Ruolo della FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO nel sistema hegeliano

Bernardo Sculco

Se è vera l’interpretazione dell’Annotazione del 1831, emerge che il ruolo della Fenomenologia dello Spirito è declassato a momento preparatorio dell’intero Sistema della Scienza, poiché la seconda edizione della Fenomenologia dello Spirito che Hegel avrebbe dovuto scrivere nel 1832 sarebbe stato un “lavoro autonomo dal tutto”. E come si evince dall’Annotazione del 1831, alla prima prefazione del 1812 della Dottrina dell’Essere, Hegel non avrebbe titolato Prima parte del Sistema della Scienza, titolandola invece con l’espressione: Fenomenologia dello Spirito, seconda edizione. Questo a testimoniare che la Fenomenologia era un primo momento di un sistema rispetto a quello di Norimberga ed Heidelberg, ma in quanto propedeutico e preparatorio. La Fenomenologia dello Spirito viene assorbita poi nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche, ossia nei lavori preparatori delle tre posizioni del pensiero rispetto all’oggettività. La Fenomenologia assume sempre più un valore “preliminare”, tale da introdurre la Piccola Logica prima ancora dell’inizio della Logica e della Filosofia Reale (Natura e Spirito). Ora se così stanno le cose, l’Assoluto raggiunto nella Fenomenologia dello Spirito assume un valore, nella sua parte conclusiva, di Sapere Assoluto, un senso di non perfetta trasparenza con sé. Ossia di una verità non ancora esaustivamente esposta come Scienza del Vero. E quindi il Sapere Assoluto, nella Fenomenologia dello Spirito, è una sorta di Assoluto preliminare. Ecco che allora si deve ricominciare da un’oggettività che la Scienza del Vero, in quanto Sapere Assoluto nella Fenomenologia dello Spirito, non può non riproporre dinanzi a sé come altro da sé, in una incongrua applicazione di questa preliminarietà dubitante ed ipotetica dell’ Assoluto, nel di nuovo riattivare quel percorso processuale di tipo psico-pratico-dinamico che sta nella rimozione-spostamento-proiezione di se stesso come unità di universale, particolare (trattandosi dell’Autocoscienza Assoluta nel Sapere Assoluto fenomenologico) e, quindi, della conseguente reificazione della Negazione assoluta del puro nulla: l’esito della categoria del Qualcosa assunto dal Nulla come qualcosa di ontico. Ma non accade questo perché il Nulla, nella Scienza della Logica, non è relato ad alcunchè di determinato (e dunque il puro nulla come negazione assoluta, inininterrotta ed ineusasta attività del negare che nega se stesso, come negazione assoluta ed autorepulsiva non può che non affondare se stessa come negazione negante e, quindi, porsi come qualcosa che non è pur essendo), per cui questa onotologizzazione regressiva ed illegittima semplicemente del Nulla partecipato, come valore semantico-apofantico-logico-predicativo con valore ontologico e reale, non perché non sia relato ad alcunchè il nulla e neppure perché vi sia la polemica sull’aporeticità di un Etwas anticipato rispetto ad un Dasein, nel passagio Essere-Nulla-Divenire, ma perché la Coscienza ha reificato, dopo aver avuto un problema di un Assoluto come preliminare, ed essendo essa stessa Autocoscienza Assoluta nella preliminarietà della Fenomenologia dello Spirito, rimette in discussione e riparte, come una sorta di coscienza naturale, ma appunto assoluta nell’asimmetria di una soggettività e di una oggettività. È chiaro altresì che sul piano del Pensiero Puro categoriale, in quanto puro pensiero logico-ontologico-sistematico, anche il Nulla è sistematizzato come assoluto valore dissolutivo (irrelato ad alcunché), in quanto si è nell’ambito dell’Idea Assoluta. La circolarità dell’Autocoscienza, nella Fenomenologia dello Spirito rispetto alla Scienza della Logica, termina poiché la Negazione che nella Fenomenologia dello Spirito è riferita a figure determinate sia in termini soggettivi che oggettivi, ora esplica una funzione dinamica ma con una valenza autoriflessiva: poiché la Negazione non ha altri punti di riferimento se non la sua stessa autoriflessività. E quindi il processo (ecco la torsione di Hegel da circolare orizzontale a circolare verticale) di un soggetto che non pensa più l’altro come riferimento determinato a sé, ma pensa l’altro come riferimento determinante a se stesso, in quanto pensa il pensiero pensante e non più il pensiero pensato; come se il pensiero non debba più solamente pensare ad una logica cui si riferisca immediatamente un contenuto. Hegel critica tale atteggiamento del pensiero, poiché è da qui che si svilupperanno le aporie di una logica formale o trascendentale. Anche se quest’ultima inaugura poi la possibilità altra del pensiero come pensiero pensante e che pensando se stesso, non pensa solo un pensiero determinato. Il pensiero pensante è assoluto, in quanto idealismo esso è produttore dell’attività stessa del pensare. Da qui l’esito metafisico del soggetto che è descritto come produttore del tutto. Accade ora che il pensiero pensante possa figurarsi come avvitamento di un pensare inconcludente: l’autocoscienza è legittimata a cogliere l’essenza del pensiero come produzione autofondativa e autoconclusiva di se stessa e del mondo, poiché il pensiero pensantesi riporta la dimensione di una scienza della logica-ontologica e quindi metafisica. La condizione da cui nasce un esito autoriflessivo è quella di un avvitamento del pensiero su se stesso in una dimensione verticalista, con la regressiva ed indebita ontologizzazione della categoria del puro nulla e, quindi, con la reificazione del linguaggio. La logica come autofondantesi tende a cogliere la verità dell’essenzialità pensante come essenza della verità. Cogliere l’essenza del pensiero, significa cogliere la modalità di una Scienza della Logica che connetta il pensare e l’essere il cui intento è quello di pensare la Totalità, poiché non v’è Logica senza categorie logiche che surrettiziamente siano subordinate dalla Sostanza e cioè dall’Essere. Da qui la Logica, in quanto metafisica e scienza della logica, intesa come sistematizzazione del Vero e cioè mediante l’unità di pensare ed essere, che solo un’autocoscienza che pensa come pensiero pensante riesce ad avviare. Ma questo porta ad una riflessività che in modo illegittimo e regressivo entificherebbe il linguaggio. E quindi la categoria del puro Nulla diventa