Massimiliano Polselli
Iniziando senza preamboli riguardo la prima questione del Divenire senza la Negazione, orbene sia l’Intelletto che il Divenire in quanto mediazione (pensiero speculativo che il solo Divenire non può garantire), non possono non prescindere dal movimento dialettico Essere-Nulla-Divenire, cioè dalla Negazione: la quale essa sola fonda il Divenire dialettico o storico o materialismo dialettico e quindi l’esserci. Si ricordano qui le contraddizioni del ragionamento Storicistico-Fenomenologico-Attualista sulle tre categorie astratte Essere-Nulla-Divenire. Infatti Burbidge et al., rischiano di reduplicare all’infinito il Cominciamento hegeliano nel senso che si ha Divenire-Essere-Nulla ed un Intelletto che pone in sé un’ attività separante e dialettica (rapsodica) a prescindere dal Divenire-Essere-Nulla originari. Facendo altresì derivare dal primo Divenire un secondo Divenire, dall’Essere un secondo essere, dal Nulla un seconda forza negativa, ponendo le basi per una seconda pseudo o cripto dialettica.
Da qui la critica univoca tra Marx ed Hegel all’Intelletto astratto, come riferisce lo stesso Gentile ne “La filosofia di Marx” del 1899. Anche Luporini negli anni ‘40 criticava lungo l’asse Hegel-Marx-Gentile l’oggettivante intelletto che nega la contraddizione come l’essere dell’ente, sottraendo l’essere alla negazione. L’essere è per sua natura negazione e contraddizione in atto. Anzi è la negazione che genera l’essere. Si sottolinea qui infine la posizione di Sasso sul cominciamento hegeliano: per evitare un nesso statico ed ipostatico tra mediazione ed immediatezza, Hegel avrebbe allontanato il pericolo di una “compiuta quiete” col rischio di porre in essere una struttura immobile. Ma tale avvisaglia non sarebbe rintracciabile nell’Errore della Ragione sotto mentite spoglie dell’Intelletto ma bensì nel ruolo del Nulla astratto (o perché la Ragione – alla fine del Resultato della Fenomeneologia – non riesce ad eliminare del tutto la forma mentis dell’Intelletto – o perché il Concetto stesso “ospita” coscientemente o meno al proprio interno l’intelletto stesso fino all’inizio del cominciamento Logico, tesi che Cingoli legittima affermando che il resultato del Sapere Assoluto della Fenomenologia è di nuovo immediatezza seppur mediata). In tal senso la categoria del Nulla gioca un ruolo di eternità della Negazione come propaggine del Tutto: il Nulla eterno ed astratto come “Essere negazione” ossia “Non-Essere”.
È altresì vero che il Nulla è ineffabile poiché esso impensabile per l’Intelletto. Hegel stesso afferma che il “non-essere” deve venir concepito, come “limite” invalicabile dall’intelletto, mentre il Concetto (Begriff) lo coglie come ciò che genera il Tutto. Così come la tenebra ha un ruolo attivo per determinare la luce, rendendola visibile, così il Nulla fa apparire mediante sé l’Essere: l’Essere è il dato strutturale del Nulla che prescinde dagli interventi estrinseci del pensiero. In qualunque modo venga enunciato o mostrato , il Nulla si mostra collegato o in contatto (da qui l’essere del Nulla o l’essere “in-tattile” del Nulla) con un essere e ad esso inseparabile, come afferma Hegel. Hegel ci dice, intanto, quello che il “cominciamento non è”: non è immediato e non è neppure mediato. Non è immediato poiché ciò che è preso immediatamente presso di sé è arbitrario ed anche il suo inizio, come immediato, è allo stesso tempo la sua stessa fine, poiché non si vede come si possa da esso sviluppare il seguito in modo necessario. Per ciò che concerne l’altro momento, il mediato: ebbene il cominciamento non è neppure mediato, in quanto sembrerebbe “un colpo di pistola” come scelta soggettiva, astratta e dogmatica. Allora il cominciamento deve essere non immediato e né mediato, così il cominciamento non può che non rivelarsi come “puro essere”. Questo, Hegel lo dimostra a partire da due lati: sia a partire dal “cominciamento mediato”, ossia quel cominciamento che ha alle spalle la Fenomenologia dello Spirito per cui l’Essere della Logica si presenta come un Risultato della Fenomenologia, sia partendo dal cominciamento immediato, ossia in quanto tale che “è”. In entrambi i casi si ha il puro Essere. Esso collegherebbe un cominciamento che è insieme “mediato” ed “immediato” e che non è solo mediato o solo immediato. Dopo tale mostrazione di metodo, Hegel individua altre tre possibilità di definizioni presenti nella riflessione filosofica sul cominciamento, delle quali critica il senso, pur tuttavia, in qualche modo, ne intravedrebbe anche dei pregi. Sono: 1) cominciare in modo problematico con l’assunzione di un’ipotesi la cui verità può essere attestata solo dalla validità dei risultati che il suo sviluppo permette di conseguire. Come tipico di tale procedimento, Hegel si riferisce alla filosofia di Rheinold; 2) il cominciare con l’analisi stessa del cominciamento; 3) il cominciamento a partire dall’Io. Tre modalità che includono i modi con i quali non bisogna iniziare. Quindi il vero cominciamento è quello dal quale Hegel fa iniziare esaminando la sua dimostrazione del vero cominciamento in relazione ai due aspetti del mediato e dell’immediato e non del solo immediato o del solo mediato. Tutto ciò assume come pacifico “la base” dell’Esser puro. Infatti, alla fine della Fenomenologia dello Spirito abbiamo il puro essere, mentre al suo inizio si ha l’essere puro. Hegel procede spiegando le ragioni della mediazione del cominciamento. Esso è anche mediato, poiché emerge l’esser puro. Si tratta di vedere come dal sapere puro risulti poi la categoria dell’essere, ossia il cominciamento della logica. Rispetto a questo sapere puro, il vero immediato è la coscienza empirica, sensibile, da cui parte la Fenomenologia come scienza dello spirito che appare e di cui il sapere puro è il Risultato. Dal sapere puro, che è l’unione di pensare ed essere come risultato della dialettica fenomenologica, al sapere puro come semplice unità immediata. Si è detto che il cominciamento è insieme mediato ed immediato per Hegel. In questa semplice unità immediata ogni tipo di riferimento ad altro è tolto e quindi il proprio ed unico contenuto è l’essere puro. La semplice immediatezza è il puro essere, che non è altro che semplice indeterminazione. L’essere puro è solo l’essere in generale. Ora, in tale passaggio dal sapere puro all’essere puro, è presente una difficoltà. Di che cosa si tratta? Hegel è già partito in precedenza dal sapere puro per offrire la partizione generale della logica: una partizione che fosse immanente allo sviluppo stesso della logica. In quel contesto, Hegel affermava che nel sapere puro si è arrivati ad una unità, ma che tale unità è un’unità concreta che ha dentro di sé la differenza. Nel puro sapere si è superata l’opposizione della coscienza tra un soggettivo essere-per-sé e un essere oggettivo, ma in modo tale che i termini di quell’opposizione sono conservati come due momenti dell’elemento logico. Qui, invece, nel sapere puro rispetto all’esser puro, Hegel dice che non c’è alcuna differenza e che si è giunti ad una unità assoluta che è assoluta indeterminatezza. Si nota, quindi, a distanza di alcune pagine, quello che sembra un contrasto notevole: Hegel sembra affermare dieci pagine dopo quello che nega dieci pagine prima, ossia che l’esser puro in quanto cominciamento immediato non ha senso. Qui, invece, parrebbe dire che la semplice immediatezza è proprio il cominciamento che si cercava: il puro essere. Come si spiega tale differenza? Cingoli dà una prima risposta: poiché si è entrati già nella sfera dell’essere, ci si sta incamminando per uno di quei due momenti cui gli (Hegel) accennava nella partizione, la logica oggettiva. Ora, nella scienza dell’essere, l’unità si presenta qui come astratta. È il momento della massima astrazione delle categorie e quindi siamo di fronte all’apice di una unità astratta. In questo senso c’è il cominciamento con il puro essere come semplice immediatezza. La seconda soluzione la dà Hegel: occorre che non ci sia nulla di presupposto nel cominciamento in quanto puro essere e, quindi, Hegel alla fine afferma che si è trovato il sapere puro come puro essere col quale s’inizia e non deve contenere alcuna altra determinazione o riempimento. Se fosse il contrario, saremmo di fronte all’altro cominciamento: arbitrario e sommario, nonché soggettivistico. Questo puro essere del cominciamento è scevro da ogni altra determinazione, poiché si ritorna a quel principio di cominciamento delle filosofie ontologiche e, quindi, del momento contenutistico e non formale soggettivo, ma oggettivo. È come se Hegel volesse salvaguardare il percorso fenomenologico precedente giungendo ad un essere puro e allo stesso tempo anche l’inizio non includente alcun elemento determinato del cominciamento assoluto. È chiaro che la circolarità del presupposto-posto che definisce un immediato che, in quanto ultimo, è il primo sviluppato. L’ultimo è il primo, sviluppato a livello di puro essere. Si è partiti con la presupposizione del puro sapere come risultato del sapere finito, cioè della coscienza, ovvero del camino fenomenologico, per approdare, con il togliersi di tale mediazione all’esser puro. Però si può anche non vedere l’essere come risultato o mediato. Quindi in modo immediato o essere puro. Che non può presupporre nulla. Si nota qui l’unione di immediatezza e mediazione. Allo stesso tempo di non sola mediazione e di non sola immediatezza. Questa è la funzione dell’esser puro e del puro essere. Il puro essere è il risultato del cammino fenomenologico, mentre l’esser puro è il sapere essere: ossia esser puro col togliersi della mediazione. L’esser puro del cominciamento della logica dell’essere coincide, in quanto indeterminato ed unità astratta, col il puro sapere come risultato del cammino fenomenologico. Nel senso che il puro sapere (come risultato del cammino fenomenologico) è un pensare senza alcun pensiero determinato: poiché è il pensare come tale o pura indeterminatezza. Di modo che coincide con l’essere puro: come essere assolutamente immediato della logica dell’essere.
