Valentina Marziale
Ma perché il Sapere Assoluto ha bisogno di un autoinganno?
Perché esso non può non divenire se stesso attraverso l’andamento del “duale”, e quindi pur nella unicità organica (e non giustapposta) e perfetta coincidenza dell’Universale e Particolare, ebbene quell’organica identità di forma e materia, non può non pensarsi come dualità. A questi livelli (Sapere Assoluto) questa dimensione si concede come alterità presso di sé, e quindi noetica. La lotta è di nuovo tra un Soggetto ed Oggetto oggettivo rispetto ad un nuovo oggettivo. Poiché quello assoluto oggettivo/ soggettivo pratico-fenomenico ormai è stato esaurito nella perfetta autocoincidenza e trasparenza del soggetto nell’oggetto, ma rimane ancora un’idea di alterità nell’Idea (cioè nel Concetto). E questa dovrà essere nel Concetto, di nuovo ripercorrere le tappe del pensiero che pensa se stesso, poiché in ogni oggetto speculativo vedrà se stesso. Quindi la circolarità è un dinamismo metafisico. Ma tale movimento è certamente in atto; d’altronde poteva essere anche immobile lo stesso psico-movimento della rimozione-spostamento-proiezione visto che accade tutto nell’ambito di una soggettività coscenziale-naturale ed intellettualistica, nella patologia e nella drammaticità di un processo psico-pratico-dinamico, non c’è una vera e propria alterità se non quella che il soggetto psicotico vuole vedere, ma appunto è una sua proiezione. E questa stessa processualità immanente al soggetto ha solo un riferimento esterno reale che può essere l’imperatore romano, il Cristo, piuttosto che il denaro, è però determinazione entificata del pensiero dentro il pensiero stesso: è un ente determinato (ma che non lo è) entificato dal pensiero stesso. La cosificazione o reificazone che scatta nella coscienza e nella sua processualità, fisico-psico-dinamica, pratico-fenomenologica, scatta all’interno di una dimensione incondizionata ed assoluta, cioè senza residuo alcuno di determinatezza, del sapere assoluto. Occorre così fare questo ragionamento: il motivo per il quale Hegel scrive la Logica è collocabile all’interno di un processo ancora non del tutto svuotato, di una funzione ancora non del tutto superata dell’Intelletto all’interno del Concetto. Nel senso che l’esito finale della Fenomenologia, in quanto Autocoscienza Assoluta e Sapere Assoluto, è l’esito di un Concetto in una dimensione di Unità senza residui, come dice Hegel, dell’ unità realizzata dell’Universale e del Particolare, da parte di un’Autocoscienza Assoluta, detta anche Sostanza. Ma, ed è questa la tesi che qui s’intende dimostrare, Hegel in realtà sta dicendo che rimane fuori (ovviamente a livello di Sapere Assoluto: fuori che è un dentro) un’alta Alterità o Oggettualità, che sarà la Logica oggettiva (cioè Logica dell’Essere e dell’Essenza) e la Logica del Concetto. Questo significa che il Sapere assoluto concettivo della Fenomenologia dello Spirito, in quanto Sostanza, che se stessa come identità di soggetto ed oggetto ancora deve “verificarsi”. Si deve ancora raggiungere la Logica concettiva della scienza della Logica. Ed allora che cosa è quel grado di sapere assoluto fenomenologico? È un sapere assoluto ed è, quindi, realmente il terzo momento speculativo-razionale, oppure c’è dell’Altro? Ad avviso di chi scrive quell’esito speculativo è positivamente razionale, ma con un Altro. Questo Altro non è una oggettualità residua ancora da raccogliere, ma bensì è l’oscura (perché oscura al Concetto stesso) ed occulta presenza dell’Intelletto. Il quale è stato estirpato a partire dalla negazione della negazione dalla contraddizione (cioè dal momento positivamente risolutivo razionale), ma che in qualche modo è residuale nella stessa definizione conclusiva e finale dell’autocoscienza assoluta (che è unità, totalità degli opposti, dell’universale e del particolare). Questa compresenzialità del “due” nell’ “uno”, veramente realizzata, nasconde un’insidia ancora maggiore: ossia nasconde il sospetto che nel portare con sé l’Intelletto, lo Speculativo o Concetto, che è Totale perché l’Intelletto stesso è un suo momento (e qui v’è la Suprema forza del Concetto che addirittura metabolizza l’Intelletto come proprio momento), probabilmente questa metabolizzazione dell’Intelletto non è digerita fino in fondo. Rimane non tanto un residuo di una duplicità universale e particolare (che infatti non c’è), ma un residuo intellettuale nell’unità trasparente e senza residui dell’universale e del particolare. Se bene si ricorda, l’Intellletto non è solo la macchina da guerra che produce le scissioni e le entifica, ma in primo luogo (come primo momento del dialettico, cioè astratto-intellettuale) l’intelletto produce la unitotalità. In questa duplice operazione il Sapere Assoluto, come esito della Fenomenologia, ha certamente superato i primi due momenti intellettuali, ma senza averli mai realmente concettualizzati. E questi, così, rimangono come residuati di una definizione del Sapere Assoluto della Fenomenologia dello Spirito, come Unitotalità dell’Assoluto, pur nella compresenza del “due”, che invece l’Intelletto faceva poi scemare. Ma probabilmente l’Intelletto si è occultato nella sua versione di Unitotalità (equivalente al primo momento astratto e rappresentativo del movimento dialettico) dietro e come ombra della Unitotalità stessa del terzo vero momento speculativo-razionale del Concetto, nel risultato del Vero come l’Intiero: una sorta di cavallo di troia offerto dall’intelletto sull’altare del vero, al cospetto del Concetto. Questo “dono”, astutamente ed erroneamente scambiato (ecco la triade: dono-sospetto-errore, offerto come segno di arrendevolezza e di resa sull’altare del Concetto da parte dello sconfitto Intelletto) come esito astuto della Ragione, per conquistare l’erroneo punto di vista dell’Intelletto, in realtà sembra segnare la proiezione dell’unitotalità dell’intelletto su quella raggiunta, come risultato, dal Concetto. Quindi un cono d’ombra sembra aggirarsi fin dall’inizio della Logica. Come dei rabdomanti d’ingegneria Hegeliana, occorrerebbe rintracciare il punto esatto in cui avviene già durante il cammino Fenomenologico la indebita, e a tradimento, sovrapposizione del momento speculativo o positivamente razionale con quello oscuro e rappresentativo, che rappresenterà in modo mai chiaro il lato oscuro e meta-razionale (ma allo stesso tempo ben occultato dallo stesso Concetto) del cattivo infinito o pessima Unitotalità, con la Vera e razionale Unitotalità del Concetto stesso. Dal momento che occorre cercare questo vulnus, scovando quell’ombra impalpabile, astratta, poiché è l’ombra della intenzione inintenzionale dell’Intelletto a seguire l’unitotalità, ossia il vero, l’assoluto. Ma come l’intelletto insegue inintenzionalmente l’obiettivo universale, per cui esso è votato al concetto universale perché deve legalizzare i fenomeni particolari sotto di sé (per cui la struttura dell’intelletto ha una procedura universale), così anche l’Intelletto ha mirato, non potendo più farlo autonomamente con se stesso, ad un principio sintetico unitario ed universale, che è quello del Concetto, ma nel quale in qualche modo l’intelletto s’è insinuato. Il Concetto può liberarsi di questa dimensione altra solo con la Logica, cioè solo dandosi una scrollata ancora più decisa e suprema fino a giungere nella Logica del Concetto e solo allora, quando il Concetto rivede se stesso, rivedendo l’unità con sé, attiva questa verifica logico-ontologica. Da qui l’autoriflessività della logica, poiché deve andare a snidare tutte quelle dimensioni in cui l’intelletto si era andato ad insinuare, producendo degli enti e quindi deve fare un’analisi autoriferita, poiché quello che l’Assoluto sta cercando come non-proprio è dentro se stesso. Da qui l’alterità scandagliata dal pensiero che pensa se stesso, in quanto principi della storia del pensiero che l’Intelletto ha prodotto come enti di ragione e sovradeterminandoli come di volta in volta principi divini, teologici, assoluti e incondizionati. Ma il Concetto deve verificare ciò che non-torna come risultato, alla fine della Fenomenologia dello Spirito. Quindi nella seconda prefazione della logica dell’essere 1831, Hegel non può non affermare che, dopo tutto, il percorso fenomenologico (di 23 anni precedente) era imperfetto: poiché Hegel alla fine del Sapere Assoluto nella Fenomenologia, informa che il Sapere Assoluto raggiunge quella perfetta coincidenza ed unità senza residui alcuni dell’unità soggettiva ed oggettiva, ma non ci dice effettivamente se tale unità è bastevole a se stessa a manifestare chiaramente l’onnipotenza del sapere assoluto. Ossia non ci dice se quella unità è tale solo in quanto portatrice ed