un Nulla che è. Il punto più alto di questa torsione hegeliana, nella Logica dell’Essere, è l’operazone di reificazione alla negazione assoluta che è rispetto alla Fenomenologia, in quanto tragitto pratico-esperienziale a filtraggio dinamico e riferito a figure determinate, è qui invece irrelata da alcunchè di determinato concepita quale attività che nega incondizionatamente: poiché è la negazione pura come negazione assolutamente intenta a negare e, negando indissolubilmente, nega anche la sua stessa condizione di non essere finendosi col porsi. Negando incondizionatamente, non solo nega ogni cosa o termine che voglia limitarla, ma anche soprattutto autoriflessivamente se stessa. Quindi l’espressione linguistica “non-essere”, cessando di avere un normale significato relativo a contesti logico-predicativi e semantico-specifici, assume il senso e lo spessore ontologico di un Assoluto Nulla concepito come pura attività il cui Essere è costituito dal suo illimitato negare, che non può non negare per la sua illimitata incondizionatezza anche il proprio negare. Qui, invece, l’Essere della negazione assoluta viene prodotto dalla stessa coazione a ripetersi ed autoriferirsi come pensiero pensante, che reifica in modo indebito la struttura stessa del puro Nulla, che diventa “qualcosa”. Tuttavia Hegel, nella seconda Prefazione del 1831 della seconda edizione della Dottrina dell’essere,pensa ad Aristotele: nel senso che, quando Aristotele stila i 12 giudizi logici, sostiene che tali categorie logiche non possono non essere subordinate ed intramate dalla stessa prima universale categoria, cioè la Sostanza ovvero Essere. Cosicché quando il pensiero pensa, esso pensa già l’Essere. Quindi non è che Hegel reifichi, egli stesso, qualcosa al di fuori di un discorso razionale, ma egli entifica nella dialettica e sviluppa (passando per il movimento della Relazione-Negazione-Opposizione e Contraddizione non più riferito, tale movimento, a contenuti determinati, ma riferito a se stesso come autoriflessività) l’indebita ossificazione del puro nulla. In realtà tale ontologizzazione è nelle cose del Sistema della Scienza. Poiché la premessa è quella di un Pensiero non che pensi gli oggetti, ma che pensi se stesso come oggetto e come pensiero che È: questo suo Essere è l’Essere nella sua totalità e non nel senso di determinazioni finite e molteplici, come sul piano Fenomenologico. Questa dimensione Hegel la giustifica nella Prefazione alla seconda edizione del 1831 alla Dottrina dell’Essere, quindi non c’è un’improvvida anticipazione della categoria dell’Etwas come anticipazione del Dasein del capitolo secondo. Hegel non può introdurre una categoria che non sia prima già stata sviluppata, poiché porterebbe al collasso il sitema dialettico. È impossibile che l’andamento dello Spirito preveda un’intromissione di una categoria non ancora autosviluppatasi. Ora Cieswosky, nella sua trattazione titolata Storiosofia della Filosofia, afferma che la categoria del futuro non esiste presso Hegel, in quanto determinazione all’azione, alla trasformazione e all’atto. Mentre solo la filosofia post-hegeliana sarà quella dell’azione, portando a quattro le distinzioni nell’ambito della storia della storiografia filosofica, quindi, la filosofia della storia di Hegel e le epoche storiche, identificando nella Volontà la categoria dell’Atto o dell’azione. Questo per dare più “carne” al Soggetto e all’Autocoscienza hegeliana, per renderla meno astratta. Avrebbe ragione Hegel a immettere il futuro nella dialettica, ma così non è. Cieskosky e i giovani hegeliani in genere, non avrebbero posto tale problema se avessero interpretato il passaggio della Scienza della Logica di Hegel come una sorta di ritorno dal futuro: ritorna dal futuro la categoria dell’etwas che Hegel anticiperebbe. Lo stesso Trendeleburg, nelle Ricerche Logiche (1840, opera dedicata alla Scienza della Logica di Hegel), sosterrebbe che Hegel anticipi lo stesso Divenire o passare, mutuandolo dall’esperienza empirica della coscienza. Ma se così fosse la stessa critica a valenza metafisica-astratta delle categorie, si capovolgerebbe in “qualcosa di empirico invece c’è” nella Logica hegeliana. Non si può parlare di indebita reificazione da un lato, poiché essa è già contenuta nel manifesto stesso della Logica hegeliana. Se, invece, si parla di ontologia hegeliana, è da riferire al fatto che la tradizione aristotelica giustifica la consistenza ontologica delle categorie logiche. Ma se non si volesse tenere conto di ciò che precede estrinsecamente il Sistema hegeliano, l’Etwas non sarebbe comunque anticipato, ma sarebbe solo l’esito scettico dell’autocoscienza assoluta, che alla fine del sapere assoluto rimette in discussione se stesso come unità d’identità di universale e particolare. Ricominciando come una sorta di coscienza naturale a reinvestire, attraverso un campo tensionale di carico-scarico, la dimensione di una relazione psico-dinamica sotto la condizione assoluta (verticistica e verticale) tra sé e l’altro di sé, poiché ricomincia a riproporre quello schema tra rimozione-spostamento-proiezione che è di tipo psico-dinamica, ma ad un livello astratto-apofantico-predicativo e, quindi, verticale-circolare. Questo puro nulla, concepito come pura attività, mantiene come Essere non l’essere, poiché non si dirige al divenire qualcosa, ma solo a divenire. Non si può, infatti, affermare che il Nulla diventa Essere, ovvero che il Nulla venga ad essere ontologizzato. Semmai il Nulla viene ad essere attivato o attività pura, il cui essere è l’illimitato negare. Se il centro del pensiero pensante è il centro del pensare l’essere, non più nella dimensione statico-contemplativa-analitica (Aristotele, per il quale pensando le categorie si arriva a pensare ciò da cui le categorie provengono, ossia l’Essere), ma si pensa in primo luogo la dimensione dinamico-prassistica del pensare nella legittima condizione di interpretare il pensiero come Atto o Azione e non come Essere conoscitivo, ma in un senso trasformativo del pensiero che pensa se stesso, ossia attuativa. Ebbene il pensiero assume il senso di una circolarità in atto (logico-pratica o realtà in atto), l’Essere del puro Nulla è il fatto che esso sia pura attività e non già il fatto che esso sia Essere. Ma questa pura attività che è costituita dall’illimitato