Secondo alcuni il puro essere in Hegel è l’assoluta indeterminatezza, in quanto essere puro. Che quindi può essere preso come unità astratta di essere e pensiero, con una preminenza dell’essere o dell’aspetto oggettivo. Tuttavia l’unità astratta dell’essere puro col pensiero deriva dal fatto che il pensare come tale è un pensare che sgorga dalla fenomenologia dello spirito, senza alcun pensiero determinato che coincide così coll’esser puro: in quanto indeterminato e con esso astratto. Ora se Cingoli ci dice che per Hegel il puro essere è assoluta indeterminatezza e che è quindi come unità astratta di essere e pensiero, con preminenza dell’essere e dell’aspetto oggettivo, questo non giustifica da dove subentri il pensiero nell’essere. Come se il pensiero entrasse e fosse aggiunto a posteriori o a priori rispetto all’essere. Proprio per questo è’ vero d’altronde quello che dice Cingoli prima: il pensare puro è già essere indeterminato, poiché esso per Hegel non pensa a Nulla e quindi coincide con l’esser puro indeterminato. Che è indistinto, indeterminato tanto quanto l’essere. Ma perché? Perché l’essere è anche puro pensiero. Prosegue Cingoli: il concetto del puro essere è l’assoluta indeterminatezza, che diventerà poi determinatezza. E da qui Hegel comincerà la Logica dal titolo della Qualità e poi con l’essere determinato. Inoltre l’assoluta indeterminatezza è anche il pensare come tale senza alcun contenuto determinato e viene da sé l’identificazione di puro essere e puro pensare, che sono entrambi pura indeterminazione. I riformatori della dialettica hegeliana, in particolare Spaventa e Gentile faranno dell’atto del pensiero come tale, e non dell’esser puro per il pensare e l’essere, il punto di partenza della loro filosofia. Mettendo in discussione l’identificazione dell’essere puro e del pensiero puro al centro del discorso di Hegel, essi riterranno così di poter rispondere alla critica di Trendelenburg alla dialettica del divenire di Hegel, secondo la quale nessun passaggio dall’essere al divenire è possibile procedendo nell’elemento astratto del pensiero o dell’essere, ma solo attraverso il ricorso all’esperienza empirica. Quindi Hegel avrebbe dedotto un elemento empirico per poi far scaturire il divenire. Scrive Cingoli: “il cominciamento non può essere un concreto, non può cioè contenere dentro di sé alcuna relazione, nel qual caso presupporrebbe un mediare e un passare da un Primo ad un Altro, che avrebbe per risultato il concreto stesso come divenuto semplice. Ma questo contraddice la natura propria del Cominciamento assoluto e puro, che in quanto è il Primo non può per Hegel contenere alcun riferimento ad Altro. Esso quindi non contiene già un essere andato innanzi, ma è assolutamente indeterminato. Quello che è essenziale dunque è che all’Inizio in se stesso il Cominciamento deve essere assolutamente indeterminato. Poi si sviluppa e si sviluppa da sé. Non come avviene per il concreto della rappresentazione per mezzo di una riflessione estrinseca che lo scompone nei suoi elementi costitutivi”. Questo per dire che il Nulla che per un solo istante si pone come essere, è una forzatura immensa! In quanto è un inserire una riflessione estrinseca in una dimensione per cui il pensiero non è fuori, ma coincide con sé. Se fosse fuori avrebbero ragione coloro che affermano che il nulla passa all’essere, autoponendosi come essere. Ma si è detto che tutto il movimento è pura indeterminatezza ed è indeterminato anche il movimento stesso. Questo in risposta a Gentile e a Spaventa. Poiché il divenire non diviene in termini circolari. Ossia la circolarità che emerge del puro essere e puro sapere non è un’attività del pensiero diveniente non perché non si muove così, ma perché il divenire sembra che instauri un andamento di alterazione come processualità solo accrescitiva o ascensiva e non circolare. La prima processualità, infatti sembra essere proprio quella unità di misura che l’intelletto fissa a partire da una certa gradualità o valore. Invece il movimento del pensiero è ab intra come tale è la contraddizione tra l’unità astratta dell’Essere puro e l’unità assoluta del Sapere Assoluto o del Puro Sapere della Fenomenologia dello Spirito. Ossia la contraddizione tra Forma e Contenuto. Contraddizione che non è mera riflessione ipotetica soggettivista (alla maniera di Rheinold), né il divenire assoluto di Gentile a fronte di un’attività del pensare a svantaggio dell’Essere Puro e del Puro Pensare cui fa riferimento Hegel. E quindi un Cominciamento che è insieme mediato ed immediato, come vuole Hegel. E quindi non è neppure il “cominciare per sé”, poiché il cominciamento ancora non è. Poiché ciò che “comincia” non è ancora compiutezza con sé o arbitrio. Hegel esclude dunque le ipotesi del Cominciamento per sé e quella del cominciamento arbitrario soggettivo (si pensi al pensiero e all’intuizione soggettivista di Jacobi e Schelling). E d’altronde non è neppure un cominciamento ipotetico alla guisa del Rheinold. E, come sopra, non è neppure un cominciamento per sé o solo mediato o solo immediato, ma è appunto entrambi. A partire dall’unione di Sapere Assoluto o puro pensiero della Fenomenologia dello Spirito, o Puro Essere dell’inizio del Cominciamento. Laddove l’inizio è anche l’Ultimo e questo è anche l’immediato, l’iniziale. E questa è la circolarità. Non è che Hegel abbia voluto preferire la sfera dell’essere rispetto a quella del pensiero nell’unità indistinta e astratta tra sapere assoluto o puro sapere, o sapere puro ed essere puro, o puro essere della Logica dell’Essere. Come se Hegel avesse maturato una scelta versata più sull’essere, in quanto contenuto di filosofia dogmatica o principi metafisici dogmatici o principi realissimi ontologici, piuttosto che quella del pensare soggettivo del metodo. Quindi una scelta contenutistica più che formale. Anche perché nel dire questo ci s’imbatterebbe di nuovo in ua riflessione “arbitraria”, soppesando e paragonando il valore dell’Essere con quello del Pensiero: Inserire o disinserire il Pensare rispetto all’Essere nell’unità indefinibile e indistinta tra Puro Sapere ed Essere Puro. Il Pensiero penetra ma non estrinsecamente bensì ab intra. Il Pensiero Puro indeterminato tanto quanto l’Essere Indeterminato come Puro Essere della Scienza della Logica entra nell’Essere Puro poiché il Pensare Indeterminato è il Pensare il Nulla e quindi significa pensare il Nulla ossia l’Essere Puro. Ecco come entra il Nulla, nella triade Essere-Divenire-Nulla. Il Nulla è già consustanziale al pensiero e all’essere, non perché Diviene (senza chiedersi se in tale divenire sia più “elevato” il momento del movimento come Atto o Pensare rispetto all’Essere o viceversa), ma perché il Pensare è già Nulla in quanto contraddizione astratta o unità astratta. E non c’è passaggio tra Nulla ed Essere, e neppure “salto”: non si dà un der Sprung, poiché non vi è un salto “da” “a”. Ma è una sorta di modificazione endogena consustanziale all’essere che è insieme pensare ed essere. Ed in quanto Nulla: indistinti ed Indeterminati. Allora dov’è la contraddizione di chi afferma ci sia un “reale” passaggio o “salto” dall’Essere al Nulla? Hegel pare contraddirsi. Si innesca una sorta di contraddizione originale di Hegel. Afferma Hegel, che il “cominciamento è sapere puro, unità concreta che ha dentro di sé la differenza”, cioè puro sapere, come risultato del cammino fenomenologico – il luogo cui si fa riferimento è la “Partizione Generale della Logica che è immanente allo sviluppo stesso della Logica” – mentre undici pagine avanti Hegel scrive: “il vero cominciamento è sì Sapere Puro ma in quanto senza differenza”. Ovvero è solo Unità Assoluta Indeterminata e quindi è come se nascesse un contrasto nella stessa definizione di Sapere Puro. Perché si tenta di dare una risposta? Ma non è tanto la risposta di alcuni sulla presunta contraddizione di Hegel sul cominciamento vero: esso è puro sapere, ma è puro sapere così come era tale in quanto esito, esito fenomenologico, o è il puro sapere come unità indeterminata? Ora in realtà tale differenza o apparente contraddizione non c’è in Hegel. Poiché Hegel aveva innanzitutto avvertito di non entificare tramite l’intelletto il momento del pensare da quello dell’essere e soprattutto il cominciamento da un lato mediato e dall’altro immediato. Cioè evitare due “pratiche” assertorie proprie dell’intelletto. E quindi Hegel annuncia che se si continua a vedere intellettualmente il problema del Cominciamento si separerebbero sempre ed unilateralmente da un lato un cominciamento immediato, e dall’altro un coinciamento mediato. Così Hegel afferma che solo nella fusione o relazione di entrambi v’è il vero cominciamento della Logica dell’Essere Puro. La soluzione di Hegel contrasta con tante posizioni dei post-hegeliani e neo-hegeliani, portando un vespaio di polemiche intorno alla tematica del Cominciamento. Hegel non è che predilige da un lato il Pensare o viceversa dall’altro lato l’Essere. Afferma solo che l’Essere Puro, ossia in quanto il vero esito della logica dell’essere, è tuttavia anche pensiero. Il pensiero svanisce nell’essere puro. Ossia la Forma come risultato fenomenologico del sapere puro termina, poiché viene meno l’oggettività: cioè non abbiamo più l’unità dell’essere per sé e dell’essere in sé, cioè soggetto ed oggetto. Ma ciò non corrisponde al vero. Poiché Hegel procedendo afferma che il puro essere è comunque l’unità astratta e indeterminata senza pensiero, ossia senza oggettività mediata. Perché il puro essere per essere puro e vero cominciamento, non deve presupporre altre relazioni o riflessioni estrinseche fuori da sé (di contro infatti Hegel scrive la nota polemica contro le tesi soggettivistiche di Rheinold e contro l’intuizione intellettuale di Jacobi o Fichte) e quindi insito anche il pensare. Quindi il Pensare non sparisce, pur di fronte all’assoluto astratto indeterminato. Non sparisce mai poiché semmai a sparire è l’oggettività mediata. E quindi non è che sparisce il pensare in sé direttamente, ma bensì sparisce mediatamente attraverso un’oggettività non più mediata, rappresentata come unità (in quanto risultato del Sapere Assoluto della Fenomenologia dello Spirito), ma che nell’astrazione dell’unità del pensare dell’essere dell’essere puro sparisce. Ma non svanisce il pensiero direttamente, ma mediatamente tramite l’oggetto. Alcuni ad un certo punto aggiungono che “il puro essere, che è per Hegel assoluta indeterminatezza, è unità astratta di essere e pensiero” con una preminenza dell’essere o di un aspetto oggettivo. Ma ciò non si può dire, poiché altrimenti