autoproduttiva del concetto senza residui. Ci dice che è senza residui di dualismo o scissionistici, ma non ci dice se è senza residuo intellettualistico, nel senso che quel concetto di unità è lo stesso dell’intelletto, ossia è il concetto, ma è anche la prima funzione inintenzionale dell’intelletto che è quella di mirare ad un concetto universale; poiché l’intelletto separa, ma produce al contempo dei principi universali-sintetici anche se rappresentativi ed immediati. L’intelletto per sua natura mira inintenzionalmente ad una dimensione universale: poiché l’intelletto deve legalizzare tutto ciò che può legalizzare sotto di sé, producendo principi universali ed essendo esso stesso orientato e votato spontaneamente alla dimensione universale. Hegel non ci dice se questa dimensione onto-genetica dell’intelletto si sia in qualche modo nascosta in qualche meccanismo ed il concetto se lo sia portato dietro. Il concetto, dall’altro lato, sa di essere onnipotente, nel senso che esso ha bruciato tutto ciò che di estrinseco era fuori di sé, ma ha veramente anche mediato quella funzione originaria dell’intelletto, in quanto capacità di intrappolare in una Totalità un principio universale? Ha mediato l’intelletto il concetto, per cui l’intelletto è un momento del concetto: ma quella funzione dell’intelletto universalizzante, il concetto l’ha veramente superata e tolta come altro da sé e posta come un sé da sé nell’esito finale del sapere assoluto fenomenologico? La risposta probabilmente è nella stessa Scienza della Logica riproposta da Andrè Leonard: poiché Hegel dovrà scrivere una logica oggettiva e soggettiva per poter ricomprendere, in una sorta di random o autoanalisi di se stesso (da qui la dinamica dell’espressione della massima potenza del Negativo, poiché il negativo tenuto a freno nella Fenomenologia dello Spirito non è probabilmente certezza di risoluzione della questione fondamentale, cioè della mediazione della funzione dell’universale dell’intelletto). Hegel non lo può dire, anche perché altrimenti non arriverebbe a scrivere il sapere assoluto come ultimo capitolo della fenomenologia, ma il sospetto che Hegel faccia riaccendere il motore del sapere assoluto (dopo la conclusione della fenomenologia), denota che la conclusività del Sapere Assoluto nella Fenomenologia era solo apparente. Per essere reale, esso non deve essere solo pratico-fenomenologico, ma anche astratto-predicativo: poiché lo Spirituale deve essere assolutamente certo che quella stessa unità che esso avrebbe raggiunto ab intra (in modo reale, concreto, ricco e non intellettualistico, negando la condizione di una soggettività intellettualistica a tutti i livelli e a tutte le sfere, dal naturale allo spirituale), deve capire del perché questo altro da sé gli ritorni. Infatti la Logica dell’essere, se Hegel non sentisse questa non quadratura del cerchio raggiunta, non l’avrebbe scritta. Solo che Hegel, nella perfezione del suo sistema, non può dircelo o anticiparlo, ma c’è un punto dove probabilmente l’intelletto re-siste anche nel sapere assoluto. Certamente, si può dire che il primo momento astratto-intellettuale era stato superato ormai precedentemente dal Concetto attraverso i momenti negativi-dialettici dello stesso Intelletto, ma il paradosso è proprio qui: la prima funzione dell’intelletto unitotale e rappresentativa è superata dall’intelletto stesso attraverso il secondo momento negativo-razionale, ma è veramente così? Oppure siamo difonte ad un protocollo che ha attivato l’intelletto e che il concetto ha poi giudicato congruo? I primi due momenti della logicità dello Spirito della dialettica sono momenti intellettuali (anche se da sempre governati dalla Negazione) e non è escluso che, in questi passaggi, il “controllore” che è l’intelletto e che controlla se stesso in quanto negazione di se stesso probabilmente abbia occultato in qualche passaggio questa dimensione di controllore. E che quindi abbia salvato in qualche modo almeno un’intenzione o sotto-funzione che il concetto nella sua negazione della negazione non ha probabilmente colto, poiché non risale formalmente lo Speculativo fino al primo momento, ma risale a partire dal secondo momento: quello per il quale l’intelletto già aveva esaurito il primo momento, che è il suo stesso primo movimento. Se la negazione dello speculativo ha rotto col momento