negare e che nega necessariamente ed assolutamente, deriva dalla “Logica stessa della Negazione” ad essa intrinseca e non attribuita all’essere. Nel senso che la negazione è non perché è, ma perché nega e quindi è. Ossia aldilà delle limitazioni nei giudizi negativi (differenza, contrarietà, negazione reale, ripugnanza reale positiva o contraddizione), si ha che il negativo nega assolutamente aldilà del valore del giudizio, ad esempio la mela non è rossa. Ossia, anche in una dimensione di un giudizio singolare dell’esperienza (la mela non è rossa) con un riferimento logico-predicativo-semantico ad un contenuto o contesto fenomenologico, “la mela non è rossa”, la condizione di un’apertura totale, tramite un elemento di giudizio empirico-singolare, a tutta la potenza illimitata infinita del negare. Nell’esempio “la mela non è rossa” v’è l’incondizionato Universale ed infinito atto del negare. Affermando che la mela non è rossa, si afferma che quel “non” è sempre attivante di tutta l’immane potenza del negativo. Da qui la negazione assoluta è sempre presente e non essendo, così, un’indebita ontologizzazione. Perché è presente in ogni singolo giudizio negativo. La negazione, anche se determinata, apre le porte all’infinito atto della negazione. Ecco l’infinito nel finito: la negazione che è finita, in quanto infinita. Da qui l’Unità degli opposti. Quando questo accade a livello noetico e non sul piano fenomenologico-apofantico, si ha la stessa condizione. Ma mentre a livello processuale dinamico psico-fenomenico si ha un contenuto determinato da cui partire, nel contenuto astratto l’Essere è dato dalle stesse categorie e, queste, aprono con la negazione all’infinito e all’unita di Pensare ed Essere. L’Essere o essenza del pensiero e, quindi dello Spirito, è il NEGATIVO. Nella Logica, la negazione non è negazione pura per il fatto che non è relata ad altro (vs Finelli-Parricidio mancato-Hegel introduzione), poiché se la negazione pura dipendesse dal fatto che essa è tale poiché non è riferita ad altro, si direbbe che tutto lo spirito e tutta la dialettica in quanto automovimento della negazione della negazione è pura, poiché senza Essere (facendo scomparire di colpo la Logica dell’Essere che non sarebbe a questo punto) si direbbe che non dipenda da alcunché di determinato. E se così fosse, non si avrebbe neppure la critica di Trendelemburg all’Etwas e al Dasein anticipato e presupposto da Hegel, poiché ancora la negazione pura nega a partire da se stessa e non a partire dall’altro e la negazione della negazione è la stessa negazione pura. Inoltre, avremmo che la monotriade categoriale Essere-Divenire-Nulla non può fondare il Nulla, poiché il Nulla è già negazione della negazione autofondantesi e non già fondato per difetto: ossia il Nulla che è non è fondato dal fatto che esso non ha alcunché di determinato per riferirsi e quindi è astratto nulla, oppure perché il puro nulla sia fondato dalla negazione della negazione, o perché il puro nulla è fondamento della negazione della negazione. In realtà negazione della negazione, negativo del negativo, puro nulla o assoluto nulla sono autofondantesi, in quanto sono l’essenza o l’essere dello Spirituale. Si scrive che Hegel debba poter assegnare differenze ed autonomia al Nulla difronte all’essere. Onde poter concepire il nascere ed il perire del Divenire come passaggio dal Nulla all’Essere e dall’Essere al Nulla. E quindi è costretto Hegel a citare la categoria del Qualcosa, la quale in quell’ambito iniziale dell’argomentare logico di Hegel non può essere ancora introdotta, se non concettualizzata dal Nostro solo a partire dal capitolo secondo dedicato al Dasein (Mario Cingoli). Ma in realtà, Hegel non deve assegnare differenze ed autonomia al Nulla, poiché il Nulla è esso stesso autofondazione in quanto negazione della negazione; difronte all’Essere, il fronte dell’essere non è il Nulla ma è il Pensiero in quanto nulla. Ecco perché, scrive Hegel nella partizione generale dell’essere sortendo meraviglia, afferma che l’Essere è anzitutto determinato non in sé o in quanto tale, bensì contro altro. Tale affermazione deve essere letta come ciò per cui l’essere è in realtà in sé il suo opposto, ossia è Nulla. Se così è, allora il Nulla è il fondamento dell’Essere. Al nulla si riconosce già in sé la propria auto-funzione di negazione rispetto al fatto che nient’altro può fondare i Nulla e determinare l’essere del nulla. L’essere non è difronte al Nulla, per poi permettere il passaggio al divenire e quindi dal nulla all’essere e dall’essere al nulla. Ma non è quindi l’ontologizzazione del nulla a partire dall’essere: questo spiega il fatto che l’essere non fonda il nulla. Ma l’essere del nulla non è l’essere dell’essere, ma è l’essere dello spirito che è attività negante, ossia negazione della negazione: ma da ciò esso è pura attività in quanto essenza o essere del nulla. Quindi non si ha il bisogno di prendere l’essere dall’esterno per caricare il nulla di un significato, perché altrimenti il nulla sarebbe fondato dall’essere. Ma se così fosse si otterrebbe un presupposto rispetto alla negazione della negazione. Ossia di nuovo, la negazione della negazione sarebbe fondata da un Essere. La Negazione della Negazione, cioè il puro Nulla, è autofondato dalla sua stessa attività, in quanto l’attività del puro negare è l’Essere o l’Essenza dello Spirituale, in quanto negazione della negazione. L’essere è già quindi differente ed autonomo. Poiché è autonomo dal Nulla, poiché l’Essere non è l’Essere del Nulla, ma è appunto l’Essere incongruamente posto come Aristotele aveva dichiarato, ossia alla base delle categorie Logiche c’è l’Essere o Sostanza. Hegel non fa altro che riprendere tale dimensione del pensare dell’Essere. Se il Nulla avesse bisogno di una carica positiva non la prenderebbe dall’esterno o da un etwas che ancora non c’è, ma la prende, in quanto essere del nulla, da se stesso, come verità del Nulla. Ecco che la differenza e l’autonomia dell’essere di contro al nulla è posta dallo stesso intercalare dell’essere e non dalla necessità di dovere ontologizzare il Nulla. Il passaggio di Trendelemburg non è ancipite nel fatto che si possa concepire autonomia al Nulla difronte all’Essere attraverso un’indebita sostanzializzazione del Nulla, ma semmai, è il contrario. Attraverso la