non presteremmo attenzione al “consiglio” di Hegel: ossia non pensare il cominciamento mediato ed immediato o pensare ed essere in termini intellettualistici. Ma soprattutto se c’è una preminenza dell’oggettività cioè di quel lato contenutistico oggettivo cui Hegel teneva in considerazione (impossibile non pensare a un cominciamento assolutamente inerte e indeterminato pur con un pensiero astratto dell’essere puro), ma come si dice che svanisce quell’oggettività mediata, e quindi svanisce pure il puro sapere di quell’unità di differenza di soggettività ed oggettività (ricco sapere assoluto come risultato della fenomenologia dello spirito), ma se sparisce immediatamente già l’oggettività perché dovrebbe di nuovo Hegel far prevalere un elemento oggettivo come afferma Cingoli: “preminenza dell’essere sull’aspetto del pensare”. Di nuovo un’interpretazione che va a scontrarsi con l’indicazione di Hegel. Il quale afferma di non operare queste distinzioni intellettuali quali separare pensare ed essere, cominciamento mediato ed immediato; svanisce quell’oggettività nell’unità indistinta ed indeterminata dell’essere puro e, quindi, non può essere che di nuovo Hegel ridia importanza ad un livello oggettivistico-contenutistico a scapito di quello formale-soggettivistico dell’idealismo assoluto o inizio arbitrario all’inizio del cominciamento. V’è quindi questa distonia tra la tesi del cingoli e il pensiero Hegeliano. Spaventa, Gentile ed altri diranno che vi è un pensiero pensante che agisce comunque retroattivamente nel cominciamento. E che quindi non si dia predilezione e non prediliga lo stesso Hegel il momento dell’essere puro ma del puro sapere, in quanto essere puro o pensiero pensante. Ma anche questa condizione sarebbe errata poiché si darebbe più importanza al Pensiero pensante rispetto all’Essere. Allo stesso tempo per cui Gentile e Spaventa daranno la stura in termini critici a Trendelenburg, che affermerà che v’è preminenza di esserci, rappresentazione, non di formalismo ma di contenutismo. Trendelenburg a parte la problematica del “resultato calmo” che Hegel sussume dall’esperienza di permanenza e variazione, sicuramente c’è un salto dialettico e non una mediazione dialettica (c’è un der Sprung e non una Aufhebung). Ma sul concetto di rappresentazione, riferita da Trandelenburg nel cominciamento, non parrebbe esserci. Poiché non solo toglie il terreno al Puro Sapere come soggettivo e oggettivo e quindi toglie di colpo la possibilità della preminenza sensibile nel cominciamento e, allo stesso, tempo la possibilità manipolatoria di una soggettività che arbitrariamente parta da una rappresentazione data. Quindi la stessa soggettività potrebbe fare da esca essa stessa a che l’oggettività molteplice del reale entri nel cominciamento. Questo è un pericolo sventato, poiché Hegel stesso afferma che non c’è il Pensiero nel senso idealistico, dice immediatamente che non c’è un oggetto dato molteplice. E pur tuttavia si inizia. Per il problema della quiete: è vero che essa è una rappresentazione sensibile, ma, dato che c’è sempre nella titolarità della struttura dialettica hegeliana in cui tutto è mediazione, non si darebbe collana di perle della mediazione in cui le categorie addivengono l’una dentro l’altra in termini organici, questo è vero. Ma c’è un’eccezione che Hegel conferma. All’inizio della Logica dell’Essere, nel Cominciamento, l’Essere del cominciamento è prospettato da Hegel, in tre momenti. Scrive Hegel: “L’Essere determinato come generale contro Altro, in secondo luogo si vien determinando dentro se stesso, in terzo luogo, in quanto si rigetta questa partizione anticipata, l’Essere è l’astratta indeterminatezza ed immediatezza nella quale essa ha da costituire il Cominciamento”. È peculiare una cosa: di norma Hegel comincia ad affermare la cosa come tale per negarla e riaffermarla nell’Aufhebung, in questo caso invece, innanzitutto l’Essere è determinato contro l’Altro. Questo è un primo esempio in cui non c’è mediazione ma c’è un salto rispetto a quello schema iniziale. Poi abbiamo il salto dall’essere al nulla dal nulla all’essere, attraverso il Divenire. Si afferma che il passaggio dal Nulla all’Essere è già passato. Cioè è un salto. Non è un Divenire dialettico. Non c’è in atto la negazione della negazione. Ma se nell’assolutezza del cominciamento logico dell’Essere puro della Logica dell’Essere, e quindi siamo nella massima astrattezza del Pensiero, occorre per analogia riferirsi ad una sorta di un momento psicologistico, cioè rappresentativo. E pare che Hegel stesso innesti tale elemento per spiegare così come si pensa al Nulla nel pensiero di tutti i giorni, è un Nulla come un pensare indeterminato. Se si prova a pensare il Nulla, afferma Hegel, quando lo si pensa, lo si compulsa come qualcosa di assolutamente indeterminato ed indecifrabile. Ecco: questo stesso passaggio è il transito che compie l’essere nel divenire Nulla, e poi ritornare dal Nulla. E qui c’è quell’istinto primordiale dell’Intelletto, che rimane sottotraccia e che astutamente immette la crux intepretationis per eccellenza, cioè quell’istinto a ricreare l’essere del nulla, procedimento questo stesso non abbastanza “centrifugato” dal Sapere Assoluto o Puro Sapere. Tanto è che in qualche maniera si ripropone alla fine del processo fenomenologico. Il Sapere Assoluto fenomenologico rimane un momento che quello stesso Sapere Assoluto non controlla. E quindi non può dirsi esaustivamente “incondizionato”. Il momento che esso non controlla, è quel momento della negazione dell’Intelletto che si appunta sulla dimensione della proiezione, a seguito della rimozione e spostamento: quello stesso procedimento psicologistico-antropologico che Hegel già decifra a partire dagli Scritti Teologici Giovanili e che rientra sommessamente come errore. Poiché l’Assoluto deve rimediare a questo errore, da qui la concezione della Fenomenologia dello Spirito. Per rimediare al fatto che l’Intelletto come momento dello speculativo, ma rimanendo come una sorta di patria potestà, in una sorta di non luogo, area garantita dall’Assoluto: l’Assoluto ha dentro di Sé l’Intelletto, lo ingloba, ma c’è questa sorta di guarentigia che non permette al Puro Sapere di essere ancora Idea. La spiegazione dello scambio improprio dei termini secondo Cingoli: ed ecco perché poi Hegel scrive la Logica dopo la Fenomenologia. Già lo Spirito è Idea. Ma non può esserlo proprio perché gli rimane fuori la Natura intesa come ciò che è posto dall’Idea Assoluta, come altro da sé, per poi tornare a se stessa nell’autocoscienza. In riferimento alle pp. 56-57, non v’è scambio improprio dei termini, ma volutamente Hegel vuole dire che l’Idea è un concetto della Logica, come lo è in potenza lo Spirito Assoluto. Ma appunto non lo è fino in fondo poiché se così fosse, non riproporrebbe, lo spirito assoluto. Il problema della intellettualizzazione dello stesso spirito assoluto in quanto “produttore” inconscio riproporrebbe il meccanismo psicologistico dello spostamento-rimozione-proiezione, dell’entificazione del nulla dell’essere. Sussite ancora una zona stratificata nello Spirito Assoluto che sarà poi riattivata, nel senso di fluidificata dialetticamente dall’Idea Assoluta. La vera questione semmai è questa: il Sapere Assoluto conosce o non conosce, sa o non sa di avere tale zona grigia? Posto che tale zona grigia l’abbia: ma è cosciente o non è cosciente di questo? Questa è la vera questione… C’è un residuo dunque nel pensiero speculativo ancora Intellettuale. L’Intelletto non è completamente vinto. Ferito a morte dopo il percorso fenomenologico, ma ancora in qualche modo è presente.
POSTILLA: Non è che si presupponga che l’oggetto limiti la coscienza. Qui Hegel afferma che il presupposto non è posto ma è un immediato posto. Non è posto da un’autocoscienza o da un Assoluto che “legge” così il mondo. E neppure è l’Essere che si presenta hic et nunc nella realtà. Dei processi di causazione o legami causali come potrebbe essere un Deus sive natura Spinoziano. Qui il Negativo irrompe sulla scena del mondo nel momento in cui c’è una Coscienza Naturale che come per l’acqua di Talete, ha dinanzi a sé il movente di uno stupore traumatico di dover porre rimedio con la Ragione e poi con tutte le altri armi possibili al Terrore della morte, ossia del Nulla. Il Fondamento originario dell’Essere o di Dio, o delle varie “macchiniche escogitazioni” dell’Intelletto o della Ragione, o della soggettività come Assoluta Autocoscienza, è il NULLA. Ma questo nulla è intercettato in maniera indiretta e colto in maniera induttiva (come per la non esistenza del Buco Nero) dal pensiero di Hegel. Invertendo il principio di Identità in non-identità, pervenendo al mondo rovesciato che non-è. L’ultrasensibile è il sensibile nella verità, la verità del sensibile è quella di apparire, in quanto non-essere-nulla, come la cosa in sé Kantiana. Il mondo ultrasensibile è quindi un quieto regno di leggi aldilà del mondo percepito e di esso calma copia: aggancio col resultato calmo dell’Essere e del Divenire, a dire che ancora è presente l’intelletto che stratifica nella Logica dell’Essere come nel concetto della Forza. Essa è astrazione che riduce in se stessa le differenze di ciò che attrae e di ciò che viene attratto, cioè polo positivo e polo negativo. O come l’elettricità che è, in quanto sua essenza, duplice cioè positiva e negativa. Ora il mondo invertito di Hegel, è il riferimento che è il rimedio al NULLA che genera l’idea dell’Essere. Nel mondo invertito, infatti, si ha lo scambio tra NULLA ed ESSERE come scambio non della verità stessa: cioè dell’IDEA ASSOLUTA. In poche parole il vero non è l’intero del Puro Sapere, unità concreta o Essere Puro come astratta ed indifferente unità, e quindi la verità non è nel passaggio tra NULLA-ESSERE-DIVENIRE, poiché lì lo scambio puro è tale proprio perché il contenuto dei momenti dello scambio resta il medesimo. Poiché qui è in gioco il Concetto, ma come ancora concetto dell’Intelletto: ed è ciò stesso ciò che è l’interno contenutistico dello scambio che è legge stesso che diviene per l’Intelletto. In poche parole siamo di fronte al DIVENIRE non come movimento del vero (negazione della negazione), ma il DIVENIRE come è visto dall’Intelletto. Si hanno due concetti del DIVENIRE: UNO PER L’INTELLETTO e L’ALTRO PER IL CONCETTO. Al momento