rappresentativo o astratto intellettuale, questo il concetto lo sa fino ad un certo punto, poiché entrambe le funzioni sono attività intellettuali come momenti del concetto, ma come momenti del concetto non propriamente endogeni al Concetto stesso (poiché l’intelletto è altro dallo speculativo, anche se momento dello speculativo). Questo ha generato e portato sottotraccia un vulnus (errore) che il Concetto dalla sua suprema altezza e forza non ha visto e che si è ritrovato dentro di sé, quando ormai nasceva la Sostanza come sapere assoluto. Perché appunto la Autocoscienza assoluta reinizia non a porre in discussione quel dualismo (universale particolare), ma a porre in discussione in qualche modo quell’Unità, poiché inizia a pensare un’alterità che non c’è più. Quasi in una condizione in cui ha chiuso la “stalla ma dopo che le vacche tutte nere dell’assoluto Schellingiano, erano uscite” (n.d.a). Quindi quell’”alterità”, mai veramente superata viene rimossa, ma non la rimozione del dualismo e dell’oggettività del “due”, per cui questa Autocoscienza Assoluta deve ricominciare a pensare ad un’oggettività, quanto la dimensione dell’Unità che ha dei problemi ad essere mediata. Insomma il problema deriva dal fatto che, una volta raggiunta l’unità e l’identità dell’universale e del particolare, quel terzo momento speculativo e positivamente razionale, Hegel deve essere convinto che non sia una presupposizione del primo momento in realtà intellettuale o dell’intelletto presupposto dal concetto. Cioè quanto di quella mediazione assoluta, in quanto sapere assoluto, conserva ancora il primo momento intellettuale come non proprio. Quanto conserva il sapere assoluto come unità senza residuo dell’identità dell’universale e del particolare, quella medesima funzione universalizzante dell’intelletto. I primi due momenti sono subiti dal concetto: certamente sono momenti del concetto nella forma esteriore di esso, ma costitutivi comunque stessi del concetto, che è già da sempre presente, anche se all’inizio mai veramente dispiegato. Ma quanto di questo occultamento immanente presente, e allo stesso tempo assente, ha veramente poi presieduto alla mediazione vera e propria iniziale (primo e secondo momento della dialettica) e finale (terzo momento speculativo)? Quanto l’occultamento è stato più importante o meno importante della reale presenza dello Spirito? Quanto è stato più importante l’errore sistematico, mediante il quale lo Spirito è addivenuto rispetto allo spirito stesso? E allora, perché non ripresentare questo dubbio, all’interno del sapere assoluto, come di nuovo solcato dal dubbio che qualcosa all’inizio probabilmente è sfuggito allo stesso concetto? Il concetto non può fare a meno dell’intelletto. Quanto questa presenza-assenza dell’intelletto alla fine gioca nel sapere assoluto? Quanto il sapere assoluto è veramente de-intellettualizzato? Quanto effettivamente il sapere assoluto è nel grado massimo della sua assolutezza con sé? Quanto la teoria causalistica della storia della filosofia attuata da uno spirito intellettualistico sia fuori gioco nel sapere assoluto? Tutto questo Hegel non lo dice, poiché dal 1807 aveva già in mente di scrivere il seguito di questa possibilità, poiché l’Assoluto della Fenomenologia portava in dote ancora un residuo non sedimentato nella dualità universale-particolare (quella certo che è stata raggiunta, ma il residuo sedimentatosi nella Unitotalità del Concetto e quello stesso residuo per il quale quella dimensione Unitotale ha ancora qualche sedimento di quella condizione universale e totale con sé prodotta dall’Intelletto). Quella unitotalità è certamente nella forma del Concetto in quanto Identità degli opposti presenti in una Unità reale, ma probabilmente se la forma è quella concettuale, l’elemento Logico che istituisce il senso dell’Universalità è ancora intellettuale. Il contenuto della Totalità è l’universale del concetto, ma la forma di questo è anche quella originaria dell’intelletto. Non è vero che la dialettica non può guardare indietro: in questo tornare indietro a ritroso v’è la condizione dello Spirito che post festum vola come la Nottola di Minerva solo al calar della notte, cogliendo la produzione di senso dello Spirito, laddove esso si è patentemente manifestato, ma il post festum e il tornare indietro con il quale Hegel ritrova attraverso la Logica dell’Essere, dell’Essenza e del Concetto la stessa forma e lo stesso contenuto dell’unitotalità del Concetto, è apres de coup, un risalire non più alle tappe fenomenologiche, ma autocoscenziali del Sapere Assoluto: di nuovo Intelletto, astrazione, negazione razionale e momento speculativo o positivamente razionale. Non occorre solo un primo passaggio ma necessita anche un altro movimento, ripartire da quel sapere assoluto, poiché solo reiniziando dal sapere assoluto che riguarda il primo e secondo momento, può sincerarsi questo di essere veramente logico concettuale, come momento speculativo.
