera si ridusse a soli tre libri:

  • Il 1° è dedicato al processo di produzione del capitale
  • Il 2° è dedicato al processo di circolazione del capitale
  • Il 3° è dedicato al processo complessivo della produzione capitalistica (dove spicca soprattutto la sezione dedicata alla legge della caduta tendenziale del saggio di profitto)

Nei primi 8 capitoli del 1° libro si trova “l’alfabeto della scienza economica” di Marx; Marx inizia con la definizione della merce, e per Marx è così importante iniziare la scienza dall’analisi della merce e non dal lavoro, dal valore o dallo scambio, perché la merce è la cellula economica fondamentale, essa ha dentro di sé tutto lo sviluppo del capitale. La merce è sintesi, unità e opposizione di due termini, che Marx chiama valore d’uso e valore di scambio:

Il valore d’uso è la capacità che un bene ha di soddisfare un bisogno dell’uomo, a prescindere dalla forma sociale in cui ciò avviene e si verifica; l’uomo ha comunque bisogni elementari, e la vita per Marx non è mai un dato ma l’uomo è anzitutto impegnato nella produzione della vita e deve rispondere a dei bisogni elementari (mangiare, abitare, vestirsi ecc…) Il valore d’uso appartiene ad ogni forma sociale e ad ogni stato della vita umana. Ma la merce non è solo contenuto, è anche forma, essa è la forma che il valore d’uso assume nella società capitalistica. – Qui si entra nel vivo del capitalismo: il valore di scambio è il valore di un bene in relazione ad altri beni, e presuppone la divisione del lavoro, il mercato, una relazione fra il compratore e il venditore etc.Marx poi passa allo studio della circolazione delle merci, quello che propriamente si chiama il mercato, e qui si trova la prima definizione del capitale attraverso il plusvalore, che costituisce il problema più autentico dell’opera, quello della valorizzazione (come un bene si valorizzi attraverso lo scambio) La tesi di Marx si può riassumere in due punti principali: La valorizzazione appare nella sfera della circolazione, ma non trova una spiegazione in essa, ma la sua spiegazione sta alle spalle della circolazione e ci rinvia alla sfera della produzione. La fonte della valorizzazione non è il lavoro come tale, ma il lavoro salariato e determinato socialmente nella società capitalistica come una merce, e che può sorgere solo nella società borghese nel presupposto della modernità della separazione del lavoro dai mezzi della produzione e dell’eguaglianza delle condizioni. –> Il problema diventa la determinazione analitica del capitale, cioè la distinzione fra capitale costante e capitale variabile e la definizione del saggio di plusvalore, dove appare un’altra parola fondamentale dell’opera, lo sfruttamento. Per capire il Capitale la cosa fondamentale è che quest’opera non va isolata dal pensiero di Marx, e non va letta come la leggono spesso gli economisti; Antonio Labriola, primo grande teorico del Marxismo in Italia, scrive che in quest’opera per la prima volta la mente di Marx “fa uno”, ossia che essa non è solo un’opera di economia ma è anche una grande opera di filosofia, sul pensiero politico. Il Capitale è una grande opera sulla storia, è una filosofia che si esprime col vocabolario dell’economia politica: i più grandi filosofi ora non usano più il linguaggio della metafisica classica, ma usano il linguaggio dell’economia (Marx), quello della teologia (Nietzsche) o quello della scienza (positivismo).

Per comprendere il senso del Capitale si deve fare qualche osservazione sul pensiero di Marx, che si può trovare nella maniera più nitida nel Manifesto del Partito Comunista, che Marx ed Engels scrivono nel Dicembre del ’47 su commissione della Lega dei Comunisti e che viene diffuso a partire dal Gennaio del ’48. — Qui c’è il 1° punto fermo del pensiero di Marx, che è il principio di tutto il pensiero di Marx: la storia di ogni società finora esistita è storia di lotte di classe.

Marx così afferma una cosa inaudita, mai detta, ossia che la storia non è puramente lineare o progressiva, ma è attraversata dal conflitto: la storia umana è una storia “spezzata” fin dal suo inizio.

A prima vista sembra chiaro che Marx dica una cosa univoca, ma in realtà la sua affermazione è attraversata da notevoli dubbi, poiché Marx non offre una visione della storia umana, ma ne offre due:

La 1° è quella di una lotta tra oppressori e oppressi, perciò la storia è unificata sotto un unico carattere, ossia l’oppressione, che è il segno caratteristico di tutta la storia umana.Nella Prefazione del ’59 Marx dirà che con il comunismo si chiude la Preistoria della società umana e comincia la Storia.

Ma cosa significa oppressione?

Nel linguaggio del Capitale, oppressione significa sfruttamento: tutta la storia umana avviene nel segno dello sfruttamento, ma qual è il significato più elementare dello sfruttamento? Esso è la divisione tra la produzione e il consumo, tra la prassi e la teoria: fin dall’inizio della storia, l’umanità si separa in due tronconi, ossia quelli che producono e quelli che consumano. Quelli che consumano sono liberi dalla condizione del lavoro, ed il puro consumo è concepito come la vera libertà.

Ma la questione è complessa per almeno due ragioni:

  • Il concetto di sfruttamento e oppressione presuppone una visione, ossia la concezione del lavoro come negatività, cioè l’idea che fin dalle origini l’uomo si fa che il lavoro sia pena e non sia la propria oggettivazione, o prassi razionale, ma sia qualcosa di servile: libero è chi non lavora (motivo per cui il signore delega al servo l’operazione del lavoro, questo è il suo ideale). È su questo segno di valore del lavoro che si giocherà tanta della considerazione giovanile di Marx della prassi lavorativa.
  • L’oppressione è un male, o ha in sé un elemento di positività? Attraverso l’oppressione e lo sfruttamento l’uomo conosce la libertà, esce dalla condizione animale e fonda la civiltà: lo sfruttamento è anche condizione della civiltà. Marx è completamente consapevole della positività contenuta nel fatto dello sfruttamento: il comunismo supera ma è figlio ed erede di questa storia e lo è più dell’oppressore che non dell’oppresso.

  • Marx ed Engels non si limitano a dire che la storia è antagonismo tra oppressori ed oppressi, ma specificano la lotta di classe in forme e sistemi diversi: la storia è strutturata in sistemi, e ciascuno di essi è dominata da una classe dominante che ha una propria visione del mondo ed è portatrice di una civiltà. La rivoluzione non è solo dalla preistoria alla storia, ma è anche quella che avviene da sistema a sistema: la rivoluzione è passaggio da un sistema all’altro.