del cominciamento prevale il DIVENIRE e il passaggio dell’intelletto concettualizzato: che è cioè il DIVENIRE visto dall’Intelletto co-inglobato nel DIVENIRE AUTENTICO del Concetto. Ecco che il concetto si porta appresso il DIVENIRE logico (appunto ed oggettivo) non ancora soggettivo, in quanto IDEA ASSOLUTA del DIVENIRE. Ecco perché c’è questo impaccio del pensare stesso. Che sicuramente ha alle spalle il SAPERE PURO come Risultato della Fenomenologia, ma anche la sterilità astratta dell’inconsistenza dell’Essere puro astratto come residuo dell’azione dell’Intellettto. Esso sperimenta come logiche il divenire delle differenze (ESSRE-NULLA-DIVENIRE) che non sono però tali, e come anche le differnze sian solo tali da non esser differenze e, quindi, da togliersi. V’è l’assenza di pensiero, siamo appunto solo all’alba del pensare, ma questo concetto dell’ASSENZA è la vera NEGAZIONE, ancipite tanto al NULLA quanto all’ESSERE: posti dalla negazione come opposizione che non è opposizione. Se non c’è opposizione, essere e nulla non si danno, e neppure il divenire si da originariamente. Quindi il vero è il NEGATIVO né come pensiero (invero come assenza del pensiero), né come divenire o essere o nulla, in quanto tutti rapporti riferiti a concetti dell’intelletto. V’è così un mondo invertito al primo: se l’essere è nel primo mondo (della logica), nel secondo mondo invertito esso non-è; d’altronde se il NULLA non-è nel primo mondo della logica, nel secondo mondo invertito esso è! Il primo mondo aveva la sua necessaria controcopia nel mondo della logica come per sé il principio dello scambio e del divenire; tale principio nel secondo mondo invertito è un non-divenire, un non-mutare o non-cominciamento. Questo significa che sia l’essere che il nulla sono ineguali a loro stessi, e quindi DIVENGONO, divenendo ineguali. Cioè l’essere divenendo non essere (si veda l’astrazione della prima categoria della Logica di Hegel) oltre a divenire NULLA genera da se stesso il DIVENIRE. La medesima cosa accade all’altro corno: ossia al NULLA, che divenendo ESSERE produce da sé il DIVENIRE. Ma ciò significa che non è un passaggio dall’essere al nulla e che il nulla non è fuori dall’essere per far rimbalzare da sé come sponda il divenire, tornando dal nulla all’essere, quanto piuttosto ineguale uguaglianza in sé ancipite del DIVENIRE nel nulla in quanto essere, ed essere in quanto nulla. È l’illogico, è il non, è la masima trasgressione dei principi logici soggettivi ed oggettivi ad orientare l’essere ed il nulla logici. Se è il NEGATIVO (né come logico o soggettivo) ad orientare l’essere ed il nulla, allora ciò che è Dio nel primo mondo è un non-Dio nel secondo, ciò che è una Sostanza nel primo mondo, non è Sostanza nel secondo etc. Ogni altro è come esso è per sé. La denegazione in quanto pura differenza produce l’ineguale esser puro in quanto eguale dell’ineguale. È il contrario di se stesso, ha immediatamente presente in lui l’Altro: ma questo Altro è il NON! Esso è differenza in se stessa come infinità. Tale differenza non è differenza, poiché è la differenza in sé. Vale a dire si è opposti di se stessi; si ha in sé il proprio altro, e quindi sono unità. Il NEGATIVO è il sangue universale che non viene interrotto né turbato da differenza alcuna: Essere, Nulla, Divenire, Sostanza, Dio, etc., poiché è anzi tutte le differenze, nonché il loro esser-tolto. Esso è Essere senza esserlo, è Divenire senza muoversi, è Sostanza senza apparire, è Logica senza Logica, è Spirito Assoluto senza Sapere puro, è Esser puro senza l’astratto, è il NULLA senza Niente. A questo punto tutti i principi espressi dalla Filosofia, da Talete ad oggi, sono differenze tautologiche. Non sono tali poiché sono senza la DIFFERENZA, poiché la DIFFERENZA è ciò che li ha sviluppati. Se la DIFFERENZA (CHE È IL NULLA) li ha prodotti e la differenza non è, essi provengono dalla differenza che non è. Se così è, questi che si presentano come differenti, cioè aventi la stessa matrice della differenza (che per definizione non-è), essi appunto non-sono differenze ossia non sono. Se ci si rapporta a se stessi come ad un Altro e questo altro è la Differenza, e la differenza non-è, allora la stigmate delle differenze nella storia del pensiero filosofico: cioè Dio, Anima, Mondo, Sostanza, Economico, Uomo, Scienza, Tecnica, è la stigmate del NULLA. È il contrario che fonda l’altro, ma il contrario è l’altro senza che sia. Così non abbiamo più bisogno di ingolfare il pensiero filosofico di certe formulazioni di principi, né di ritenere come insolubili questioni tipo: Perché l’Essere piuttosto che il Nulla? Perché la molteplicità delle cose nel mondo? Qual è il principio del mondo? Etc. Perché, quando ci poniamo tali questioni, le varie differenze prodotte dal pensiero filosofico, non sono già più tali. La differenza è stata già esclusa dall’eguale a se stesso e messagli da parte. Ciò che è uguale a se stesso è già quel che esso non è. È chiaro che neppure sarebbe valida una me-ontologia: poiché quella unità dalla quale si direbbe che il nulla è, e da cui proverrebbe (altra differenza come principio rispetto ad altri prodotti quali Essere, Uno, Sostanza, Dio, Legge, Forza, Caso, Causa etc), non potrebbe che emanare da essa che un’altra differenza da cui non può venir fuori che solo di nuovo il NON. Così come il DIVENIRE, che è l’unità dell’uguaglianza con sé in quanto diseguale e opposto, si toglie come divenire eguale a se stesso, in quanto movimento stesso del togliersi come differenza. Da qui tutti i prodotti dell’INTELLETTO da TALETE ad oggi: il moderno ha solo ampliato le scelte di quei Fondamenti dentro e per conto dello stesso Soggetto in quanto AUTOCOSCIENZA ASSOLUTA. Si tratta di scovare l’astuzia del NEGATIVO E DEL NULLA che s’insinua tra le pieghe dei vari pensatori
Infine nello SCETTICISMO: esso negando assolutamente l’Altro da sé (negazione non tenuta a freno), nega anche se stesso, cioè anche la Coscienza stessa. Lo scetticismo, afferma Hegel, a forza di dire “questo non-è”, nega anche la stessa coscienza che afferma la negazione assoluta. Giungendo ad una Coscienza che sarà un “niente” d’essere, ossia “coscienza che non è”, poiché la coscienza nega indistintamente l’altro da sé. Qui, la negazione dello scettico, è una negazione non tenuta a freno, ma mentre la prima negazione, naturalistica, riferita ad una coscienza più o meno autocosciente, è una negazione spontanea e non presupposta perché c’è, ma perché c’è come non presupposta (così come c’è, ma senza esser presupposto la Differenza in quanto oggetto, principio, o sostanza etc.), partendo dai dati di fatto, la negazione scettica è una elaborazione concettuale. Ma questo può voler dire che la negazione non è solo ad un livello naturalistico, ma anche concettuale: la base antropologica dell’individuo è forgiata dalla negazione: sia in un ambito naturalistico, sia in un ambito spirituale… C’è e vige in modo assoluto la negazione. Chiaramente lo scettico nega non per egoismo, cioè non perché vuole, ma anzi, perché non vuole. Ma anche in questo atto della negazione, atarassica e lontano dall’essere perturbati dalla realtà, dalle emozioni, etc., v’è una sollevazione della negazione come negazione assoluta. Lo scettico nega assolutamente, ma come in tutte le condizioni estreme e capovolgimenti della dialettica hegeliana, avviene il contraccolpo (Umkehrung) o capovolgimento. E così quella stessa coscienza che si riterrà negatrice assoluta della realtà, non farà altro che polarizzare se stessa come assoluta, perché affermando che la realtà non esiste, si dà chiaramente peso a se stesso come assoluto, ma allo stesso tempo anche come non assoluto. Infatti è questo il vero esito della negazione assoluta che sfocia come cattiva negazione o negazione infinita, reiterata all’infinito, ossia la distruzione della propria coscienza. Ma l’esito scettico qual è? È quello di una coscienza che negandosi, poiché nega assolutamente altro fuori da sé, perde fiducia in se stessa. Quindi abbiamo il risultato di una coscienza che si denigra, che si amputa, che si umilia. Smarrendo fiducia in se stessa. Denigrandosi ed umiliandosi, pone la fiducia in un altro essere, al di fuori di sé. Ecco il vero processo, esito della coscienza scettica: questo esito si chiama coscienza infelice. In quanto la coscienza annulla se stessa e colloca tutta la sua fiducia in un essere al di sopra e fuori di sé. Che è Dio. Ma così Dio è l’esito di una negazione, di una mancanza o assenza d’essere. Il paradosso è che Dio nasce ed è fondato dal NULLA. Ma se Dio è l’esito di una negazione, Dio è una negazione. Ed è anch’esso negazione, differenza, Spirito e dialettica. Questo momento corrisponde solitamente al medioevo. L’uomo del medioevo, cerca di superare la divisione, la lontananza che sente tra sé e Dio, attraverso l’ascesi mistica. Egli non può capire perché non ne ha la coscienza che quel Dio che sente così da lontano, non è nient’altro che una sua proiezione (ecco che il cerchio è chiuso: stiamo di nuovo alla Differenza di Freud. Ha negato se stesso, ha rimosso la sua stessa universale capacità di negazione in un altro umiliandosi, proiettando in essa Dio fuori di sé). La coscienza infelice, che per iversì rimarrà tale, è l’esito di quella umiliazione di sé della coscienza scettica, che negando tutto il resto, alla fine non poteva neppure affermare di “essere”…. divenendo così una coscienza che è un niente d’essere. Ma qual è il sottotesto di tale processo? Come una sorta di “dimensione d’ombra”. Essa non è altro che ciò che permette di essere insieme coincidenza di universale e particolare, soggetto ed oggetto, natura e spirito: nel momento in cui la negazione nega l’altro, nega la possibilità a questa coscienza di divenire autocoscienza, cioè divenire unione di natura e spirito. Ma se accade questo, significa che (aldilà delle singole figure Marco Aurelio, Epitteto e coscienza infelice) quello che emerge è che va a proiettare fuori di sé un’universalità, cioè un’identità di universale e particolare e quindi di assoluto, che è il germe stesso dell’autocoscienza, unione di universale e particolare, unione dell’unione e della non-unione (si veda il Frammento di Francoforte del 1800), e, quindi, non afferra se stesso come Universale: cioè come unione dell’unione e della non unione, ma nega-sposta e proietta poi