Negando il Concetto, l’intelletto nel terzo momento nega l’altro da sé, ma negando l’altro da sé nega anche se stesso: poiché l’intelletto è l’altro per il concetto, così come altro (e poi opposto negativo-contraddittorio) sarà l’altro per la coscienza naturale. Ma tant’è che il concetto va avanti: nega la negazione, ma dato che quella negazione era anche mediante la quale il concetto veniva a generarsi (anche se non in modo esplicito poiché si ha ancora l’intelletto), il terzo momento è certo risolutivo di un momento positivo da parte del concetto, ma è anche quel momento che porta con sé la ferita del fatto che il concetto abbia in qualche modo operato un parricidio nei confronti della propria origine, cioè nei riguardi di ciò da cui derivava, misconoscendo così il proprio Essere o propria origine. Tale misconoscimento nella Fenomenologia dello Spirito giunge a riproporsi nell’unità di universale e particolare, ma in una condizione in cui quell’essere che egli stesso rappresenta in quanto pensare ed essere assoluti, ritorna come eco di una rimozione che riproietta nell’esigenza di riattivare il dialogo con l’altro da sé, ma non più nella forma fenomenico-pratica, ma in quella noetica della Logica (Essere-Essenza-Concetto). Ma ciò non può non avvenire in una duplice guisa: da un lato Rimozione-Spostamento e Proiezione dell’Essere che non-è e da cui deriva, dall’altro lato in una condizione nella quale il concetto stesso è obbligato ad essere assolutamente libero e quindi, secondo la sua natura, a negare assolutamente anche ciò da cui derivava. Ecco spiegata l’azione e la genesi della negazione assoluta logico-apofantica e autoriflessiva della Scienza della Logica. V’è una concezione “critica” all’interno dello stesso Sapere Assoluto e ciò è possibile, non solo all’interno del campo esistenziale, ma anche nel regno teoretico-speculativo. Tale criticità è possibile poiché il sapere assoluto si veste degli stessi panni dell’intelletto, in quanto non secondo momento, ma primo momento: cioè unitotalità. E la criticità al sapere assoluto è legittimata tanto quanto la criticità alla pratica della trasformazione del reale. Quindi, tanto i giovani della sinistra hegeliana quanto Marx potevano criticare il sapere assoluto, poiché esso è fondativamente costituito da un’autocritica alla quale lo stesso Hegel apre le porte, nella misura in cui è ri-pensabile tutto il pensiero che pensa se stesso attraverso la Scienza della Logica. Nell’ultimo capitolo della Fen. dello Sp.(Sapere Assoluto, capVIII, capoverso 20):”il sapere assoluto non conosce solo Sé, ma anche il negativo di se stesso o il suo limite”, ossia per essere Assoluto il Sapere deve poter pensare anche il suo limite. E poco più avanti: “quest’ultimo farsi dello spirito, cioè l’alienazione, è la Natura, è il suo vitale immediato farsi”. La condizione dunque è che per essere assoluto, lo spirito deve pensare anche il suo limite e che esso, come limite consustanziale, è partecipe della stessa consistenza ontologica, senza la quale verrebbe meno anche la dimensione stessa simbolica e iniziale della scissione, che poi permetterà la contraddizione di produrre la negazione della negazione, induce a pensare che quel limite è tale ma in quanto vitale ed intrinseco che gli dà in origine l’intelletto. Quasi che non sia un momento ab intra del concetto. Quasi che quell’automovimento iniziale dell’intelletto sia appunto autonomo dall’automovimento generale e totale del concetto. E quindi deve ripensare il concetto attraverso una logica soggettiva e confutare che l’intelletto possa avere agito, anche solo per un istante, effettivamente in modo autonomo dal concetto. Questo sospetto accende il dubbio radicale del Nulla come Nulla Assoluto, ma