Marx fonda il rapporto tra sistema e rivoluzione, e questo è il punto più complesso dell’eredità di Marx, in cui si stringe tutto il suo pensiero: la storia è strutturata in sistemi, cioè forme economico-sociali, e ciascuno dei sistemi è concepito dialetticamente ed è cioè attraversato dalla negazione. –> Ogni sistema è destinato ad andare incontro alla sua morte, cioè alla rivoluzione e al passaggio ad un altro sistema.

Tutto il pensiero di Marx è costituito intorno a questo nesso tra sistema e rivoluzione, nesso che nella storia del Marxismo è stato anche sciolto, pensando i termini come solubili:

  • Si è pensato il sistema senza la rivoluzione, pensando la società borghese ma non la società comunista (come ad esempio ciò che si chiama “sociologia”)
  • Si è anche pensata la rivoluzione senza il sistema, cioè senza la filosofia della storia e la lotta di classe, pensando la rivoluzione come operazione degli emarginati o come rivolta (e non come rivoluzione della classe che produce la ricchezza).

Nella visione di Marx la rivoluzione chiede che la storia sia concepita sia come lotta tra oppressori ed oppressi (oppressione come regola di tutta la storia umana), ma anche come successione di sistemi, sistemi che vengono concepiti dialetticamente (ossia ogni sistema è attraversato dalla negazione)

Nella storia, la rivoluzione borghese fa due cose che sembrano contraddittorie ma che sono funzionali tra loro: da un lato unifica l’umanità sotto il profilo del mercato, e dall’altro deve spezzare l’umanità nella forma politica, con la costruzione degli stati nazionali . La rivoluzione borghese costruisce questa contraddizione, e deve far crescere insieme la divisione politica del mondo e l’unificazione economica del mondo. Quando si parla di Materialismo Storico ci si riferisce al rapporto che Marx ha con la filosofia, e bisogna cercare di rispondere alla domanda su cosa Marx veramente aggiunge nella storia della filosofia. È solo qui dentro che nasce il problema del lessico economico che Marx utilizza per costruire la sua filosofia; senza il materialismo storico anche la stesura del Capitale diventa incomprensibile. Marx incontra il discorso filosofico e diventa filosofo nel 1836, quando Marx arriva a Berlino, e nell’estate del 1837 (dopo aver iniziato i suoi studi a Berlino) legge tutte le opere disponibili di Hegel e diventa hegeliano. Questo è il punto di partenza della filosofia di Marx. Hegel era morto nel 1831, per cui Marx non poté incontrarlo, ed essere hegeliani nel 1837 era diverso rispetto ad esserlo nel ’29 o nel ’30: significa per Marx far parte di un circolo di giovani hegeliani. Erano sì seguaci di Hegel, ma già erano critici degli aspetti fondamentali del pensiero di Hegel. Marx continua i suoi studi filosofici quando si trasferisce a Parigi dal ’43 al ’45 e scopre Ludwig Feuerbach, che fornisce alla sinistra hegeliana gli strumenti teorici fondamentali per una prima critica alla filosofia hegeliana; qui compare una parola fondamentale che segna tutta la filosofia post hegeliana, ossia il rovesciamento. Rovesciare la filosofia di Hegel, nel lessico di questi autori, significa che secondo la lettura data allora di Hegel, nell’Idealismo il soggetto, cioè l’elemento attivo e produttivo della realtà, è l’idea, l’infinito o l’essenza, che produce il finito. Per Feuerbach non è più Dio che crea l’uomo, ma è l’uomo che crea Dio; per il Marx della Kritik non è lo Stato che genera la società civile, ma è la società civile (Bürgerlichen Gesellschaft). Il tema del rovesciamento è fondamentale per tutta la filosofia post-hegeliana fino alle correnti filosofiche del ‘900, dove il soggetto diventa l’elemento attivo del discorso filosofico.

In questo contesto nascono gli scritti filosofici del Giovane Marx: la Kritik, la Questione Ebraica, i Manoscritti e la Sacra Famiglia (primo testo scritto con Engels). –> All’arrivo a Bruxelles accade qualcosa di importante, poiché ora Marx non si limita più a criticare Hegel e l’Idealismo sul fondamento delle categorie fornitegli da Feuerbach, ma comincia a criticare anche Feuerbach e il Materialismo.

La critica di Marx si rivolge ora in due direzioni, e queste due direzioni sono le due grandi linee di tutta la metafisica e la filosofia europea; Marx critica entrambe queste posizioni, ed oltre l’Idealismo ed il Materialismo cerca una nuova filosofia, mai sperimentata nella storia del pensiero, quella definibile una filosofia della praxis (Gramsci). Molti anni dopo la morte di Marx vengono pubblicati due testi, scritti tra il ’45 e il ’46, che sono l’inizio di quella filosofia che sta anche alla radice del Capitale: le tesi su Feuerbach e l’Ideologia Tedesca. La Miseria della Filosofia del ’47 aggiungerà altri elementi sul piano filosofico, ma è in questi due testi che nasce la nuova filosofia di Marx, il Materialismo Storico. Nelle Tesi è già presente il nucleo generativo del Materialismo Storico, e sono un appunto che Marx scrive su un foglio appena arriva a Bruxelles:

1) Nella 1° tesi Marx inizia con una critica perentoria del materialismo, tutto il materialismo precedente incluso quello di Feuerbach (mentre nella Sacra Famiglia scrisse che il comunismo si fondava sul Materialismo); il materialismo ora non è più l’orizzonte filosofico del comunismo, perciò Feuerbach è incluso nella critica al materialismo europeo.