sostanzializzazione dell’Essere come momento estrinseco rispetto all’attività intesa come Essere-Essenza del Nulla, ad autoprodursi come Essere, che infatti deriverà dal Nulla e non perché il Nulla si porrà come Essere rispetto ad un altro Essere. Altrimenti si avranno due “Essere”: poiché si scoprirà come Essere, non come verità ed essenza dello spirito (Essere o Essenza dello Spirito è la negazione della negazione in quanto Essere insieme Nulla, ma in quanto altro dall’essere del nulla). E quindi si produce intellettualmente e in modo incongruo, la possibilità di un essere e di una Sostanza estrinseca dalla stessa Sostanza in quanto essenza del Nulla o Essere del nulla in quanto attività, ma appunto come ulteriore essere reificato in modo indebito dalla soggettività assoluta o autocoscienza assoluta della Fenomenologia dello Spirito. Il “passare” non è un transito esperienziale, ma è il fluire dello Spirito, che in modo indeterminato fa passare il divenire come passaggio dal nulla all’essere e, da questo, al nulla. La categoria del qualcosa quindi non è anticipata in Hegel, ma è lo stesso scorrimento reificatorio dell’autocoscienza assoluta come esito della Fenomenologia dello Spirito. Esso vede qualcosa, poiché se medesimo attiva quella dimensione intellettuale non volta alla scissione, ma questa volta all’unità attivata dalla sua stessa universalità e quindi unità di universale e particolare. Sulla questione per la quale, secondo alcuni, non si riuscirebbe a dare fondazione al “puro nulla”: si ricorda qui che il “puro nulla” non può essere fondato, poiché altrimenti sarebbe fondato l’intero Spirito. E quindi il Concetto non sarebbe il Vero o l’Assoluto. Il puro nulla è in quella dimensione autoriflessiva sicuramente metafisica, la dimensione di un pensiero pensante in quanto negazione. Quindi si può dire che il pensiero che pensa se stesso, diventa il negativo che nega se stesso. Il pensiero pensante in Aristotele che pensa astrattamente, è il negativo che nega in Hegel. A differenza di Aristotele il negativo che nega in Hegel è negazione della contraddizione e quindi positività, poiché il determinato è prodotto dallo stesso concetto. Il determinato è originario ed organicamente originario dello stesso Concetto. Quindi è vita e Spirito. Aristotele invece teneva fuori attraverso una riflessione formale. Si afferma che: “soprattutto non si costituisce l’ambito di una concepibilità di una negazione che prima che esclusione dell’altro, sia negazione volta verso se stessa, quale ha da essere la negazione della negazione. Quale alterazione costante ed autoriflessa di ogni presunta identità”. Ossia sembrerebbe esserci un’ulteriore aporeticità. Se la negazione della negazione è la verità della dialettica o Spirito e, quindi, la verità in quanto negazione che nega assolutamente, in quanto l’essere o l’essenza del negativo è il fatto che nega assolutamente, come mai prima, nella Fenomenologia dello Spirito, si aveva una negazione che prima di negare se stessa, negava prima il determinato o altro da sé? Senza capire che il meccanismo non cambia: la negazione della negazione è sempre in atto anche in termini fenomenologici. Semplicemente la rappresentazione di una coscienza naturale e di una autocoscienza reale fa in modo, per quella ineliminabile alterità che è la realtà stessa, se si è su di un piano psico-dinamico, l’altro è già immediatamente quel negativo per cui si può dire che l’essenza della negazione della negazione, non è la negazione pensante come negazione assoluta, ma è l’altro che detiene la possibilità di attivare la negazione della negazione. Ma di nuovo allora la negazione della negazione sarebbe fondata dall’altro e quindi non sarebbe autofondativa? In realtà è autofondativa mediante la negazione dell’altro, in quanto figura determinata nella fenomenologia dello spirito. Ma questo non esclude il fatto che il motore della negazione della negazione viene prima del “mosso”, cioè dell’altro negato e che quindi la struttura della logica, una volta tolta l’oggettivo dinanzi al soggetto, esca in tutta la sua grandezza e purezza. Ma dall’altro lato nella fenomenologia dello spirito, lo spirito riconosceva l’altro, non in quanto fosse un alcunché, ma perché riconosceva nella dinamica dell’altro quello stesso movimento della negazione, che negava come essa stessa negava l’altro. Quindi si fa sempre riferimento alla negazione assoluta: che poi tale negazione assoluta sia contenuta in una dimensione “fisico” o sovraindividuale (extra-fisico) è, appunto, nella considerazione che la negazione della negazione è assoluta. Cioè è lo stesso Spirito assoluto, così attraversa tutte le dimensioni del reale. L’essere o l’essenza della negazione (negativo del negativo) è la negazione stessa, in quanto attivante. Quindi non ha bisogno di cercarsi un essere per porsi in modo positivo, da cui poi partirebbe la dialettica. Cioè se non diamo un esito positivo al nulla, non partirebbe la dimensione del passaggio dal nascere al perire; e cioè la vita stessa in quanto spirito: ma se così fosse il puro nulla non avrebbe come essere la negazione della negazione. Quindi ce l’ha da sé l’essere: poiché la negazione della negazione è l’essere o essenza dello spirituale, in modo astratto, ma lo è. La negazione della negazione, d’altronde, sul piano fenomenologico, è negazione dell’altro come altro da sé, poiché riconosce un duplice essere: l’essere del negativo che nega in quanto essenza. Ed è quello stesso che è autofondativo del nulla come “assoluto nulla” nella Logica dell’Essere. E l’Essere dell’altro. È chiaro che la negazione della negazione, essendo il vero essere e non quello estrinseco dell’altro da cui non può essere fondato, nega quell’essere. Quindi come si fa a dire che il nulla prende dall’esterno il proprio Etwas e derivarlo da un Etwas come altro? È come se la negazione della negazione, sul piano fenomenologioco di una coscienza, prenda dalla Sinnliche Gewisseneit, vero quel certo o certezza sensibile. Che sarebbe l’essere. Infatti, la coscienza naturale all’inizio farà così, ma subito si vedrà che nell’oggetto della percezione questa cosa sarà negata. Fino a che, nell’intelletto, la condizione di un oggetto è data o predisposta dal soggetto stesso. Se se ne accorge una coscienza naturale, come fa a non accorgersene lo spirito assoluto? E