non tanto nella scissione della contrapposizione (cioè a dire nella alienazione e nella negazione della relazione), ma nell’esito unitotalitario del concetto come totalità con sé, che ricorda al concetto medesimo una funzione simile ma non propria dell’intelletto. E quanto Intelletto c’è ancora nell’esito concettuale del sapere assoluto nella fenomenologia dello spirito? Quanto di questa funzione rimane originariamente al concetto e non invece sia in parte suggerita dall’intelletto stesso, che grazie all’unità del concetto pretende ancora di esistere e di “sopravvivere”? Abbiamo la reificazione del linguaggio nella coscienza assoluta, poiché quel valore a filtraggio dinamico-processuale e circolare esperito sul terrenno fenomenologico-esperienzale, si trasfigura nella valenza dissolutivio-sistematica della negazione in sé e per sé, come autoriflessione della negazione della contraddizione, con una regressiva ed illegittima ontologizzazione con conseguente reificazione e quindi rimozione-spostamento-proiezione (mediante l’entoisserung e entfrembung) dello stesso linguaggio nella propria autoriflessività, di modo che produce essa la negazione assoluta. Essa è intesa come attività reale: negante e negantesi incondizionatamente e che si presenta nell’espressione linguistica del non-essere. Cessando così di avere un normale significato relativo a contesti logico-predicativi semantici, determinati e specifici (come nella dinamica dell’esperienza della vita), ma che appunto assume il senso ontologico (ecco la reificazione!) di un Assoluto Nulla: concepito come pura attività o Essere che nega assolutamente e che non può non negare, essendo incondizionato. Ma non può non negare anche il proprio negare, poiché non tollera alcuna fissità di struttura che gli possa resistere e, quindi, non può non togliere anche quella costituita dalla funzone della propria attività negatrice. Questo comporta la rimozione dell’altro da sé nel sapere assoluto e non un superamento reale dell’altro da sé nell’autocoscienza assoluta, questo in difesa del fatto che Hegel non intende il sapere assoluto e, quindi, l’autocoscienza assoluta come momento solamente metafisico-teologico-sostanzialistico. In realtà quella stessa autocoscienza assoluta rimette in gioco l’alterità attraverso un’autofraintendimento di se stessa nella produzione, mai veramente superata, ma sempre rimossa dell’altro da sé, che rappresenta nella Logica la reificazione della stessa attività del negare, in quanto negazione incondizionata che rimane l’essere che non è, in quanto assoluto nulla. V’è l’assolutizzazione del passaggio logico-predicativo del nulla come nulla che è, ma questo nulla che è nella dimensione di nuovo di un assoluto che deve togliere da sé l’alterità, non può rimanere come ciò che è, ma deve ritornare ad essere come ciò che non è e, quindi, negare come oggetto il Nulla indeterminato. Ne esce un quadro in cui l’autoriflessività assoluta dell’autocoscienza assoluta non è, appunto, una sostanzializzazione dello spirito e del pensare semplicemente come autoriflessività, ma è di nuovo la riproposizione interna ad una dimensione definitivamente assoluta di una condizione ancora intellettualistica, ancora permanentemente presente, anche se come mera traccia occultata dal concetto stesso dell’intelletto. Ossia ci si riferisce ai primi due momenti della logicità dello spirito. Quest’ultimi si ripropongono come alterità mai veramente superate, anche nell’insieme e nella dimensione della coscienza assoluta e che solo attraverso una nuova disamina speculativa e astratta si possono appunto snidare come altro da sé e porre come un sé da sé. Ecco spiegata l’autoriflessività ferma e quietativa e allo stesso tempo dinamica e spirituale del pensiero che pensa se stesso. E questo dubbio non può certo essere sciolto dal Concetto tramite un percorso pratico-fenomenologico-esperienziale, ma solo un tragitto assolutamente astratto, verticale e logico-categoriale può sciogliere l’affaire llluministico. Poiché il Concetto deve usare le stesse armi astraenti e potentissime della negazione assoluta per stanare l’intelletto e, infatti, deve superare questa condizione mediante un nuovo processo. Per fare questo deve rimettersi in discussione e la criticità sta nel fatto che l’autocoscienza assoluta si rimette in condizione di nuovo reificare la