Il torto del Materialismo è quello di aver concepito l’oggettività, la realtà e la sensibilità solo nella forma dell’oggetto o dell’intuizione: il Materialismo concepisce l’oggetto come trascendente rispetto al soggetto e come presupposto rispetto al soggetto, e non invece come posto e prodotto dal soggetto stesso. –> Per il Materialismo ci sono solo res, oggetti che si danno già a prescindere dall’attività formatrice, la praxis dell’uomo: per il materialismo il presupposto è la differenza, all’origine della filosofia vi è la differenza tra l’intellectus e la res che gli sta di fronte, ed il problema della filosofia è di apprendere la res che gli si pone di fronte, mentre non è l’attività dell’uomo che forma la res. Marx parla anche della forma dell’intuizione per dire che nel Materialismo è assente la mediazione, ma all’origine c’è l’immediatezza dell’oggetto, che si dà in quanto tale; il Materialismo per Marx non arriva a concepire soggettivamente l’oggetto, cioè non arriva a concepire nell’atto di produzione della soggettività, nella mediazione. La soggettività che sta all’origine della stessa produzione dell’oggetto è specificata da Marx con due parole fondamentali, ossia l’attività sensibile umana e la praxis: il materialismo non concepisce la soggettività come praxis, come azione. Nella prima tesi arriva quindi l’elogio dell’Idealismo, che ha il merito di concepire l’oggetto soggettivamente, capendo che la materia è mediazione, è prodotto dell’uomo, ma compie un errore nel concepire questa mediazione astrattamente, ossia l’Idealismo non arriva a concepire la mediazione come attività sensibile umana, ma come attività propria dell’Idea e dell’Infinito verso il Finito.

La conclusione è quindi il superamento delle due grandi correnti della metafisica europea, quella del Materialismo che presuppone la differenza e considera l’oggetto come rappresentazione, come ciò che sta di fronte al soggetto, e l’Idealismo che non coglie la radice della mediazione nell’attività sensibile del soggetto ma la colloca nel processo di movimento dell’Idea.

  • Marx nella 2° tesi ci dice cosa è la verità, che per lui è una questione pratica, ossia risiede nell’attività formatrice e sensibile dell’oggetto, è in essa che l’uomo prova e costruisce la verità. Nell’ Ideologia Tedesca Marx scrive che la verità cammina con le gambe sulla potenza della classe dominante, per cui ogni verità è prodotto e costruzione dell’azione rivoluzionaria dell’uomo; l’uomo prova la verità nell’immanenza del suo pensiero: la mondanità del suo pensiero si esprime nella realtà e nella potenza .

 

  • Nell’ultima tesi su Feuerbach, Marx non compie solo un invito a fare le rivoluzioni, ma scrive che si comprende il mondo nella prassi e nell’azione: questa è la grande critica che Marx compie alla definizione della filosofia di Hegel (nottola di Minerva), per Marx la filosofia deve ormai essere dentro la storia dell’uomo, e non arrivare dopo ad interpretarla.

In Marx la filosofia acquista diversi significati, e nel suo pensiero la filosofia, intesa in termini tradizionali, è finita, e Marx ne dichiara la morte pronunciando l’elogio funebre; ma il compito della filosofia ed il suo senso persiste in almeno tre sensi fondamentali: Da un lato la filosofia diventa più precisamente teoria e scienza, che in questo caso significa consapevolezza piena del percorso che l’umanità ha fatto lungo il suo cammino: grazie alla filosofia il proletariato acquisisce consapevolezza della sua posizione nella storia umana e diventa consapevole dello sfruttamento. Labriola nell’opera “In memoria del Manifesto dei Comunisti” espresse perfettamente questo senso della filosofia come teoria e come scienza, scrivendo che il compito del Marxismo e del Materialismo Storico non è quello di preparare i leader e progettare la rivoluzione, ma illuminare la posizione che la classe del proletariato ha nella storia. La teoria è quindi in primo luogo coscienza e si distingue dall’azione, spiegandone però la necessità. Ma per Marx la filosofia non è solo teoria o scienza, ma c’è anche una 2° visione della filosofia, che si rivela anche nella 2° tesi su Feuerbach, per cui la filosofia è anche produzione della verità e non solo coscienza della necessità della storia; la filosofia è anche produzione della visione del mondo della classe che si afferma nella storia con il suo dominio.

Quando la borghesia compie la sua rivoluzione essa afferma il suo sistema di valori come un sistema universale, ed in maniera simile il proletariato quando fa la sua rivoluzione afferma i suoi valori e realizza la propria visione su tutta l’umanità. La filosofia non si limita a comprendere la necessità storica, ma è anche costruttrice di una visione del mondo che si fa verità universale. Si pensi al caso del signore antico, che inaugura il fatto dello sfruttamento e inaugura la storia come storia di oppressione, emergendo dalla comunità degli uomini uguali come puro consumatore; ma non è solo uno sfruttatore il signore antico, ma è anche colui che attraverso lo sfruttamento genera un intero sistema, cioè afferma la sua filosofia come la filosofia di un mondo. C’è sempre un nesso tra sfruttamento e civiltà, lo sfruttamento è una negazione che produce e genera civiltà. La filosofia è perciò teoria e scienza, che illumina la necessità della storia, ma è anche visione del mondo, per cui chi fa la rivoluzione costruisce la propria visione del mondo e la afferma con la potenza della propria azione. Marx poi definisce la filosofia anche come il sapere reale, cioè la conoscenza della filosofia nella sua genesi dalla non-filosofia: in questo modo la filosofia diventa decostruzione delle stesse idee filosofiche dell’uomo e rivelazione della loro origine, ricostruzione del rapporto tra filosofia e non-filosofia come suo terreno di nascita. Qui si consuma la sua critica alle Ideologie: l’Ideologia è quella forma di pensiero che prende un prodotto storico e lo indica come fatto di natura, ed il compito della filosofia è quello di svelare l’inganno.

Il 1° capitolo dell’Ideologia Tedesca è un poderoso sviluppo delle Tesi su Feuerbach, ed è in essa contenuta l’enunciazione più compiuta del Materialismo Storico:

1) Marx assegna grande importanza al saper reale, in opposizione a tutta la tradizione filosofica, dicendo che la colpa della filosofia tedesca è quello di non aver abbandonato il terreno della filosofia: questo non significa negare la filosofia come sapere, ma significa che per fare filosofia bisogna saper uscire dal suo terreno, saper ricostruire la relazione tra la filosofia e la sua genesi non filosofica, illuminando la filosofia mettendola in relazione con la sua genesi.

Marx scrive con una celebre metafora che i filosofi sono finora scesi dal cielo alla terra, mentre ora bisogna invertire questo rapporto: ora si tratta di salire dalla terra al cielo, ed è la terra che produce il cielo, ossia il terreno materiale di produzione della vita che produce le idee della filosofia.

Marx col termine sublimazione si riferisce al termine della chimica del suo tempo, ossia il passaggio dallo stato solido a quello aeriforme senza passare da quello liquido. Sublimazione significa che la non-filosofia passa nella filosofia senza nessuna mediazione possibile, e riflette la sua immagine nell’Idea; bisogna perciò entrare nella dimensione del sapere reale, che non è chiuso nel terreno della filosofia, ed il compito della filosofia riguarda il mostrare la genesi dell’Idea e il suo processo verticale di formazione, per cui è l’uomo che nella sua vita materiale produce le sue idee e i suoi valori.