questa Unità di Universale Particolare, in un Dio fuori di sé. Negando assolutamente un altro da sé e, soprattutto, sposando una dimensione partigiana di una propria condizione che è per lo scettico la negazione di tutto ciò che è materiale e sta intorno a sé; per lo stoico è l’indifferenza di tutto ciò che è materiale e che sta intorno a sé. Per la coscienza della percezione era l’oggetto che spariva, poiché essa stimava solo vero ciò che “percepiva”; poi interverrà l’intelletto e la forza per capire che l’oggetto della percezione è sì un nostro punto di vista, ma è anche un punto di vista oggettivo di una dimensione “naturale” e che è inquadrata in un contesto di leggi naturali ed oggettive. Come la matematica, la Fisica, la Chimica etc. (unitamente alle leggi trascendentali dell’Intelletto), ebbene quando si parteggia per un lato e si tenta di separare questo lato dal resto di un Tutto, noi diventiamo particolarità. E sappiamo che ad un certo momento il Negativo come Libertà e cioè come Unione dell’Unione della non-Unione, l’Assoluto come negazione della negazione e come una sorta di fiume carsico, da qualche altra parte deve emergere. Ma perché deve emergere? Perché non può non emergere la negazione. Poiché l’uomo e il reale tutto è l’infinita attività della negazione, che per Hegel è Razionale. Questa inaggirabile consistenza dell’Assoluto, che è il Negativo in atto, o realtà in atto, che nel affermarsi si nega e negandola la si afferma. Ma soprattutto quando essa è intesa coma cattiva negazione, prende e rigetta nella parzialità, pur credendo di stare in buona fede, in quanto unitotalità, ma in realtà non si coglie che si diventa ancora parzialità, perché si nega ciò che ci statuisce come identità con sé e con gli altri, ebbene viene negata, spostata e proiettata in un Altro. Per cui c’è questo contraccolpo e capovolgimento per cui la coscienza, come coscienza assoluta incondizionata del Padrone, ad esempio, diventa Servo. Oppure l’apparente autocoscienza della percezione come autocoscienza del mondo, per cui dietro l’oggetto reale c’è l’uomo, diventa invece parziale, quando scopre che dietro l’oggetto non c’è solo un Noi che percepiamo l’oggetto in un certo modo, ma c’è una legiferazione oggettiva che ab intra (ma neppure stanno così le cose) è presente nell’oggetto stesso. La coscienza infelice viene fuori perché appunto dopo la possibile condizione d’onnipotenza di un soggetto che nega assolutamente la realtà (scetticismo), quindi facendo prevedere un Soggetto monolite, potente, pur nella saggezza dello speculativo, capisce che nel negare tutto ciò che gli sta intorno, questo non fa altro che ridimensionare quello stesso soggetto a Nullità. Allora di nuovo, ciò che è negato deve essere in qualche modo riproposto, spostato e proiettato in un’altra dimensione, poiché appunto il soggetto si accorge che egli non è più Universale se rimane da solo, ma è universale solo se egli è con l’Altro. È Universale solo se egli è riconosciuto potente dall’altro, l’altro viene distrutto tuttavia, e quindi lui non è più potente; per ridivenire di nuovo potente dovrà riprodurre un altro ostacolo, o conflitto, e quindi un altro pseudo-universale fuori di sé Il contraccolpo si attua in questo punto: ossia sta nel fatto che esso non è più unità di universale e particolare, poiché ciò che permette l’espansione ad essere universale ed insieme particolare, gli viene a mancare, lo nega. Ma non tanto in una prima fase, quanto in una seconda fase: quello che di rimbalzo lo rendeva universale e particolare, viene meno, e dunque viene meno anche la possibilità che quella coscienza sia autocoscienza universale ed insieme particolare. Ma a questo punto dato che quel soggetto non può non pensare dal dimettersi da se stesso, reitera così la negazione. Ecco la cattiva infinità, in un processo infinito. Per cui una volta dissolto il nemico e una volta che egli stesso si scorge parziale, non fa altro che ripresentare dinanzi a sé quella stessa dimensione della negazione come inevadibile: ossia come altro da sé universale, come un altro, un altro ancora e così all’infinito, in una perenne negazione reiterata “mai tenuta a freno”, che porterà a degli scompensi quali “nevrastenia della negazione”. E quindi ad un nesso rimozione-spostamento-proiezione indefinito. E quindi reitera questa “negazione”, poiché il soggetto continua a capirsi, ma non lo sa che egli è totalità solo se annienta l’Altro da Sé. Ma dialetticamente in realtà esso si ferma quando capirà che questa condizione non è altro che antitetica rispetto a quella che Egli si sente di essere, ossia Unitotalità. Finché pensa che la propria soggettività è assoluta, poiché nega assolutamente l’Altro da sé, una volta distrutto ciò che avrà davanti a sé, si creerà un altro da distruggere e così via all’infinito. Ecco che il plesso semantico-psicofenomenico Rimozione-Spostamento-Proiezione, continua all’infinito, per la coscienza naturale che rimarrà tale. Si veda qui la Libertà sistemica di Hegel, e non panlogistica: se infatti la coscienza naturale rimane tale è segno che questa possibilità è data dalla eventualità per la quale la Coscienza Infelice è Libera di non “seguire” il Sapere Assoluto, escludendo così ogni traccia di teleologismo. Per l’Autocoscienza che subirà tale scacco (e ciò non potrà non accadere dopo il Riconoscimento, poiché l’Altro da sé non è più l’oggetto che nega senza alcuna conseguenza: per cui si parla di emergentismo e si entra nella antropogenesi dell’individuo sociale, ossia quando la coscienza si trova dinanzi una sorta di duello contro un’altra autocoscienza, dovrà negarla e si accorgerà che va negare, e qui c’è la svolta, non qualcosa (e senza tale processo dell’Anerkung si andrebbe all’infinito nell’andamento rimozione-spostamento-proiezione che non può a sua volta ri-negarlo, ma va a negare un suo se stesso. Ossia va a negare una sorta di sosia o nemesi della negazione, lo stesso spirito che il primo per attuare la negazione e, quindi, va a negare un sé da sé. A questo punto capisce che la negazione assoluta, che il primo aveva da sempre, pensando che la negazione assoluta fosse da sempre il centro della propria personalità come personalità totale divina, in realtà negando un’altra autocoscienza tra pari (non più un soggetto con un oggetto), nega la sua stessa spiritualità e d’altronde la medesima cosa accade per la stessa autocoscienza. A questo punto c’è il contraccolpo, esso avviene grazie al riconoscimento: ossia il Riconoscimento non è solo un salto “emergentista” da uno stadio naturale coscienziale ed inanimato, ad uno animato coscienziale. Nascendo così l’Autocoscienza, la Comunità, la storia in Hegel. Così non è. È importantissimo l’Anerkuung anche per questo; ma soprattutto negli anfratti della dialettica l’autocoscienza, non avendo più un oggetto inerte e naturale, o vivente animale (esempio di cacciagione, o sacrifici zoomorfi etc.), non avviene la vera “manipolazione” e costruzione dell’ambiente (Um-welt), finché non giunge il contraccolpo che è posto veramente in essere quando un uomo è di fronte ad un altro uomo, poiché solo in quest’ultimo caso l’uomo capisce che negando l’altro, nega una parte di sé. E questo non gli permette di essere totale unilateralmente. Solo in questo modo c’è il contraccolpo: ossia c’è la convinzione che egli è parziale, oppure scatta il vero Riconoscimento, laddove comunque emerge che c’è l’elemento eristico-conflittuale. Poiché la negazione della negazione scatta per la prima Autocoscienza verso la seconda e contemporaneamente scatta per la seconda autocoscienza verso la prima. Si ha così una “quadruplicati terminorum”, il cui esito è quello di una scelta per la vita e per la morte. Ma colui che perde affermerà la superiorità dell’altro per avere salva la vita. Il servo riconosce al Padrone che quest’ultimo è superiore. V’è da parte di una tra le due autocoscienze una sorta di dietrofront: il servo non ingaggia più la lotta contro il padrone, riconoscendone la superiorità, avendo paura della morte. Il servo sceglie la vita sottomessa, poiché teme la morte. Mentre il Padrone non teme la morte e quindi non si sottomette all’autocoscienza, che infatti rimane, come altra, servile. Tuttavia non avendo paura della morte, il Padrone è indifferente alla morte. Ma essere indifferente alla morte significa per Hegel tornare ad essere indifferente rispetto alla “negazione” e torna ad essere “parziale”, ossia il padrone sposa così tutte le cose goderecce della vita (gode dei piaceri della vita), non vive veramente l’esperienza della morte (in quanto universalità astratta che non lo rende veramente signore del servo e quindi signore della morte, ossia il padrone rimane padrone solo di se stesso, e non della morte, così come il servo). Questa pseudo non-paura della morte fa sì che il Signore non sposi veramente una dimensione universale, ma rimane solo nella sua particolarità, che consiste solo di godere dei servizi e degli oggetti lavorati, prodotti dallo schiavo per il signore. E quando il servo non sarà più dipendente rispetto al Signore acquistando il lato dell’universalità, ma non più astratta come quella del Signore che diceva di non temere la morte, ma una Universalità veramente storicizzata? Ebbene la raggiunge nella lavorazione dell’oggetto e nel servizio reso al padrone. Lì metterà in atto, il servo, la vera negazione come trasformazione dell’ambiente e dell’oggetto. Con quest’ultime il Servo diviene universale e particolare, ossia diventa quello che era il padrone e solo apparentemente era unione di universale e particolare. L’esito della dialettica Signore-Servo è che svaniscono le differenze tra entrambi, poiché il Signore è tale solo grazie al lavoro e al servizio del Servo, da cui così il Signore dipende. Senza più servo il Signore non è più tale, poiché non potrà più godere dei servigi e del potere che esercita e che esiste solo grazie al servo. D’altro lato il servo diventa come il padrone poiché il servo è tanto necessario al padrone, quanto il padrone stesso. Ed in più il Servo raggiunge quella unità di particolare ed universale anche se in una forma legata ad una struttura esperienziale e povera, ma emerge comunque la condizione di indifferenza. C’è una pariteticità tra le due figure e questa simmetria o indifferenza Signore-Servo prelude alla figura dello