negazione assoluta, cioè di nuovo cosificare il Nulla: così come la coscienza naturale aveva posto in essere il dispositivo rimozione-spostamento-proiezione con l’annesso processo di alienazione-estraneazione-reificazione. Così ora lo fa il Pensiero che pensa se stesso. Lo fa non più ad un livello ricco e fenomenologico, ma in una modalità autocratica e monolitica del pensiero che pensa se stesso, poiché deve giungere a pensare di mettere in dubbio quell’Unità che ha raggiunto nel campo fenomenologico. Così il problema del cominciamento è inquadrabile, d’ora in poi, sotto un’altra condizione: l’indebita, incongrua, illegittima e regresiva ontologizazione del Nulla Assoluto non deriva da un’aporeticità del sistema hegeliano nel suo insieme o dalla falsa “partenza” o inserimento forzato che verrà dopo, come la categoria dell’Etwas, ma dare l’esistenza al Nulla significa consentire che l’Autocoscienza Assoluta inizi di nuovo a “negare”. A questo punto non è tautologicamente la negazione assoluta concepita come pura attività in quanto Essere, ma l’Essere è costituito dall’illimitato negare che non può non negare anche il proprio negare. E quindi allo stesso tempo non può non togliere anche quella costituita azione della funzione della propria attività negatrice, divenendo negazione che È. Ma la vera progressione del nulla assoluto che viene ad essere, è data dalla dimensione per la quale la coscienza assoluta, pensando al pensiero che pensa se stesso, non può non ripartire dall’Essere, che è chiaramente in trasparenza costituito dal Nulla. La sovradeterminazione che l’autocoscienza compie è direttamente sul Nulla perché è lo stesso motore dell’Autocoscienza Assoluta che diventa Essere. Questa reificazione del Nulla, ossia del Negativo, è anche padre dell’Essere e del Divenire, in una dimensione altra dell’autocoscienza assoluta, poiché appunto lo aliena in una dimensione di logica oggettiva che vede come estrinseca e fuori da sé. Ma non viene il Nulla dalla categoria dell’essere e neppure l’essere del nulla viene dalla categoria dell’esere e del divenire, in quanto l’Essere, il Divenire e il Nulla vengono dal pensare, dall’essere e divenire in quanto libertà assoluta dello spirito assoluto, in quanto manifestazione estrinseca in una dimensione nella quale esso si pone in una condizione dubitativa aperta al sistema (anche nell’assoluto!), per cui riproduce indebitamente e regressivamente l’Essere, il Nulla e il Divenire, dalle cui categorie aveva preso le mosse la coscienza naturale tramite però un percorso di carico-scarico tensionale. Solo che non si ha più dinanzi una orizzontalità esterna o interna, ma si ha un interno-esterno all’interno di un interno e, quindi, si ha una verticalità di relazioni. A maggior ragione si ha un processo psico-dinamico che però non è più pratico, ma noetico ed essenzialistico che non centra l’aporia del sistema hegeliano, per cui il nulla viene a prendere l’Etwas prima che questo sorga. L’Etwas sorge debitamente, poiché congruamente il Nulla è reificato dall’Autocoscienza Assoluta e non perché vi sia un’aporia nel sistema hegeliano. Si vedrà che l’Etwas reificato, che è il Nulla che È, scompare quando di nuovo il Nulla si presenta sotto le vesti dell’Essere. Questo significa che l’Etwas reale ed autonomo anche dalla stessa reificazione della dimensione del Sapere Assoluto, che volontariamente mette in campo una negazione di se stesso in quanto accende il dubbio per i motivi di cui sopra (e come dice Hegel senza il limite l’essere assoluto non può darsi: così esso si dà questo ultimativo limite dell’oggettività noetica reale, perché ancora una volta deve superare l’Intelletto). In una dimensione tuttavia assoluta perché se lo ritrova condensato dentro di sé (in quanto concettualizzato) ma mai veramente superato, bensì solamente rimosso: da qui ricrea “stabilmente” il Nulla Assoluto che È. A questo punto non si può essere d’accordo con Ilchmann nel suo Kritik der Übergang zu den ersten Kategorien in Hegel’s Wissenschaft der Logik; neppure si può essere in accordo sulla negazione in Hegel come assolutizzazione del “non” presente nel giudizio negativo ed astratto da ogni contesto determinato di D.Henrich in Formen der Negation in Hegel’s Logik. Non si può essere concordi con Horstmann nei Seminari Dialettica nella filosofia di Hegel (1978), poiché in