quindi l’essere in quanto essere che è il negativo. Si è detto già che se il pensiero in Aristotele è il pensiero che pensa se stesso, a questo fa riferimento la negazione che nega se stessa. Ma quest’ultima in Hegel, rispetto al pensiero pensante in Aristotele, che è lo stesso, vi è il dato positivo che è incluso in quanto negazione della contraddizione, mentre in Aristotele non v’è. L’essere già è inclusivo del nulla. Quindi può dirsi assoluto il nulla come l’essere assoluto. E l’altro essere che ha dinanzi è il secondo essere del nulla, come l’altro era tale della negazione della coscienza negatrice naturale. Quindi non è che bisogna positivizzare estrinsecamente il nulla per dargli una posizione ontologica, poiché la posizione ontologica del nulla è presso se stessa, siccome l’essere del nulla è il suo stesso negare in quanto attività, ed in quanto attività è anche “divenire”. Infatti trapassa nell’essere. Ma questo essere, richiama il secondo essere, quello difronte al nulla, poiché il vero essere è il cuore stesso del nulla. Il secondo essere o non vero è prodotto dall’intelletto incongruamente. Poiché il pensiero non sentendosi assoluto (in quanto ancora in parte rappresentativo come da esito della fenomenologia dello spirito) non può non riprodurre e reificare fuori di sé quella stessa unità o universalità che ha già presso se stessa, ma che non vede ancora esposta compiutamente e che quindi ri-sostanzializza con un essere fuori dal nulla e, quindi, di nuovo con un essere che pare fuori dal nulla medesimo. C’è questa sorta di dissociazione con sé dell’autocoscienza assoluta che dissocia il vero essere del nulla dal nulla dandogli una positività estrinseca (colpa della dissociazione mentale dell’autocoscienza e non dell’anticipazione nel sistema dialettico dell’Etwas. Ed il secondo Essere, che è quello opposto da sé, è quel nulla che comunque vedendosi come totalità con sé, ma in modo indebito: cioè nulla più essere produce un altro essere. Diciamo che il primo essere del nulla, è l’essere del nulla per-noi. Cioè per come non si deve pensare il nulla come aggiunta di essere, ma che nulla sia l’essere in sé per sé. E il secondo essere, quello altro del nulla, non è che il risultato della cosificazione proiettata. Quindi diciamo che il primo Essere del Nulla, in termini di Etwas, è la rimozione dell’autocoscienza assoluta del Nulla alla quale va aggiunta una positività: quella dell’essere e che Trendelemburg aveva creduto invece essere stata anticipata, non vedendo che è invece l’essere proprio del nulla. Questa è la prima ontologizzazione o rimozione della coscienza (sulla oggettivizzazione originaria stessa dell’essere nel nulla). Questa rimozione del nulla, in quanto negazione della negazione, prioetta anche questo essere, non solo dentro di sé come ontologizzazione indebita, ma anche come proiezione fuori si sé (ecco il secondo essere). Quindi nella monotriade si ha una dimensione dualistica dell’Essere, prodotta indebitamente da un’autocoscienza assoluta in quanto negazione della negazione, che è il puro nulla. Quindi si ha non una triade ma una quadruplice categorialità o logica quadrivalente: un Nulla, un primo Essere, un secondo essere e un divenire. Quest’ultimo si ricollega all’essenza del nulla o essere del nulla, in quanto “vero” essere del nulla. Poiché l’essere del nulla è attività assoluta, esso è sempre effrazione di se stesso: è il non-essere come vuotezza d’essere, autorepulsione assoluta. Quindi il non-essere di Hegel diventa il non-essere interdetto di Parmenide. Ossia neppure poteva essere pronunciato il non-essere, ma ripreso in tutta la sua valenza di termine linguistico ed ipostatizzato arbitrariamente a realtà, non solo in termini analitici, ma anche dinamitricizzato attraverso la concezione fichtiana dello Spirito come atto che toglie e nega ogni limite a sé presupposto. Senza ricordarsi che l’essere o essenza del negativo è attuazione della negazione e non perché sia atto in quanto azione determinata da un soggetto estrinseco, ma è la stessa attività dello spirito in quanto negazione della negazione a fornire l’attività-attualità e, quindi, il divenire del negativo come negazione attuantesi: l’essere del negativo è il divenire. Cioè l’essere o essenza della negazione non solo è essere, ma appunto in quanto negativo è divenire-attuativo e non perché venga ipostatizzato dall’esterno. Mentre la concezione fichtiana dello Spirito come atto che toglie e nega ogni limite è estrinseca ad una dimensione “reale”, poiché è una riflessione che parte dal soggetto estrinsecamente posto dinanzi ad una oggettività, l’azione trasformatrice attivantesi del negativo, è nelle cose stesse. Ecco perché non si può inopinatamente presupporre una “corazza ontica esistentiva” al Nulla dal “di fuori”. Lo Spirito per armarsi contro ciò che lo intende, come fa l’intelletto, come limite deve potersi esso stesso intellettualizzarsi attraverso un’indebita reificazione, che non proviene dall’anticipazione dell’ Etwas (che gli è estrinseco come momento), ma come struttura essa stessa ontologica delle categoria (anche il Nulla), che già di per sé immediatamente si dà. Se il Nulla sembra che vada a cercarsi come effetto l’Etwas fuori di sé, in realtà l’Etwas è ancipite come autocausativo del nulla.  L’essere del nulla viene prima dell’essere del Dasein. Così il non-essere è causa dell’essere. Se si afferma che (problema di aporie ed avvitamento da parte di chi definisce aporetici i passaggi di Hegel: Horstmann.ilich, Henrichs, Trendelemburg e Spaventa), la negazione in questa sede non si relaziona ad altro, allora c’è l’indebita autoriflessione che sfocia in una sorta di indebita reificazione. Ma questo si può affermare se si dice che non è l’altro che determina il negativo, poiché se così fosse la negazione della negazione non solo non sarebbe assoluta, ma neppure lo spirito assoluto stesso se dipendesse dalle alterità in generale. E questo non significa ammettere una teofania o metafisica assoluta in Hegel, ma solo che l’altro è il negativo stesso. Quando la negazione si pone come negazione che nega, aldilà dell’assoluto fluire (solo questo è il Vero assoluto in Hegel), essa si afferma come negazione della negazione. Pone comunque l’altro difronte a sé. Ora l’altro, all’inizio della Logica dell’Essere -laddove c’è