Marx poi nell’Ideologia Tedesca introduce un’altra nozione fondamentale, parlando di classe dominante, e affermando che la classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone in pari tempo dei mezzi della produzione intellettuale. Non è solo sfruttamento quello posto dalla borghesia nei confronti del proletariato, ma è dominio: per compiere lo sfruttamento non basta la forza e ridurre lo schiavo alla schiavitù, ma occorre che la classe dominante ottenga il consenso dell’oppresso e che le sue idee diventino la cultura dello schiavo, affinché egli riconosca le idee della classe dominante come valori universali e razionali. Qual è il rapporto tra Marx e la filosofia? Marx ha aggiunto qualcosa alla storia della filosofia e le ha dato un contributo? La risposta che abbiamo dato è affermativa: Marx è un filosofo ed aggiunge qualcosa di fondamentale al nostro modo di praticare la filosofia; questo tema filosofico lo abbiamo definito filosofia della praxis (espressione che compare con Labriola e con cui Gramsci sostituisce nei suoi quaderni quella di Materialismo Storico). Nelle Tesi su Feuerbach, che Marx scrive a Bruxelles nella primavera del ’45, si scopre che Marx non considera più il Materialismo come la base filosofica per la teoria del comunismo (1° tesi), e svolge una critica di tutte le correnti fondamentali della filosofia e metafisica europea, cioè dell’Idealismo e del Materialismo: nessuna di queste due filosofie può essere utile come base per la teoria del Comunismo. Il torto del Materialismo, compreso Feuerbach, per Marx è preciso: il suo torto è quello di presupporre l’oggetto, la res, come trascendente rispetto al soggetto, come presupposto e come qualcosa che non è il risultato di una praxis umana e della storia umana. L’Idealismo invece sa cogliere la mediazione originaria tra soggetto ed oggetto, questo è il suo merito, ma esso coglie la mediazione solo in forma astratta, ossia come mediazione delle idee. Marx nella 1° tesi scrive invece che la realtà è attività umana, qualcosa che pertiene specificamente al genere umano, ossia a quell’animale che costruisce una storia, ed essa è sensibile, per cui la mediazione non è astratta nelle idee ma è qualcosa di sensibile, riguarda la praxis effettiva dell’uomo. Nella 2° Tesi, Marx chiarisce che la verità non è una questione teorica, ma è una questione pratica, e dev’essere provata non nel puro pensiero (sillogismi, forme logiche ecc…) ma essa dev’essere provata nella realtà, e cammina sulle gambe della potenza. Nella 1° Tesi si parlava di oggetto e di realtà in senso materiale, mentre qui si parla della verità (ossia del grande problema che la filosofia si trova di fronte sin dal pensiero antico, quid est veritas?): la verità è il valore che conferisce valore ad ogni valore, per cui ogni valore di una civiltà è valido perché sono validi valori come l’uguaglianza, il bene, il bello etc, a cui si attribuisce verità.

La verità è per Marx non qualcosa di innato e di inscritto nel cuore dell’uomo, non sta nel grande libro nella natura ed essa viene poi letta (come affermava invece Galileo, ad esempio), ma ogni verità (anche quella di un sillogismo) è prodotta dall’uomo e riguarda la prassi, non si prova sul terreno della teoria.

Nell’11° Tesi si trova una delle formule più celebri di Marx: questa Tesi non dev’essere letta come se Marx facesse l’invito a prendere le armi e fare la rivoluzione, ma ha una grande profondità e segna una trasformazione nel discorso filosofico.

Nella prefazione ai Lineamenti della filosofia del diritto, Hegel dice tre cose fondamentali:

  • La filosofia è il proprio tempo appreso e compreso nella forma del pensiero”: Il dialogo del pensiero non è con sé stesso, ma esso presuppone che ci sia un mondo ed un tempo, e che il filosofo trovi il contenuto del proprio pensiero nel mondo e nel tempo e sappia metterlo nelle forme proprie della comprensione logica.
  • Il reale è razionale, ed il razionale è reale”: La realtà non è caos come appare e come sembra, ma al fondo di essa c’è una ragione ed una razionalità che viene letta e scoperta dal filosofo.
  • La filosofia è la nottola di Minerva che si leva in volo sul calare della sera”: Hegel ha in mente che la storia cammina sulle gambe delle passioni e degli interessi degli uomini, passioni prive di ragione, mentre la filosofia viene dopo a scoprirne il senso e la razionalità.

Marx però è dell’idea che la filosofia si occupi sì del proprio tempo e del mondo, ma la nuova filosofia (la filosofia della praxis) non arriva dopo che la storia si è svolta con le sue regole, ma è dentro la storia, essa è la prassi stessa: nella visione Hegeliana della filosofia si dividono la teoria e la prassi, mentre nel pensiero di Marx questi due momenti si riunificano, con la teoria che nasce dentro la prassi.

Marx mette fine a tutto un modo di concepire la filosofia e ne trasforma il significato, e nell’Ideologia Tedesca si trovano tre diversi significati che la parola filosofia acquista nel pensiero di Marx:

  • La filosofia è teoria, e quindi anche scienza, e così restituisce all’uomo (e in particolare al proletariato) la coscienza e la consapevolezza: all’uomo restituisce la consapevolezza del processo che l’umanità ha percorso nel suo cammino e la coscienza della posizione che il proletariato come classe occupa come classe. È grazie alla filosofia così concepita che l’uomo acquista coscienza che la storia è governata dalla regola dell’oppressione, e così il proletario diventa consapevole del fatto dello sfruttamento (e perciò di essere sfruttato).

Labriola, ne “In memoria del Manifesto dei Comunisti”, dà una definizione molto nitida della filosofia in Marx intesa in questo 1° senso: la filosofia in 1° luogo non è formazione di classi dirigenti o preparazione della rivoluzione, ma essa dà alla teoria la forma del processo, essendo coscienza della storia e non essendo invece un contenuto specifico.

Ne “La miseria della filosofia” si comprende cosa significhi davvero per Marx fare filosofia: come l’Economia politica classica è l’ideologia della classe borghese, così il Materialismo Storico è l’ideologia del proletariato. La filosofia è utopia, sistema e semplice scienza (e non invece coscienza) quando il proletariato non arriva a costituirsi come classe; la teoria per Marx si ha invece quando la filosofia non costruisce un sistema di uguaglianza e di giustizia, ma quando essa illumina il movimento oggettivo della storia, mostrando cosa sono le classi e qual è la loro posizione nella storia.