Stoicismo. Tutto nasce da una interpolazione sulla “decisione”, o come è tradotta da Moni “risoluzione”. La risoluzione o atto decisionale spinge Hegel ad iniziare il Cominciamento a partire dall’essere come puramente immediato, indistinto ed indeterminato. Poiché prima di allora non si era deciso sull’immediatezza dell’Essere, in quanto esito di un Sapere Puro, sia mediato e sapere puro immediato, e quindi da grande Svevo decide ed inizia. Occorre iniziare senza rimanere sul piolo dell’istante. Ora questo “si deve” comunque “iniziare” sembra una sorta di atto agito all’interno, non del percorso dell’automovimento dialettico come scienza assoluta, ma fuori da esso. Quindi una decisione voluta da una soggettività o comunque una riflessione esterna ed estrinseca. Questo atto decisionale non è fondativamente prodotto dall’auto movimento delle stesse categorie, ma appunto è presupposto da una atto extra-categoriale o meta Logico: che è la “risoluzione”. Per cui da questo momento in poi si inizia dal cominciare e si comincia con l’essere assolutamente immediato. Il cominciamento è un “assoluto per sé”, ebbene questa affermazione di Hegel è interpretata da Manfreda come un qualcosa che è riferito all’assolutezza inaggirabile del fatto che comunque il cominciamento deve partire da una Sapere: tale Sapere è il Sapere per-sé, assoluto, incondizionato di un atto decisorio. “Esso, ossia il cominciamento, si determina solo per ciò che esso deve essere il cominciamento della Logica: ossia il cominciamento di un pensare per sé.” Ossia di un Assoluto andamento di un Pensiero che ha con la stigmate della Riflessione. Ovvero questo “per sé” sta ad indicare la possibilità che s’inneschi comunque un condizionamento che riguarda Essere per sé, come movimento del Pensare. Così questo innesco è un’inevadibile posizione del fatto che comunque si deve pensare l’Essere come immediatamente posto ed assoluto e, quindi ,non si può non decidere su questa presupposizione: cioè sul fatto che è per sé incondizionato inteso come assoluto Spirito del Pensare, si decide di iniziare e di cominciare col cominciamento in quanto Essere immediatamente astratto. Tale interpretazione di Manfreda non collima con ciò che viene dopo. Infatti, il passaggio ci sembra da interpretare in un altro senso: “Non si ha altro dunque ed anche fatto salvo da questo cominciamento anche la risoluzione”, che si può riguardare anche come arbitraria e, quindi, escludendo l’atto decisionale “di volere considerare il pensare come tale”. “Così, il Cominciamento deve essere un cominciamento assoluto, non potendo così presupporre Nulla. Non deve essere mediato da Nulla, né avere alcuna ragion d’essere”, ecco il puro-Essere. Ora dove si potrebbe cogliere in questi luoghi l’intromissione o manomissione di una soggettività che decide dall’esterno di iniziare da un puro essere? Anzi, qui Hegel coglie il momento problematico-aporetico ed afferma appunto “fatto salvo”, ossia escludendo la risoluzione di voler considerare il pensare come tale, non si ha altro di voler considerare il pensare come tale, salvo la risoluzione. Ossia si ha il Cominciamento del Pensare per sé, fuori da questa considerazione, si ha solo un’altra modalità, che è quella della “risoluzione”, ovvero della decisione. La decisione è esclusa dall’assoluto pensare e non inclusa. Non si ha altro, ossia si ha solo l’assoluto incondizionato pensiero. Oltre a questo v’è solo la “risoluzione”. Che si può considerare anche come arbitraria, tale decisione, che vorrebbe dimostrare il Pensare come tale, cioè arbitrario. Questo “salvo la risoluzione”; ammettere ciò nel cominciamento è come presupporre un Fondamento che recida ogni tipo di problema, generando così l’ulteriore problema che il cominciamento non sia un vero cominciamento. Tutte le problematiche all’inizio del cominciamento, verrebbero così sospese, poiché d’impeto si entra con un colpo di teatro nella questione e si decide di iniziare. Tale atto di decisione cancellerebbe di colpo ogni aporia. E ci toglie da quella dimensione irreale “schiuma quantica”, “nebulosa alba del pensare”, prima ancora del pensare l’impensabile. E quindi questo atto ci risolve di colpo, ma estrinsecamente, il problema. Hegel d’altronde nel paragrafo precedente, laddove Hegel scrive: “la semplice immediatezza è essa stessa un’espressione di riflessione e si riferisce alla differenza del mediato”, già pone il tema della riflessione estrinseca. Il fatto che si giunge all’Esser puro, immediato ed indistinto, comunque implica l’intromissione della riflessione e quindi l’origine del discorso, poiché è impensabile che si possa pensare in termini logici qualcosa di impensabile. Così se si pensa qualcosa di immediato, aldilà che si abbia la possibilità di pensare qualcosa di assolutamente immediato ed astratto, tuttavia anche in questo caso si fa riferimento al retrosenso, ad un significato che dà origine all’immediato che è la mediazione. Quindi implicitamente, anche solo in tale contesto, la riflessione entra. In questo senso si avvalorerebbe l’ipotesi di Manfreda, ma “nella sua Vera espressione (e non riflessa), questa semplice immediatezza è quindi il puro essere”. Quindi: non ci sono decisioni estrinseche che tengano, la verità è già nella purezza dell’essere. E per proiettarsi ancora di più nell’assolutezza di un certo tipo di discorso chiaramente a rigore impensabile, come per sapere puro non si ha da intendere altro che il sapere come tale, come l’essere puro, niente più che l’esser puro, senza alcun’altra determinazione e riempimento: ossia decisione extra-logica, riflessione estrinseca o altro. Non interviene null’altro se non quello stesso puro essere, in quanto indeterminato assoluto come esito della mediazione tolta e dell’essere stesso di sapersi come essere del sapere della mediazione o della conoscenza. Non si può non partire da qui: dall’essere puro. Che poi emergeranno dei limiti a pensare l’assoluta indeterminatezza dell’essere, su questo è possibile, poiché a stretto rigore si penserà il non-pensabile, ossia il nulla. Questo accade qualora ci proponessimo di pensare l’essere puro indeterminatamente astratto. Quindi Hegel esclude ciò che si vorrebbe includere con concetto di “risoluzione”. Si potrebbe obiettare che comunque qui Hegel ancora non prenda la decisione di partire. Infatti tale decisione manca, poiché la decisione è tratta dallo stesso puro essere. Ci pare che mancano i presupposti quindi di una Entschluss. Inoltre, Manfreda sbaglia anche quando dice: non è che viene tolto via il Sapere in Assoluto, ma viene tolta la mediazione dell’altro da sé. Poiché non ci stiamo effettivamente riferendo all’esito fenomenologico della ricchezza del sapere assoluto. Poiché si è imparati a pensare che dal Pensare assoluto v’è la categoria del Divenire. In realtà, la cessazione del pensare non è che viene meno – pag. 55 – solo la mediazione dell’altro con sé (poiché si è all’inverso rispetto al Sapere Assoluto, in un’Unità indistinta, dalla quale si parte, in quanto Essere Puro Indistinto ed Indeterminato, non essendo più l’esito fenomenologico), ma la sottigliezza da cogliere riguarda il fatto che viene meno (premesso che l’idea assoluta soggettiva che è insieme oggettiva è la Libertà in astratto, e quindi è lo Spirito, è la Negazione come Negazione allo stato puro), e non avendo più l’altro, non si ha più la mediazione con l’altro e quindi l’unità concreta. Ma se è fondamentale il concetto di Spirito assoluto, Libertà assoluta, che è il Pensare stesso che pensa se stesso in quanto Libertà Assoluta, ma qui il Pensiero cessa ad Essere, in questa condizione: chi dall’esterno potrebbe affermare che dalle prime Categorie del Cominciamento si appaleserebbero soluzioni di qualsiasi tipo, metafisico-soggettivo-epistemologico-teologico-ontologico-fenomenologico-materialistico et al.? Tutte le soluzioni a portata di mano – Trendelenburg, Gentile, Spaventa, Fulda, Bloch, Heidegger, Fink, Kojève, Burbidge, Valentini, Luporini, Croce, Michelstaedter, Sasso, Galvano Della Volpe, Antoni, Fleischmann, Léonard, Severino, Biard, Buvat, Kervegan, Kling, Lacroix, Lecrivain, Slubicki, Fabro, Massolo, Nuzzo, Fineschi, De Ruggiero, Finelli, Manfreda, Vander, Cingoli et al –, sarebbero a stretto rigore insostenibili. Ma quale sarebbe allora la controdeduzione? Forse tornare ai presupposti ontologici, come anche teologici, di un Incondizionato discorso sul Cominciamento? Da dove si deriverebbe allora la dimensione di non-Libertà, non-Pensiero e quindi del non-Spirito? La si deriva dal Divenire del “non”, ossia dal “divenire dell’assenza del pensare”. È il divenire negativo che pone il divenire in quanto pensare. Ossia Hegel giunge all’Essere Puro Indeterminato, poiché esso coincide col non-Sapere. Ossia non scompare solo la Mediazione come mediazione dell’altro (poiché appunto svanisce pure l’altro), ma scompare il Sapere stesso, come afferma Hegel: “il Sapere cessa di essere sapere”, ossia non cessa solo perché non c’è più altro da mediare, ma cessa di pensare. Ciò non significa che scompare anche il Divenire, in quanto Pensiero (anche perché, a stretto rigore, non può essere evocato il Divenire in quanto “isolato”, poiché esso è l’interpolazione del cessare o passare del sapere in quanto nulla e non è ancora tale ,prima che il pensiero cessi. Insomma a stretto rigore il Divenire non germina né dall’essere né dal sapere ma dalla cessazione di questi, e dunque immediatamente dal non-essere e non dal pensiero, direttamente ma induttivamente dal Nulla, poiché questo “cessare” attiva di nuovo il Pensiero, ma in quanto Essere immediato, semplice e puro non è altro che la stessa circolarità come esito del non-pensiero. L’immediatezza dell’essere indeterminato è lo stesso che il puro sapere in quanto divenire che si toglie affermandosi. “L’immediato Essere astratto è tale in quanto Sapere Vero” ossia il Vero Sapere, Assoluto ed Incondizionato, è lo stesso che l’Essere puro Indeterminato. Hegel prende e fa nascere il Divenire non da un’interpretazione psico-dinamica (vedi Trendelenburg), ma fa sorgere il Divenire, dal Non-Divenire stesso. Ossia dalla cessazione del Pensare: ma proprio perché il Sapere da Sapere Assoluto cessa di Pensarsi, poiché si toglie la mediazione stessa (mancando l’altro), esso ripropone il Divenire come appunto Puro Sapere in sé e per sé che