un’astrazione fortissima- è il secondo negativo. E quindi è una negazione assoluta. L’altro è già inclusivo del Nulla. L’essere è già inclusivo del Nulla. Anche perché non solo è negazione della negazione: cioè l’altro è il secondo negativo, in quanto inclusivo del Nulla, quindi l’essere già c’è. Ma l’atto stesso del negare è l’essere del nulla, in quanto essenza della negazione. Dov’è lo scandalo? Non c’è nessun riferimento al passare preso dal di fuori e all’Etwas estrinseco. Quindi non c’è un’indebita ontologizzazione, poiché “τό έον” già ce l’ha dentro di sé la negazione della negazione. Quindi non è che non può darsi l’essere nell’assoluto nulla, l’essere dell’assoluto nulla è l’attività stessa del nulla in quanto essere della negazione. E l’essere dell’assoluto nulla è il secondo lato o altro da sé come negazione della negazione, cioè quel secondo negativo. Ma questo secondo negativo non è estrinseco al nulla, ma è dentro al nulla. E quindi l’altro è dentro la considerazione della negazione pura. A ben vedere l’ontologizzazione del nulla, quella non autentica, ma irreale accade non nella fase nella quale il nulla si dà l’essere, ma c’è nella fase per la quale il nulla ha dinanzi a sé l’Essere: cioè ha fuori di sé quell’essere che ha dentro di sé. È qui che scatta la proiezione-reificazione vera e propria e non all’interno di se stessa. Quindi c’è un doppio interstizio: il primo è l’essere dentro di sé, il secondo è l’essere fuori di sé. Siamo nella dimensione della Logica dell’essere e, quindi, nella dimensione del pensiero che pensa se stesso. Esso si appunta e si fissa sulla determinazione essere fuori di sé rispetto al nulla, poiché suddivide la monotriade Esserre-nulla-divenire, che è inclusiva dell’atto della negazione come momenti parcellizzati e intellettualizzati. Per cui il divenire appare altro dall’essere e dal nulla, che fa scorrere l’essere nel nulla e il nulla nell’essere. Poiché l’autocoscienza, benché assoluta della fenomenologia dello spirito, è ancora in cerca di un’alterità, poiché non l’ha mai veramente superata, ma solo rimossa nell’unione dello spirituale e del particolare. Rimane, infatti, il dubbio che quell’unità raggiunta dal sapere assoluto sia ancora prodromica, preliminare della verità del pensiero che pena se stesso. E questo perché le tappe intellettuali nelle quali il concetto è già presente, ma non ancora sviluppato, nei primi momenti della logicità non sono ancora veramente metabolizzati come propri (dal punto di vista del Concetto). È una dimensione in cui l’intelletto opera in entrambi i momenti (anche se è una Ragione intellettualizzata, il negativo dialettico azionale è il momento della Ragione), anche se la Ragione è ancora potenzialmente increspata di elementi e di una funzione intellettuale: quella del tendere all’Unità e del principio sintetico non prodotto dal concetto, ma dall’intelletto. Il principio sintetico prodotto dal Concetto è il Sapere Assoluto, ma quando vi arriva, nella Fenomenologia dello Spirito, quell’esito è ancora un esito che ha le gambe deboli, poiché è nato ed è venuto su in una dimensione dell’altro (che non è più l’oggetto condotto ad unità), ma dell’Altro rispetto al Concetto: ossia l’Intelletto. Laddove c’era l’Intelletto non c’era l’Assoluto. E quindi deve riappropriarsi in una sorta di effetto che vuole la sua causa della sua Causa, scoprendo che quest’ultima non è estrinseca, in quanto intelletto fuori di sé, ma è se stesso come autocausazione: in cui l’effetto è lo stesso della causa, poiché l’Assoluto risale alla dimensione intellettuale e se la riprende Realmente. Mentre nella Fenomenologia dello Spirito l’Assoluto, non poteva al momento dell’Intelletto veramente comprenderlo, poiché ancora non c’era il Sapere Assoluto. L’intelletto veniva già concettualizzato, ma non ancora nella sua espressione più chiara. Quando s’incolpa Hegel di un’illegittima ontologizzazione dell’Assoluto Nulla e della struttura del Nulla come negazione della negazione, oltre che l’essere della negazione è l’essere già incluso come secondo negativo come altro di sé ed è attività del Divenire: quindi essere e divenire sono tali in quanto appartenenti al Nulla come struttura di Negazione della negazione o negazione assoluta. In tal senso il Nulla è Essere e non c’entra l’ipostatizzazione anticipata dell’Etwas, poiché non ha bisogno dell’Etwas il Nulla per essere, dal momento che è esso stesso l’essere. Quindi è impossibile questa possibilità, poiché la Logica anticiperebbe se stessa. E non ha senso anticipare se stessa visto che tutte le categorie sono presso di essa. Tra l’altro non si dà problema dell’anticipazione dell’Etwas, poiché non c’è una dimensione temporale, è un passare senza tempo. Centrale è la teoria di una negazione determinata o determinazione negativa, il cui senso sta non nella differenza, ma nell’esclusione. Quindi non è il non-essere della distinzione del Sofista di Platone, ma l’esclusione-opposizione (e non la differenza) con la dinamica di rimozione-proiezione che questo specifico senso della negazione in Hegel comporta. Anche perché tale teoria della negazione come rimozione di una parte del Sé nell’opposto e nell’esteriore a Sé, mostra come l’opposto nella dialettica di Hegel non possa essere che l’Altro proprio e specifico del Sé. Esprimendo come “suo Altro”, Hegel non fa altro che esprimere una visione originale dell’opposizione. Ma la teoria della negazione, come rimozione di una parte del Sé nell’opposto o in ciò che è escluso a sé, è la prova che l’altro è se stesso o un pezzo distaccato di sé. Ma teoria della negazione come rimozione di una parte del Sé, si è sicuri che la negazione non può partire senza l’altro? O che la negazione sia indipendente dall’altro? Pare che già nella Fenomenologia dello Spirito l’autoriflessività della negazione è posta. Anche perché se fosse una rimozione di una parte del sé nell’opposto a sé a fondare la negazione, lo Spirito non sarebbe assoluto. Pare quindi che, non tanto la dinamica del fatto che c’è una dimensione oggettiva-pratica che mi si riferisce ad una determinazione determinata nella Fenomenologia dello Spirito, mentre questa dimensione pratica non c’è nella Scienza della Logica e quindi siamo nella pura negazione assoluta con la forzatura ontologica logico-predicativa del nulla assoluto come essere. In