La teoria è dialettica, e cioè coglie la negazione comprendendo la negatività del sistema, e perciò comprendendo il germe rivoluzionario del sistema sociale: solo così il proletariato si fa classe e diventa perciò consapevole della sua posizione e delle sue potenzialità all’interno della società borghese.

Ma la filosofia per Marx non è solo teoria, essa fa anche dischiudere una visione del mondo di una classe rivoluzionaria; così non c’è più solo sfruttamento e oppressione in senso materiale, ma c’è anche dominio (un dominio anche spirituale): c’è una classe dominante e ci sono classi subalterne, ed il dominio è la capacità di una classe di non poter esercitare solo la sua potenza materiale senza una potenza spirituale, essa ha bisogno di un livello di consenso dell’oppresso. Ogni classe dominante costruisce un sistema di valori, ed i valori della classe dominante diventano anche i valori dei dominati: anche il subalterno riconosce valore alla verità affermata dalla classe al potere. “Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti”: il subalterno è assoggettato e cioè pensa con gli stessi valori affermati dalla classe dominante, un’intera civiltà è costituita dalle idee della classe dominante, altrimenti il potere e l’oppressione non si potrebbero costituire. Il dominio è perciò civiltà, visione del mondo ed è il senso della rivoluzione borghese; ma anche il proletariato è portatore di una propria visione del mondo e di una filosofia che si rende universale con il proprio sistema di valori e con la sua civiltà.

  • La filosofia è poi definita da Marx come il sapere reale: in tutta la storia della filosofia per Marx si discende dal cielo alla terra, mentre nel sapere reale si sale dalla terra al cielo; questo significa che le idee filosofiche non nascono in sé stesse e che non si è mai filosofi se si resta solo nel terreno della filosofia, ma per comprendere la filosofia bisogna entrare nella non-filosofia, la “terra”. È necessario ricostruire il nesso tra la filosofia e la non-filosofia, e perciò avere un modello genetico di comprensione delle idee: la filosofia della praxis è un metodo genetico, nel senso che spiega le idee a partire dalla vita materiale degli uomini come un prodotto storico della vita degli uomini. Le idee nella visione di Marx non sono mai trascendentali, ossia delle forme che costituiscono la realtà (come le intuizioni kantiane, che costituiscono i fenomeni), ma esse sono sempre figlie e costituite dalla realtà. –> Questo è il significato più profondo e radicale della formula “dalla terra al cielo”, e segna un 3° significato della filosofia della praxis, che nella storia del Marxismo si chiama critica delle ideologie, ossia lo smascheramento del loro trucco: nella visione di Marx le Ideologie scambiano la storia con la natura e rendono natura ciò che è storia, rendendo un prodotto storico come qualcosa di scritto nel grande libro della natura e non vedendo come siano invece prodotto della storia umana. Nell’ Ideologia Tedesca, Marx ed Engels svolgono una vera e propria antropologia fondamentale, e distinguono cinque aspetti dell’esistenza fondamentale dell’uomo il cui risultato è proprio la produzione delle idee, l’ideologia:
  • Marx ci dà una visione basilare ed elementare della vita umana: nel suo punto 0, la vita umana è produzione dell’esistenza, produzione che soddisfa alcuni bisogni elementari o animali. –> In base a questa considerazione di Marx, la vita umana comincia con la conservazione della vita, che coincide con la produzione della vita: la vita è un bene che dev’essere prodotto. Qui entrano in gioco tutte le categorie costitutive del pensiero di Marx, e all’origine del discorso di Marx vi è il fatto che lui gioca su due termini, da un lato il bisogno, qui considerato come negatività e cioè come un bisogno dettato dalla natura, senza la cui soddisfazione l’uomo muore; dall’altro lato vi è ciò che Marx chiama la creazione dei mezzi (che nel Capitale chiamerà valori d’uso), cioè quei beni utili che permettono all’uomo di rispondere al bisogno e di sviluppare la sua vita. Il bisogno e la creazione dei mezzi sono due termini fondamentali nel pensiero di Marx, soprattutto per il fatto che essi si trovano in un nesso inestricabile, per cui nessuno di questi due termini si potrebbe mai considerare da solo: quello che sta all’inizio della vita umana è questa mediazione tra bisogno e creazione dei mezzi per rispondere al bisogno.

Qui Marx però dice due cose che non stanno insieme: Da un lato dice che questa è un’azione storica, e dall’altro lato dice che essa è la condizione fondamentale di qualsiasi storia, per cui non si capisce se si è già all’interno della storia o se ne è al di fuori. Marx poi scrive che la soddisfazione del bisogno implica immediatamente la creazione di nuovi bisogni e la moltiplicazione dei bisogni, che è indotta dalla produzione stessa: questa è la prima azione storica, si esce dal terreno della conservazione e si entra in quello dell’artificio. Qui non si ha più di fronte un bisogno come negatività, cioè dettato dalla natura, ma un bisogno creato e prodotto dall’uomo e dalla sua formazione sociale. Cambia la natura del bisogno, ma il passaggio è immediato: la creazione dei mezzi per la soddisfazione del primo bisogno è già produzione di civiltà, storia e artificio. –> Si scioglie il dubbio tra storia e condizione della storia, poiché si entra nella storia quando il bisogno è il fine, esso è fissato e prodotto dall’uomo stesso nella sua attività produttiva.

  • L’uomo poi riproduce sé stesso: il rapporto tra uomo e donna, la generazione dei figli e ciò che Marx chiama la “famiglia” (gli uomini cominciano a fare altri uomini e a riprodursi).

Questi tre elementi non vanno concepiti in successione, ma vanno concepiti in modo organico come tre aspetti e momenti di un processo che avviene tutto insieme: alla base della vita sociale c’è l’insieme simultaneo e immediato di questi tre momenti fondamentali.

  • Il quarto aspetto è quello decisivo: tutto questo processo che si svolge è sempre, e senza possibilità di eccezione, un rapporto sociale. –> Fin dall’inizio,

se vuole vivere e produrre la sua vita , l’uomo costruisce una forma sociale determinata: al principio non c’è mai l’individuo, il lavoro o l’Uomo, ma c’è la forma sociale e cioè l’uomo e il lavoro come socialmente determinati. L’uomo può conservare sé stesso solo in una forma sociale: tra riproduzione della vita e socialità non c’è differenza, e perciò l’uomo è da sempre un animale sociale che non si presenta mai nella forma dell’Individuo. Marx scrive che la cooperazione è essa stessa una forza produttiva, e che forse è la più importante delle forze produttive.