è l’essere indeterminato, vero ed astratto. La cessazione del puro sapere non solo serve ad Hegel a giustificare il passaggio dal Sapere Assoluto Puro all’Essere Puro Indeterminato, ma serve anche a giustificare il passaggio del Divenire. Poiché il Divenire come esito Fenomenologico, lo si è ricavato alla fine della Fenomenologia, come esito “ricco” e “concreto” del Sapere Assoluto. Ma dato che all’inizio della Logica Hegel deve giustificare il Pensiero che Pensa, e quindi è il Pensiero che non può allo stesso tempo trarre da sé il Divenire come suo stesso movimento da un “movimento fenomenologico” (ecco il paradosso alla critica di Trendelenburg), così occorre pensare il Sapere Puro, il Divenire Puro e l’Essere Puro (n.d.a.: in questo passaggio cade in errore il buon M. Cingoli quando afferma che v’è una vistosa contraddizione tra le pagine 55 e 66 della Logica dell’Essere – trad. Moni , Laterza –: in realtà Hegel comincia dall’Essere contro un altro non in se stesso. Questo perché in se stesso non c’è l’Essere: non è Essere che si autopone, poiché appena “È” cessa di essere e di sapersi. È questo cessare che ha di contro a Sé e quindi dentro di Sé: ecco perché il primo Movimento dialettico non inizia come gli altri. Poiché togliendosi il Sapere cessa di essere Sapere Assoluto, ossia cessa di Essere Sapere: ma se cessa di Essere Sapere ecco che l’Essere nasce in modo deittico dal “bloccaggio del movimento del Pensiero”, dentro se stesso. Ossia il Pensiero si pensa come toglimento, ma non dapprima fissandosi come non movimento, ma si pensa come cessazione di se stesso: ecco di nuovo un’azione, un divenire che non è potenza o atto del Pensiero (contro gli Attualisti), ma è decrescita e perdita di esso. Da qui il Divenire. Ma in questo modo inizia la Scienza, poiché che cosa può negare in modo assoluto il Sapere Assoluto? Un “non-sapersi Assoluto”, ossia l’Essere Puro Indeterminato. Ma questo si può fare se togliendo l’altro, si toglie la Mediazione e dunque il Pensare stesso. Il toglimento non è estrinseco al Pensare: è il Pensiero stesso che si toglie. Ma questo togliersi non lo si deve pensare come elemento che c’è e poi non c’è: il togliersi è quello stesso andamento del Sapere Assoluto, ma contrario a sé. È il Nulla. Come se il Pensiero e lo stesso Spirito Assoluto (e questo spiega la contraddizione presunta di Hegel) andasse contro (versus) se stesso: questo Versus è il Nulla assoluto stesso. Semmai è da studiare questo cambio di polarità che ci prospetta Hegel a distanza di poche pagine e che ribadisce nella frase: “cessazione d’essere del Sapere”, nelle quali Hegel concepisce circolare il suo sistema perché entra e poi esce (senza momenti o punti distinguibili) dall’Essere al Nulla e dal Nulla all’Essere, in un continuo movimento simultaneo e bipolare-circolare. Neppure la direzione del movimento dialettico è a questo punto “direzionabile” (n.d.a.: in questo passaggio si deve dare ragione al “destino” e non invece al chiliasmo del Divenire della Storia). Non è direzionabile da un centro della stessa circolarità, poiché questo centro è impensabile e indicibile, ossia il Nulla verso la circonferenza del Kreislauf stesso: ecco perché non ci sono punti da cui partire, perché non si può trarre un raggio o una serie di raggi che dal centro toccano i limiti o bordi della circonferenza, né i punti sulla medesima circonferenza, poiché la stessa circonferenza è data dal punto centrale che non è Punto. Se fosse Punto sarebbe presupposto, pensato, individuato, riflesso e perfino. Questo accettare un punto centrale della circonferenza riproporrebbe un atto di decisione-risoluzione, che offre il fianco alle critiche di origine psico-dinamica, esperienziali, fenomenologiche di Trendelenburg: il quale afferma che v’è un residuato soggettivistico ed insieme esperienziale all’inizio della Scienza della Logica per il quale si presuppongono le matrici fondamentali delle stesse categorie logiche. E, quindi, una categoria extra-logica o un movimento meta-logico sarebbe alla base di tutta la logica che è invece Scienza della Logica, ossia unità del Pensare ed Essere. Egli fa riferimento al divenire, questo sgorgherebbe in qualche modo secondo una sorta di un movimento non legittimo che sarebbe indotto da una presupposizione ontica, che non risiede nello stesso auto sviluppo immanente delle categorie, ma sarebbe tratto da fuori. Esso non è inferito dallo stesso movimento delle categorie. Quindi il divenire, come anche altri passaggi, sono presi dall’esterno o esperienza. Hegel mette in campo il suo discorso situato storico-genetico. Inoltre Hegel afferma che l’Esser indeterminato puro nella sua assolutezza è l’esito del toglimento della mediazione con sé, non solo con l’altro da sé, ma in sé e per sé, con la “cessazione di ogni esser sapere”, ossia non solo di mediazione, ma c’è anche una sorta di “punto zero” del Pensiero o Pensare (questo vale anche contro le posizioni di Gentile e Spaventa, che s’interrogano sul ruolo “attualista” del Pensare, che invece pare addirittura “assente”, tanto che essi esalteranno il Divenire, come allo stesso tempo Trendelenburg dirà il contrario: il divenire non come atto primigenio, ma secondario antropogenetico). Allora il Divenire, che per Trendelenburg è una sorta di eziologia fenomenologica, per cui deriva da una condizione psico-dinamica, quindi fuori dallo schema dell’assoluta purezza del Pensare che pensa se stesso, invece non è un atto decisivo di una soggettività che riflette dall’esterno e decide o si decide, ma è qui da Hegel concessa come “Nulla” o “annullantesi”. Questo accade quando si fissano (dimenticandoci del leit-motiv della stessa filosofia hegeliana come critica alle forme “cristallizzate” del pensare intellettuale) determinate categorie quello che si vuole vedere, anche se in modo altissimo. E tanto è vero che quando Hegel indica il Divenire, e si cerca di individuare il Divenire dalla “decisione”, il quale non è interpretabile intellettualmente. Anzi proprio per la logica degli opposti, il Divenire non può non derivarsi che dal non-divenire. E qual è il divenire del non-divenire? Esso è il cessare o venir meno: in quanto cessare di essere sapere. Ossia cessa l’Essere come Essere del Sapere, cessando così anche il Divenire. Ma è questo il motore del tutto astratto. L’automovimento del pensiero come cessazione di sé continua. Negazione della negazione: il cessare dell’essere come sapere è il divenire del nulla o del non essere. Ecco perché l’essere nulla, assolutamente astratto è impensabile: poiché coincidente non solo col non essere dell’essere, ma anche col non essere del divenire. Puro sapere diveniente nulla, togliendo il suo essere di sapersi. Il saperesi si oblia e trova il nulla. Questa è la suprema potenza del negativo. Non trova neppure il non essere, poiché la negazione è talmente potente da strappargli di dosso anche solo il pallido riflesso dell’essere e se non si dà essere, non c’è non-essere, ma v’è il nulla radicale. Ed è talmente vero tale nulla che toglie non direttamente l’essere, ma il non-essere (che è il Divenire) rispetto al suo essere già non-essere: solo il Nulla ha tale potenza di fuoco annichilente. Hegel sostiene infatti che il sapere puro è come concreto – e poi nelle pagine più avanti- puro sapere senza concretezza, ma in quanto unità indistinta –, ebbene se non si capisce che Hegel vuole far intendere che il NULLA è pensabile, anche se come follia ed astrazione, non si spiegherebbero queste due contraddizioni a chiasmo e soprattutto la frase rivelatrice che è appunto: “cessazione di ogni esser sapere. Questo cessare è il Divenire dall’Essere al non-essere del sapere: e quindi dall’Essere al Nulla. È dal mancare e cessare che si ha un altro qualcosa, anche se in modo evanescente ed impensabile, come il Nulla stesso. Tanto impensabile il Nulla quanto l’Essere assolutamente astratto, in quanto coincidente col “puro sapere assolutamente diveniente Nulla”. Talmente negazione assoluta che toglie il suo essere di sapersi. Nel senso appositivo soggettivo ed oggettivo. Il pensiero va a fondo, poiché compare la cessazione del fondersi in questa unità: “il sapere puro ha tolto via ogni relazione ad un altro, in quanto mediazione, quello che non ha in sé alcuna differenza; questo indifferente cessa appunto di essere sapere. Così, a nostro parere, è questo “cessare”, che in quanto movimento, va a costituire il “divenire” ed il divenire in quanto Nulla, ossia Essere indeterminato. È da questa condizione quindi che Hegel fa derivare il Divenire e non invece dall’Entschluss. Se dunque s’interpreta la “risoluzione” come atto extra-logico si avrà non solo la sospensione della stessa “Scienza della Logica”, ma si polarizzerà Hegel vs Hegel: poiché nelle precedenti righe Hegel afferma esattamente il contrario: cioè non si può solo pensare logicamente questa condizione del pensare il Nulla assoluto, ma tuttavia questa riflessione estrinseca la si potrebbe inserire dall’esterno (come un Soggetto che riflette dall’esterno sull’Essere Puro indeterminato), ma questo non sarebbe il vero Essere. Poiché il vero Essere è in sé e per sé, in quanto automovimento nullifico del Divenire, il Sapere e il Pensare sono il Divenire, come Sapere dell’Essere Nulla. Se fondassimo il Cominciamento da una decisione, tutto l’immenso movimento della Negazione (a tutti i livelli) sarebbe generato da una decisione. Il che è impossibile. Bensì il Divenire nasce dal fatto che il Sapere si toglie. Quando s’inizia dalla “Qualità”, già si sarà riferito al conoscere il valore della Negazione, come Automovimento dello Spirito, Libertà assoluta. Ma al principio della Logica questa Libertà assoluta, che non è riferibile ad alcunché, poiché non si “relaziona ad altro” (non avendo la concretezza e la ricchezza in Unità del Sapere Assoluto in quanto resultato della Fenomenologia), non è neppure Sapere. Contro Gentile e Spaventa: il Divenire non è atto originario del Pensare, ma è semmai movimento che nasce come cessazione del Sapere stesso. Si potrebbe obiettare: ma allora il Sapere comunque c’èra prima del Divenire? Certo, ma non come negazione. Infatti la negazione è data da questo “sapere come nulla”, poiché non “conosce nulla”, è irrelato da tutto. Il vero Nulla è il non conoscere Nulla. Neppure il Nulla stesso. Ecco perché il Nulla c’è. Ed è