realtà nella Fenomenologia dello Spirito lo spostamento, sia del fatto che viene prima la tecnica della rimozione di una parte del Sé nell’opposto e nell’esteriore a sé, che non la teoria della negazione. Se questo fosse così nella Fenomenologia, l’esito del sapere assoluto sarebbe sorto non tanto sulla teoria della negazione nuda e cruda, quanto sul dispositivo carico-scarico di tipo psico-dinamico. E se questo fosse vero allora l’esito del Sapere Assoluto è l’esito portante di quella rimozione. Pur nel suo vertice assoluto. E non solo Egli stesso come esito di una precedente rimozione-proiezione-spostamento della figura prima del Sapere Assoluto, che è la Religione (con fallimento del Cristo), quanto la dimensione essa stessa portatrice di questa dimensione rimozionale-spostamento e proiettivo che avrebbe sotto di sé e fonderebbe esso stesso la teoria della negazione pura. Ed allora avrebbe ragione chi sostiene (ossia il sottoscritto) che l’esito dell’Assolluto è un esito ancora intellettualistico, poiché pur in una dimensione concettuale, quel concettuale o sapere assoluto definitivo nella Fenomenologia dello Spirito, è in realtà inficiato da un risultato intellettivo che accompagna la negazione della negazione, ma non è fondato su questo. Infatti la raggiunta unità nel Sapere Assoluto nella Fenomenologia dello Spirito, non è negazione della negazione pura (cosa che avviene solo nella Logica), ma è lo scarto di una negazione-opposizione, filtrata ancora da una dimensione “intellettuale”. Reificatrice di un Assoluto e non di un Assoluto che reifica se stesso. Ma un processo proiettivo, scambiato come il vero processo del negativo del negativo e che comunque sottende questo stesso processo proiettivo di espulsione-esclusione a fare i conti con un’identità assoluta, sempre proiettata come assoluta ma non già tale in sé. Poiché c’è quel deficit speculativo che è dato non dal fatto che, nella Fenomenologia, non abbia operato la struttura stessa della negazione della negazione, quanto è la rimozione spostamento-proiezione che ha lavorato come il negativo del negativo, ma non in quanto negazione della negazione. Poiché l’essere assoluto lascia fuori di sé la dimensione intellettuale che, non avendo mediato nella situazione dell’intelletto (all’inizio della Logicità), gli si ritorce come eccesso di cristallizzazione nell’unità della totalità dell’universale e del particolare compresenti nello Spirito Assoluto. Quindi dicevano bene i Giovani Marxisti che c’era una indebita cristallizzazione e chiusura del Sapere Assoluto, ma c’è poiché v’è il raggiungimento di quella dimensione attraverso una processualità reificativa di un processo di negazione e non la negazione della negazione, in quanto atto puro o negazione assoluta o libertà assoluta. Ed è stata talmente irretita la negazione della negazione che è la Libertà Assoluta dalla stessa struttura che in termini fenomenologici portanti arriva appunto la negazione che la negazione della negazione non si è espressa al massimo grado. Cioè come a quella determinazione assoluta del puro nulla della Logica dell’Essere. Poiché appunto a “proiettare” l’ombra dell’unità o totalità dell’universale e il particolare, in quanto sapere assoluto nella fenomenologia dello spirito, è ancora un esito proiettivo del Sapere Assoluto. Questo di nuovo per emanciparsi e ripensare se stesso come veramente “Libero” o negazione della negazione, ha bisogno di riprodurre intenzionalmente una condizione reificatoria, poiché attraverso questa esso capisce la sua stessa astrazione dell’essere assoluto, ossia l’astrazione dell’essere-nulla-divenire, che come negazione assoluta nega la precedente incongrua reificazione ereditata dalla Fenomenologia dello Spirito. Ma è un’astrazione questa volta voluta dal Sapere Assoluto, poiché qui non c’è più il rischio di proiezione. Così esso intuisce la sua unità in una dimensione non più proiettiva, come esito di una sintesi ancora non più increspata dall’intelletto, che allungava la sua ombra ancora con la sua funzione unitarista. L’intelletto viene qui definitivamente tolto. Mentre nell’esito finale della Fenomenologia questo non avveniva, poiché l’Intelletto non veniva ri-negato, poiché il movimento della negazione della negazione era ancora troppo poco “assoluta”, poiché mediata ancora dall’immediatezza di una dimensione proiettiva-rimozionale e quindi reificatoria. È la negazione ancora tenuta a freno dalla proiezione della negazione medesima e non la negazione della negazione assoluta che crea da sé l’Essere: poiché l’essere del nulla è la negazione della negazione in quanto atto. Nella Fenomenologia dello Spirito, questo Atto è ancora sporcato da una dimensione statica o fissa e oppositiva, ma oppositiva di una strttura quasi evocativa e non eguale alla negazione della negazione, come teoria della negazione pura. Se così fosse, l’autocoscienza assoluta in quanto Sapere Assoluto della Fenomenologia dello Spirito, proprio perché sorta da un’interrotta catena di rimozioni-negazioni-opposizioni-proiezioni, sorge come una figura di nuovo “rimozionale ed, in quanto tale, riattiva una rimozione di una parte del Sé; essa è opposta ed è esteriore al Sé Assoluto, conserva lo stigma dell’indebita ontologizzazione del Nulla che ricava da se stessa, in quanto Autocoscienza Assoluta, l’esistenza cioè l’Etwas e la pone come a memoria di elemento fenomenologico al Nulla e non è l’Etwas della Logica: l’Etwas del Nulla è ancora l’Etwas Fenomenologico (vs Trendelemburg) e non logico del Dasein (E non come voleva Trendelemburg). Quel “qualcosa” o Essere del Nulla, inteso come termini proiettivi-reificatori, è il suo stesso Essere o Unità ad esistere come totalità (unione dell’universale e particolare), che però non ha fino in fondo metabolizzato poiché rimasto tuttavia nell’ordito di una qualche funzione intelletualizzata e sporcata da una dinamica intellettuale. Per cui, il Sapere Assoluto rimane nel dubbio che esso sia una Unitotalità, piuttosto che compresa come concetto, conquistata ancora come funzionale ad un disegno unitarista dell’intelletto che sopravvive in questa eco o idea-ombra. Un alter-ego che proietta come un Sé da Sé ma, appunto, come di un nuovo altro da sé. Dato che il suo percorso, quello fenomenologico, è sempre stato l’esito di una figura sorta dalla reificazione