  • Se i primi quattro momenti non vanno letti come facenti parte di una successione cronologica, il 5° viene dopo e va letto secondo la categoria della successione, poiché esso essendo la coscienza presuppone tutti gli altri gradi e viene dopo e appare anzitutto, nella lettura di Marx, come linguaggio: nella filosofia di Marx il linguaggio è la metafora iniziale di tutta la sfera ideologia, la superstruttura elementare che ha il carattere di tutte le superstrutture.

La coscienza è perciò successiva ed è conforme alla produzione e alla riproduzione della vita; per produrre e riprodurre sé stessa, l’umanità ha bisogno del linguaggio solo tecnicamente, in quanto forma della comunicazione, ed è solo nell’Ideologia che esso perde la coscienza della sua genesi dalla vita reale: il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dal bisogno e dalla necessità di rapporti con altri uomini. Marx così pone il problema del fatto che il sistema sociale si costituisce a prescindere dall’apparato ideologico che lo attraversa, e proietta i suoi rapporti di forza nella sfera ideologica: l’Ideologia non è costitutiva del sistema sociale e non determina la riproduzione del sistema ma è il riflesso delle condizioni e dei rapporti sociali (tesi che sarà sostenuta soprattutto nel Marxismo sovietico, da Lenin a Stalin). Ma così nasce il problema di come la sfera ideologica possa essere così concepita nella contemporaneità; bisogna precisare che Marx è spinto da un’esigenza polemica e di radicalizzazione, affermando il principio che le idee non costituiscono né la realtà e né l’oggettività, ma ne sono costituite. Nel 1844 Marx scopre il linguaggio ed i classici dell’economia politica; negli annali Franco-Tedeschi che escono nel Febbraio 1844, Marx aveva già usato alcune parole chiave del suo pensiero:

  • Nella Questione Ebraica aveva parlato di emancipazione umana, che non è il comunismo ma ne anticipa i caratteri
  • Nell’Introduzione alla critica della filosofia hegeliana del diritto Marx invece riconosce il soggetto artefice della rivoluzione, chiamandolo col suo proprio nome ossia proletariato.

Ma è nei quaderni parigini che nasce il lemma “comunismo” in Marx (che fino ad allora si era invece mostrato molto diffidente nei confronti delle teorie e della prospettiva del comunismo), ma soprattutto nasce anche il concetto e perciò Marx inizia ad elaborare una teoria del comunismo.

I “Manoscritti Economico-Filosofici” sono la prima vera espressione della teoria comunista di Marx e la prima espressione dei suoi studi economici; sono tre quaderni “tirati fuori” ed isolati da un gruppo di nove quaderni che fra il 1843 e il ’45 Marx compone a Parigi, formati da estratti e da annotazioni dei testi classici dell’economia politica. –> Questi tre quaderni vengono scritti da Marx tra il maggio e l’agosto del ’44, prima della pubblicazione dell’opera che scrive nel Febbraio ’45 con Engels, “La sacra famiglia”.

Come gran parte delle opere giovanili di Marx, i Manoscritti vengono abbandonati e lasciati da Marx alla “critica roditrice dei topi”, e vengono pubblicati solo molto tempo dopo la morte di Marx: Le prime edizioni risalgono al periodo tra il 1927 e il ’29, ma solo nel 1932 nella Prima Mega l’allora curatore Adoratskij cura una pubblicazione dei Manoscritti e per la prima volta gli attribuisce un titolo, “Manoscritti Economico Filosofici del 1844”; solo nel 1998 si arriva ad un’edizione completa di tutti i nove quaderni parigini di Marx.

Certamente la pubblicazione dei Manoscritti segna e divide la storia del marxismo, segnando due linee precise nella storia delle interpretazioni di Marx:

– Da un lato ci sono le edizioni sovietiche, la cui impronta è data da Riazanov, edizioni che tendono ad una netta svalutazione del significato dei Manoscritti: fin dall’Introduzione di Riazanov ai Manoscritti, essi sono visti come un testo giovanile di Marx, ancora influenzati dall’Idealismo e che vengono pubblicati come semplici appunti e come materiale preparatorio alla Sacra Famiglia. Secondo questa interpretazione non bisogna pensare che nei Manoscritti sia contenuta la filosofia di Marx e non bisogna perciò dargli troppa importanza.

A questa interpretazione si richiamerà anche la lettura di Althusser, la cui tesi principale è che c’è una rottura epistemologica nel percorso di Marx (nei Manoscritti c’è un “Marx prima di Marx”) e per il quale i Manoscritti sono l’ultima espressione di una giovanile metafisica di Marx che verrà poi completamente superata da Marx a partire dalle Tesi su Feuerbach e dall’ Ideologia Tedesca.

– I Manoscritti diventeranno invece il testo fondamentale di quello che è stato definito “marxismo occidentale” (Fromm E, Marcuse, la Scuola di Francoforte ecc…): in questa corrente interpretativa si ritiene che in quest’opera si trovi la teoria dell’alienazione e che essa rimanga la base filosofica permanente in tutta l’opera di Marx, anche se Marx poi non userà mai più questa espressione. — La teoria dell’alienazione dell’uomo è la base filosofica di Marx, da cui deriva ogni altra conseguenza del suo pensiero.

Se c’è continuità o discontinuità nel percorso di Marx, è questa la questione interpretativa in ballo nella storia del Marxismo.

In questi tre quaderni si trovano tre novità fondamentali del pensiero di Marx:

  • La prima analisi dell’economia politica, ossia Marx ci dà un’interpretazione delle principali categorie dell’economia politica (capitale, rendita fondiaria, salario ecc…).
  • La teoria dell’alienazione, ossia quella del lavoro alienato.
  • La prima teoria del comunismo, che si lega in maniera strettissima al concetto di alienazione.

Quali problemi pone la lettura dei Manoscritti e in modo particolare la teoria dell’Alienazione? Un 1° problema riguarda il fatto che Marx opera una distinzione fondamentale tra quella che lui chiama la storia dell’industria, l’industrialismo, e la forma sociale determinata del capitalismo: Marx finora ci si è presentato come un autore che attribuisce un valore alla storia dell’industria, che viene vista come la storia delle capacità dell’uomo, fino a considerare la rivoluzione borghese ed il suo pieno compimento come una condizione necessaria per la rivoluzione comunista. Marx perciò non vuole riportare l’uomo nell’ idiotismo della vita contadina: il grande problema del comunismo è quello di un governo razionale dello sviluppo industriale.