incomunicabile, non perché “non è”, ma perché è la radice stessa del fatto che il sapere non conosce, non si conosce. Quindi si ribadisce che non è il problema della costitutività del NULLA, quanto del fatto che a questo livello il sapere misconosce se stesso e l’altro da sé, e quindi non potrebbe comunicare all’esterno ciò che non è neppure all’interno: il mero nulla è intuibile, poiché non è conoscibile e comunicabile. Ma cosa dice Hegel alla fine della Logica del Concetto in merito all’Idea Assoluta: è come il Nulla. Se provassimo a dire cosa è l’Idea Assoluta (senza l’apporto dell’Intelletto e senza lo stesso schema dialettico) ebbene sarebbe la Verità Assoluta indicibile, non comunicabile, né a stretto rigore comprensibile. Insomma se non si crede alla possibilità dell’Assoluto Nulla iniziale, non si crederà neppure al Concetto Assoluto come Idea Assoluta. Ora sulla circolarità: ogni punto è in sé e gli altri da sé. Tutti eguali, ma divisi ed indistintamente uniti. Ma quello che differenzia veramente la condizione del pensiero circolare è la direzione della circolarità che ci fa ancora presupporre il movimento dialettico in modo orario o anti-orario. Chi può dire che la Negazione deve procedere in modalità ad esempio oraria? Visto che le stesse nozioni di circolarità, verticalità ed orizzontalità non sono più utilizzabili, se non dall’Intelletto, per il Cominciamento che ha come centro un non-punto, o cessazione d’essere e sapere? O chi decide che debba procedere in maniera anti-oraria? Se vale la stessa logica del Punto, per cui è indifferente se si parte da un punto A piuttosto che B, è la stessa cosa per cui si decidesse di partire da destra verso sinistra o viceversa nel pensare la circolarità dialettica? Ebbene qui Hegel, nel Cominciamento, inverte la marcia. Se nella Fenomenologia dello Spirito il percorso è progressivo ed avanzante orario, Hegel inverte la marcia inarrestabile dello Spirito. Il tempo è solo l’Essere là dello Spirito. Non è lo Spirito stesso in quanto nesso di causa ed effetto. Così come il punto di un centro non è causa del cerchio. Il non centro è l’origine di un non-cerchio. Ecco spiegato, ulteriormente, l’inversione di marcia del Sapere Assoluto che è contro l’altro Sapere Assoluto della Fenomenologia, poiché coincide con l’Idea Assoluta, che è un Non-dio prima della Creazione. Ossia violazione dell’invarianza temporale. Nel mondo di atomi e particelle il tempo può scorrere meno velocemente in una direzione o nell’altra. Se, come detto, la cessazione del pensiero è altro dal pensiero stesso, allora il ricco Sapere Assoluto esito della Fenomenologica è assoluto controriferimento a sé. Ma neppure più può essere riferimento a sé, in quanto autonegazione ad essere, poiché la cessazione fa cessare la possibilità che si dia un alterità (anche se di sé). Ecco chiarita la Seconda Contraddizione , anche se interna ed astratta. Così la “cessazione” toglie tutto ciò che è stato pensato e tutto il Pensiero stesso di questo Pensato (esito appunto Fenomenologico), togliendo il medesimo pensare. Ma il de-pensare il Pensiero stesso appartiene infatti non a se stesso, ma al puro nulla. Il Nulla è l’Altro fuori dal Pensare e dall’Essere, poiché è Hegel a ricordarci che l’essere non è dentro sé alcuna consistenza, dal momento che deve scontrarsi dal nulla col Nulla. Il Nulla è già ma non ancora. Il Nulla è il puro principio di determinazione dell’agire etico: “Solo nel Nulla ove non c’è nulla da conoscere coincide il conoscere col non-conoscere” e “esito del toglimento della mediazione con sé, non solo con l’altro da sé, ma in sé e per sé, con la ‘cessazione di ogni esser sapere’”. “Il Cominciamento contiene dunque l’Essere come quello che si allontana dal non-essere o lo toglie via, considerandolo come contrapposto a lui. Questo indifferente, cioè l’essere puro che ha tolto via la stessa mediazione in sé, e all’altro da sé (pensiero non-pensabile), questo indifferente cessa: movimento negativo, ma fondante di Essere Sapere: non si ha l’Essere e neppure l’Essere Sapere. Quell’allontanarsi dal Non-Essere che è il Cominciamento ma che a sua volta è un non-essersi in quanto sapere e non invece un sapersi in quanto essere, poiché si è oltre il puro sapere, che è l’esito per il quale l’Essere è indistinto ed indeterminato, è questo “togliersi” in quanto Cominciamento dal mero Nulla. Così questo allontanamento dal Nulla non è neppure già un “sapere di Essere”, è intanto solo un allontanarsi dal non-essere. Che poi si approdi da questo allontanamento all’essere è fatto secondario. Che l’esito di questo allontanamento è l’approdo all’Essere è fatto secondario. Al cominciamento importa, come fatto primario, che si cominci ad allontanarsi dal non-essere. Verso quale direzione? Questo ancora non interessa. La direzione a stretto rigore non è neppure sotto la spoglia della circolarità Ma dato che poi il Cominciamento è ciò per cui ci si allontana dal Non-Essere (togliendolo via, cessare che questo continui a toglierlo in quanto sottrazione (non-essere), allora sorge la contrapposizione: contrapporre a questo Nulla qualcosa che differisca da esso: ossia l’Essere. L’Essere è l’impensabile stesso in quanto cessazione del Pensiero nel Nulla. Il ritiro o cessazione comunque non è la cessazione del Nulla, ma cessazione con il Nulla. Il cominciamento è dato in quanto è un allontanarsi dal Non-Essere. Non è il Pensiero che si toglie con una decisione dal Nulla, ma è il Nulla che attraverso la cessazione pone un non-Nulla come Essere e Pensiero. L’apertura così dal centro attrattore del Nulla come orizzonte degli eventi è qualcosa di Nuovo, che il Nulla non Essere (in quanto ciò che invia la NOVITÀ non è immobile essendo origine del Nuovo) e la ricchezza degli approdi presso cui ripararsi dopo essere sfuggito dal Nulla, può essere l’Essere, o il Divenire, o l’Acqua di Talete, o Logos, o Dio, Uno, Sostanza, o il Numero, o l’Uomo, o il Nulla stesso. In tal senso lo stesso sistema Hegeliano è aperto. Poiché la sintesi di ogni Principio e Pensiero, avrà sempre in sé le stigmate del Nulla. Essere come il Nulla, che poi è il Nulla: dimensione pre-qualitativa, dimensione che intende il Nulla non come qualcosa di impensato ma qualcosa di impensabile. Non è qualcosa di impensabile (altrimenti sarebbe il “Qualcosa”), ma bensì siamo all’interno dell’impedimento al Pensare qua talis, ecco perché l’idea che intervenga a questo livello un’Enstscheidung a questo livello, arbitraria e presupposta, è un’ipotesi irricevibile. Allora si ha un Essere pre-qualitativo e un Nulla pre-qualitativo nel Cominciamento. Non si da né un Fondamento né un non-Fondamento, poiché non si dà a stretto rigore neppure il pensare. Il nulla è in qualche modo promosso dalla incondizionata impossibilità di poter iniziare qualcosa. Nel senso che al Nulla afferiscono due funzioni: non essere fondamento, ma anche permettere che tutto sia. La necessità del Nulla è l’estrema possibilità che tutto sia possibile in quanto negazione assoluta. E quindi è anche “poter pensare ciò che non è ancora” e, quindi, la possibilità stessa che il Nulla sia ontologicamente e logicamente pensabile. Ma questa possibilità di pensabilità non è ancora l’atto del pensiero, che in quanto tale “mai” penserebbe la radice del Nulla come “possibilità”, poiché esso penserà già presupponendo la scelta “netta” e non possibile, che si possa iniziare presupponendo il punto da cui cominciare. È invero lo stesso nulla che fonda la possibilità del pensare stesso come decisione, poiché il pensiero è la possibilità stessa del Nulla come possibilità infinite, ed il pensiero appunto deriva la sua infinita fluidità come Divenire traendola dal cuore della Negazione assoluta come possibilità indefinitamente possibile. Non c’è una forma di pensiero ancora soggettiva: poiché è prima ancora del Pensare stesso soggettivo, mediazionale, infatti è: “Solo nel Nulla ove non c’è nulla da conoscere, coincide il conoscere col non-conoscere”, in quanto “esito del toglimento della mediazione con sé, non solo con l’altro da sé, ma in sé e per sé, con la “cessazione di ogni esser sapere”. D’altronde l’incondizionata impossibilità di non-pensare è anche incondizionata possibilità di pensare. Ed è da qui che nasce la dimensione pre-qualitativa dell’Essere e del Nulla, e quindi non possiamo non iniziare a partire da qualcosa che è in bilico tra il pensabile e l’impensabile. Ma questa possibilità dell’impossibilità è stigma del Nulla, poiché altrimenti si partirebbe senza esitazioni a “pensare”. Così non avviene. Questo non sapere Nulla, include la possibilità stessa di sapere qualcosa, e quindi un “essere”. L’impensabilità del pensare (e pensare ad iniziare da qualcosa) è il nucleo stesso della possibilità che si pensi qualcosa. A questi livelli si è in un momento in cui “non v’è bisogno per entrare nella filosofia di nessune precedenti preparazioni né di riflessioni, né di addentellati offerte da qualcos’altro”, ecco che Hegel nega l’Entschluss. Negando gli stessi presupposti producibili a-priori dall’Intelletto, poiché manca il Pensiero stesso in quanto: “Solo nel Nulla ove non c’è nulla da conoscere, coincide il conoscere col non-conoscere”, in quanto “esito del toglimento della mediazione con sé, non solo con l’altro da sé, ma in sé e per sé, con la “cessazione di ogni esser sapere”. Il non-Pensare entra poiché cessa il sapere stesso. Il Pensare entra poi in gioco poiché la “cessazione” del Pensare stesso permette il Movimento come caduta del Pensiero come Pensiero in atto. Ossia come un Pensiero del Nulla ed un Niente d’Essere. Ma così il Nulla non è più pensabile come “Astrazione”, o “non-presupposto” o “Decisione”, poiché manca il Sapere stesso che possa giudicarlo come astratto o altro. In realtà a stretto rigore questo Nulla è fuori dalla stessa dialettica Hegeliana. Forse, e questo lo ha probabilmente intuito all’inizio del Cominciamento lo stesso Hegel, forse assistiamo all’oltrepassamento autonomo dello stesso sistema dialettico di Hegel, dell’espressione verbalistica in sé “Nulla”. La grandezza di Hegel è semmai di aver “dialetticamente accolto” il Nulla Puro come plesso originario, e quindi “riconducendolo”, anche se in modo periglioso e rocambolesco (sfidando le leggi stesse della Fisica e della Logica), nell’alveo ed entro le colonne d’ercole della stessa dialettica.