indebita, non è escluso che l’autocoscienza assoluta della Fenomenologia dello Spirito sia l’esito di una reificazione assoluta. Ma questo non è certo. Tuttavia, nel dubbio, l’autocoscienza ripensa la Totalità del pensiero, poiché deve riappropriarsi di quella dimensione che nella Fenomenologia dello Spirito era, a prescindere, nei momenti della Logicità precedenti al Concetto stesso: cioè l’Intelletto. Più che una certezza, l’Intelletto è un’ombra. Non si vuole dire che il Sapere Assoluto è intellettualizzato ancora, questo non è certo. È assoluto, tuttavia, in una dimensione ancora risolutiva di una condizione ancora reificatrice-proiettiva, che, forse, si porta dietro geneticamente nel proprio DNA e quindi respirando questo dubbio, pensa di dover ricominciare: nel dubbio lo reifica. Questo si fa realtà nell’esegesi del Nulla che È. Ma, appunto come incongrua reificazione del nulla. Essa è la reificazione non della Logica, poiché l’Etwas non è il Dasein, ma è l’eco della reificazione mai veramente mediata dell’esito autocoscienziale assoluto della Fenomenologia dello Spirito. Forse, ha capito il Sapere Assoluto, in quanto Autocoscienza assoluta della Fenomenologia dello Spirito, che l’opposto esteriore a sé mostra quanto l’opposto nella dialettica di Hegel non possa essere che l’altro proprio e specifico del Sé in una dimensione proiettiva e reificatrice, in quanto cattiva negazione (040-voce 093) o cattiva infinitizzazione di sé è, appunto, l’essere del nulla, che però è l’esito non impiantato nella Logica, ma è l’eco mutuato dal passaggio dall’autocoscienza assoluta alla Logica dell’Essere. Quell’essere del nulla è ancora l’altro dell’autocoscienza assoluta e non è già l’altro del pensiero che pensa se stesso, ma è ancora traccia della reificazione dell’esito proiettivo da cui discende il sapere assoluto nel cammino fenomenologico e che, ancora non metabolizzato, l’essere lo ripropone difronte al nulla. Ma il nulla non è altro che la sua vera tendenza ad essere negazione della negazione. Il vero nulla è la negazione della negazione o la vera determinazione, la reificazione, il contrasto col suo essere: esito di rimozioni e proiezioni, porta quel contrasto stridente per il quale il nulla come negazione della negazione come verità è ancora poco chiaro. E quindi riproietta e riproduce la proiezione di un altro da sé, poiché non scatta la negazione come negazione vera e propria. Quand’è che scatta la negazione della negazione assoluta realmente? Quando tutto sarà chiaro, cioè nella logica del concetto: qui la negazione della negazione non produrrà più un’altra reificazione-proiezione poiché si capisce che il processo proiettivo, benché legato alla struttura stessa della negazione della negazione, è se stesso e che, quindi, si autoescluderà nella autocausazione di realtà e pensiero, causa ed effetto. Dal concetto della Negazione, nella fase antropologica del primo Hegel, alla Negazione come valenza logico-predicativa discorsiva della negazione propriamente linguistica e, quindi, quella valenza dissolutiva sistematica della Scienza della Logica, la Negazione della rimozione psichica che è di tutt’altra natura dalla negazione logico-linguistica nello speculativo. Tuttavia la negazione-linguistica riceve le sue forze di scissione-espulsione-opposizione ed autonegazione della negazione-rimozione psichica dalla dimensione psico-antropologica-dinamica. Scambio questo di cui lo stesso Hegel non è probabilmente consapevole, ma che getta la premessa indispensabile per concepire contro il divieto aristotelico di contraddizione di realizzarsi nel sistema hegeliano e di rendere possibile, attraverso la contraddizione, la quadruplicazione dei due termini. Cioè a dire: ciascun polo che inizialmente si distingue e si oppone dall’altro da sé riconosce, negando la sua prima forma di esistenza, di avere l’altro dentro di sé. In tal modo, duplicandosi in se stesso, s’infinitizza e si fa totalità. Quindi, la quadruplicatio terminorum risiede nel fatto che abbiamo due poli contrapposti nella coppia oppositiva: ad esempio A e B. Orbene A è contemporaneamente B, e B è contemporaneamente A. Dunque A è A e B, B è B e A. Dietro la dimensione della infinitizzazione del finito e quindi del passaggio dalla semplice differenza determinante del determinato alla contraddizione infinitizzante del determinato medesimo. Tradotto: dalla omnis determinatio est negatio alla omnis negatio est negatio, con sottotraccia la filigrana del “nulla” come negazione assoluta in una visione apofantica-dichiarativa (in quanto eccesso di speculativo e teoreticità). In realtà si esprime nella stessa Scienza della Logica, anche se in modo informale, il processo psico-pratico-dinamico della scissione-spostamento-rimozione con cosificazione. L’esito della quadruplicazione dei termini all’interno delle categorie super-astratte della Logica nasconde l’attività di una processualità e di uno statuto pratico-fenomenologico. Le dinamiche psico-antropologiche del primo Hegel stanno alla base, dunque, del processo astratto del Nulla Logico. Non solo nella processualità mediante la negazione della negazione, ma nella cosificazione o reificazione del puro Nulla nella Scienza della Logica. Così, dietro le spalle del Concetto assoluto, vi è una determinazione di una negazione ancora relata a fatti figure ed elementi determinati, anche se nella Scienza della Logica questa negazione è una negazione assolutamente irrelata ed è identificata come relazione del negativo con se stesso, in quanto ininterrotta ed inesausta auto-riflessione assoluta del negare che nega se stesso. E l’ontologizzazione che produrrà l’Etwas riferito al Nulla, che in qualche modo fuori dal tempo e dallo spazio “è”, non è altro che quella ideologizzazione e dissoluzione ideologica a mo’ di simulacro proiettiva di un’autocoscienza assoluta. Quest’ultima è, in termini esitali-epilogali, ancora un’autocoscienza determinata da strutture di tipo psico-pratiche dinamiche che si porta dietro non più come contenuto, ma nella forma. Il nulla assoluto si ontologizza: è il non Essere di Parmenide con l’atto e l’azione dell’Io idealistico fichtiano, esistenzializzato indebitamente attraverso una sovradeterminazione o cosificazione dello stesso Nulla in quanto Nulla assoluto.

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