La teoria dell’alienazione sembra invece non solo costituire una critica della forma sociale del capitalismo, ma una critica dell’industrialismo stesso e della tecnica, per cui il comunismo metterebbe in discussione non solo il capitalismo ma lo sviluppo industriale stesso. Nella teoria dell’alienazione Marx non parla dello schiavo, dell’operaio o dell’oppresso, ma parla dell’uomo: si parla dell’uomo in tutto lo sviluppo della storia dell’industria, e Marx usa la categoria di uomo che poi sarà largamente criticato da Marx stesso negli scritti successivi.

Il 1° problema che i Manoscritti pongono è quello di capire se Marx è un critico del capitalismo o è un critico dell’intero sviluppo dell’industria.

Il 2° problema riguarda il rapporto tra le categorie critiche fondamentali di Marx, e Marx dispone di tre principali risorse per compiere la critica della civiltà: l’alienazione, l’oppressione (come regola della storia) e lo sfruttamento (come forma specifica del capitale). Queste parole sono le tre grandi risorse critiche di cui Marx dispone, e Marx si deve sempre interrogare su cosa sia il loro rapporto, quale termine fondi l’altro o se i termini siano distinguibili fra loro.

Nel Manifesto si parla di una regola della storia umana e di una sua deformazione iniziale, presente in ogni forma sociale: tutta la storia è segnata dalla regola dell’oppressione perché questa regola dice che fin dall’inizio la specie umana si divide in due generi di uomini, e perciò l’umanità è spezzata fin dal suo inizio.

Il signore antico si limita a consumare ciò che lo schiavo produce e considera il lavoro come una funzione animale: nella filosofia antica (Aristotele parla dello schiavo come di un animale domestico) c’è la ricerca di ciò in cui l’uomo eccede la funzione animale, e il lavoro non eccede la dimensione animale ma fa parte dell’animalità, non consentendo la libertà. Il signore antico fonda così l’idea di libertà sulla possibilità di occuparsi della pura vita teoretica o della vita civile; bisogna però ricordare che il signore antico scopre la libertà e fonda la civiltà umana, uscendo dalla vita animale (Marx è consapevole che la civiltà greca è una grande civiltà, segnata dal carattere dell’oppressione).

Lo sfruttamento è una seconda risorsa critica di cui Marx dispone; non ha lo stesso significato del concetto di oppressione, e può essere definito come una specificazione storica e decisiva dell’oppressione, perché nella società borghese l’oppressione cambia forma: non c’è più il signore e lo schiavo, ma l’oppressore (il borghese) non può definirsi come un puro consumatore, esso non ha come suo fine la vita teoretica o la vita civile e politica, ma esso è un uomo d’azione ed il fine dello sfruttamento è l’accumulazione e l’arricchimento. Il borghese esercita l’oppressione come regola della storia umana, ma la esercita secondo la forma dello sfruttamento, ovvero estraendo plusvalore dal lavoro dell’operaio salariato sulla base delle condizioni moderne della libertà personale (sarà necessaria l’uguaglianza delle condizioni affinché sia possibile lo sfruttamento).

Quello dell’Alienazione è invece il problema che sorge coi Manoscritti: che rapporto c’è tra essa e sfruttamento o tra essa e oppressione? Bisogna abbandonare l’alienazione considerandola una forma giovanile e presto superata da Marx? –> La teoria dell’alienazione che si trova all’inizio del percorso del Marx economista e comunista cerca di spiegare perché l’uomo è entrato nella vicenda dell’oppressione (mentre il Manifesto ed il Capitale si muovono più sul territorio del “comune”, spiegando come si muove la storia e sulla base di quale regola o come funzioni lo sfruttamento).

I Manoscritti vogliono invece rispondere alla domanda sul perché, portandoci indietro al rapporto originario tra uomo e natura e tra uomo e uomo: per Marx c’è una continuità fondamentale, l’uomo è rapporto con la natura (la natura è il corpo inorganico dell’uomo) e ha un rapporto organico con gli altri uomini. Accade però che questa continuità si spezza e che l’uomo appare frammentato, e questa continuità dà luogo ad una disgregazione che a sua volta apre la strada alla storia dell’uomo come storia dell’oppressione.

È l’alienazione che cerca di spiegare l’oppressione e lo sfruttamento (e non è invece il contrario), ma è anche vero che non si può semplicemente concludere che questa è la filosofia di Marx, poiché questa filosofia la si indica nella filosofia della praxis, mentre la teoria dell’alienazione è una spiegazione radicale della regola della storia umana, ossia del fatto dell’oppressione.

La storia umana presuppone anzitutto il segno negativo, ossia la negatività del bisogno e la negatività del lavoro: Marx nell’Ideologia Tedesca comincia con la negatività del bisogno, per cui l’uomo è attraversato da questa mancanza ed è costretto dalla natura a produrre la sua vita: i bisogni negativi sono quelli dettati dalla natura e non ordinati dall’uomo stesso. Nella stessa Ideologia Tedesca Marx scrive che la soddisfazione del 1° bisogno (ossia il bisogno naturale) trasforma la natura stessa del bisogno, il bisogno si moltiplica e da naturale diventa umano: nel comunismo l’uomo pone a sé stesso i suoi fini ed i suoi bisogni non sono più ordinati dalla natura, ma da sé.

Nei Manoscritti il bisogno da negatività si converte in fatto umano: l’uomo non usa più il “grido della natura” per salvarsi dalla morte (come indicava Rousseau), ma cresce le sue possibilità di comunicazione: da un bisogno naturale iniziale nasce un bisogno ed un fine umano. La stessa cosa accade per il lavoro: nella storia dell’oppressione il lavoro è negatività, è un prezzo che viene pagato, tanto che il signore antico fonda una civiltà e l’idea di libertà emancipandosi dalla pena del lavoro, lasciandolo al servo e allo schiavo.

Come nel caso del bisogno, Marx opera la conversione della negatività del lavoro nella positività del lavoro, che nella sua visione diventa realizzazione dell’essenza dell’uomo, cambiando segno rispetto al modo con cui il signore lo aveva considerato: la negazione del lavoro spiega l’origine dell’oppressione ed essa stessa è la radice dell’alienazione. L’alienazione è il motivo per cui l’umanità si spezza e si divide in due generi opposti, poiché il signore ha la necessità di delegare ad altri questa funzione animale.

Marx arriva a questa tesi soprattutto grazie a Hegel e a Locke (col suo 2° Trattato sul Governo e la sua teoria sul diritto di proprietà), e arriva a leggere il lavoro come oggettivazione e come realizzazione dell’essenza umana: l’alienazione si fonda su questa conversione deformata della positività (che Marx chiama oggettivazione) in negatività, ovvero la negazione del valore del lavoro e della praxis, e quindi espropriazione del prodotto del lavoro, ossia espropriazione di quella che Marx chiama essenza generica (Gattungswesen) dell’uomo.

La critica che Arendt rivolge a Marx su questo punto, correggendolo con la distinzione tra ciò che è lavoro e ciò che è opera: per Marx il lavoro è sempre opera, è sempre oggettivazione della prassi, è l’uomo che pone a sé stesso i suoi fini e si oggettiva nel prodotto della sua oggettivazione. In Marx nella società borghese l’uomo è alienato è espropriato del prodotto, ma non perde la capacità di oggettivazione di sé poiché altrimenti non sarebbe il soggetto della rivoluzione, anche il capitalista è alienato ma egli è solo alienato poiché non oggettiva sé stesso.

Il proletario è oggettivazione di sé e al tempo stesso alienazione, e per questo il proletario liberando sé stesso paradossalmente libera l’intera società ed anche il capitalista, poiché il lavoro positivamente considerato è oggettivazione, espressione di sé.

L’alienazione non è invenzione di Marx, ma è un grande e importante concetto della storia della filosofia:

  • Ne parla Tommaso Campanella nella Metafisica, parlando di quando l’oggetto perde valore
  • Rousseau nel Contratto Sociale, nel 6° capitolo del 1° libro, ne parla nei termini dell’alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità: è l’alienazione di ciascun associato alla volontà generale che fonda la volontà generale.
  • Nella lingua tedesca ci sono due espressioni che si possono più o meno tradurre con alienazione, Entoisserung ed Entfremdung: Entoisserung ha dentro di sé l’alterità, l’altro, mentre Entfremdung ha dentro di sé l’estraneità, l’estraneo.

L’alienazione ha dentro di sé questi due significati, ed in Hegel compare prevalentemente come Entoisserung: il farsi altro è un’esperienza di arricchimento, un farsi altro che arricchisce la natura del soggetto (ad esempio, il farsi altro dello Spirito nella Natura per diventare più compiutamente Idea).

In Feuerbach invece l’alienazione è prevalentemente Entfremdung poiché ha il carattere della perdita di sé, nella proiezione della sua essenza di vita che l’uomo fa nella figura di Dio: l’uomo si aliena nel senso di una perdita secca, poiché senza l’elemento della coscienza di ciò che succede (ossia la consapevolezza) toglie a sé stesso e proietta nell’immagine di Dio, di cui dimentica la genesi e che crede indipendente da sé.

In Marx è presente l’alienazione in entrambe le accezioni:

  • Essa è presente sia come Entoisserung, ed essa intesa come oggettivazione (ciò che Arendt chiama opera): l’uomo essenzialmente realizza la sua essenza alienandosi nel prodotto, cioè oggettivandosi.
  • Ma è anche presente come Entfremdung, ossia l’alienazione dell’operaio nella fabbrica moderna: Marx, riprendendo quasi letteralmente un’espressione di Feuerbach, scrive che più l’operaio trasferisce nel prodotto, nella società capitalistica, più toglie a sé stessa, e diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce.

La teoria dell’alienazione presente nei Manoscritti si presenta come una sorta di crescendo musicale di tre diversi tipi e accezioni di alienazione, in cui dall’aspetto economico (che consiste nell’alienazione del prodotto) si arriva progressivamente all’aspetto più propriamente filosofico (l’alienazione della propria essenza generica di uomo):

  • La prima figura la si comprende solo se si tiene presente cosa significhi per Marx lavoro e prassi umana: l’operaio mette sé stesso nel prodotto, si oggettiva e attraverso questa oggettivazione abbandona la dimensione animale (la sua umanità è nell’opera che ha compiuto, nel suo prodotto). –Con questo determinarsi nell’opera l’operaio crea un mondo artificiale e abbandona la ripetitività della natura, fondando una storia, che ha una base naturale ma che la oltrepassa continuamente.

L’uomo si oggettiva in una storia e in una civiltà, realizza sé stesso secondo fini razionali (ossia posti da lui stesso, l’uomo diventa sostanzialmente prassi razionale); nella società capitalistica l’uomo, nella figura dell’operaio, continua a oggettivarsi e a conferire valore alla natura, fondando una storia, ma la merce è espropriata al lavoratore: questo può rendersi come l’immagine di una vera e propria rapina, dove però bisogna capire cosa venga derubato.

Viene derubato qualcosa di fondamentale dell’essere umano, e si pone di fronte all’operaio come una potenza indipendente e come qualcosa che gli è estraneo; la sua oggettivazione diventa estraniazione, l’uomo si realizza nell’oggetto ma il suo oggetto gli viene sottratto. Con questa prima figura dell’alienazione avviene quindi la conversione del positivo nel negativo.

  • Vi è poi una seconda figura, che è quella decisiva, ma che è anche una conseguenza della prima figura (ossia dell’espropriazione del prodotto); nella società borghese l’operaio non è espropriato solo della cosa, cioè della merce che lui produce, ma dentro il suo prodotto c’è qualcosa di più: quello che viene sottratto all’operaio è l’atto della produzione, la praxis stessa. –> Espropriare l’atto della produzione significa espropriare l’umanità e la capacità di oggettivazione dell’operaio, la sua creatività.

In questa seconda figura appare un concetto fondamentale dei Manoscritti, quello dell’animale: essere ridotti all’animale significa essere ridotti ad un essere e ad un’esistenza che è separata dal lavoro, un’esistenza che si limita a consumare l’oggetto per la sua sopravvivenza e opera un semplice scambio organico, non elaborando l’oggetto e dunque non entrando nell’artificio.

La differenza tra l’uomo e l’animale è tutta in questa prassi razionale, cioè in questa capacità di oggettivazione dell’uomo: l’uomo lavora non solo per rispondere al bisogno dettato dalla natura, ma per creare un mondo artificiale e dunque per rispondere a bisogni e a fini che lui stesso si pone.

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