questi volumi si tende ad indicare un “nulla assoluto”, al quale Hegel, per poter assegnare differenze ed autonomia al Nulla difronte all’Essere, onde concepire il nascere ed il perire del divenire come passaggio rispettivamente dal Nulla all’Essere e dall’Essere al Nulla, è costretto ad utilizzare e a citare la categoria del “Qualcosa”, la quale in quell’ambito iniziale dell’argomentare logico di Hegel non può essere ancora introdotta e difatti verrà ad essere concettualizzata solo nel capitolo secondo dedicato al Dasein. Ma se non si riesce a dare fondazione al puro nulla, non solo non si avvia ovviamente l’intero movimento delle categorie logiche, ma soprattutto non si costituisce l’ambito di concepibilità di una negazione che prima che esclusione dell’altro sia negazione volta verso se stessa, quale ha da essere appunto la negazione della negazione: quale alterazione costante ed autoriflessa di ogni costante identità (su questo peccato originale della logica hegeliana si veda Ilchmann, Henrich e Horstmann). Poiché tutto parte dal movimento autoriflessivo del negare che trova a sua volta la propria fondazione nella Scienza della Logica, nella tematizzazione del Nulla svolta nel capitolo primo della prima sezione della Dottrina dell’Essere, che si possa concepire il nulla assoluto quale negare assolutamente negativo che non essendo relativo ad altro è negazione pura e non negazione dell’altro da sé, ciò è condizione indispensabile per concepire la negazione della negazione come negare assolutamente riflesso in sé. Ma proprio la fondazione del nulla nella prima triade categoriale di essere-nulla-divenire, trova insuperabili difficoltà nell’esposizione hegeliana. Ora questa funzione della negazione, afferma Hegel, non è opera di una riflessione esteriore: in quanto è movimento dello spirito ab intra e non si può quindi intromettere estrinsecamente la stessa categoria dell’Etwas, questa è la risposta di Hegel alla critica di cui sopra. La negazione è un movimento che parte dalla dimensione più oggettiva della vita, che è l’unione del soggettivo con l’oggettivo. L’unione del personale e dell’impersonale, ossia dell’autocoscienza assoluta della Fenomenologia dello Spirito, è da lì che proviene la negazione reificata come negazione che È. Quindi serviva come autocritica di se stesso in positivo (cioè dal punto di vista speculativo-positivamente razionale, ma solo ancora come momento assoluto e preparatore alla Scienza della Logica). La Fenomenologia dello Spirito è così una sorta di propedeutica alla Scienza, in quanto Sistema della scienza esposto. Se è vera l’interpretazione dell’Annotazione del 1831, emerge che il ruolo della Fenomenologia dello Spirito è declassato a momento preparatorio dell’intero Sistema della Scienza, poiché la seconda edizione della Fenomenologia dello Spirito che Hegel avrebbe dovuto scrivere nel 1832 sarebbe stato un “lavoro autonomo dal tutto”. E come si evince dall’Annotazione del 1831, alla prima prefazione del 1812 della Dottrina dell’Essere, Hegel non avrebbe titolato Prima parte del Sistema della Scienza, titolandola invece con l’espressione: Fenomenologia dello Spirito, seconda edizione. Questo a testimoniare che la Fenomenologia era un primo momento di un sistema rispetto a quello di Norimberga ed Heidelberg, ma in quanto propedeutico e preparatorio. La Fenomenologia dello Spirito viene assorbita poi nell’ Enciclopedia delle scienze filosofiche, ossia nei lavori preparatori delle tre posizioni del pensiero rispetto all’oggettività. La Fenomenologia assume sempre più un valore “preliminare”, tale da introdurre la Piccola Logica prima ancora dell’inizio della Logica e della Filosofia Reale (Natura e Spirito). Ora se così stanno le cose, l’Assoluto raggiunto nella Fenomenologia dello Spirito assume un valore, nella sua parte conclusiva, di Sapere Assoluto, un senso di non perfetta trasparenza con sé. Ossia di una verità non ancora esaustivamente esposta come Scienza del Vero. E quindi il Sapere Assoluto, nella Fenomenologia dello Spirito, è una sorta di Assoluto preliminare. Ecco che allora si deve ricominciare da un’oggettività che la Scienza del Vero, in quanto Sapere Assoluto nella Fenomenologia dello Spirito, non può non riproporre dinanzi a sé come altro da sé, in una incongrua applicazione di questa preliminarietà dubitante ed ipotetica dell’ Assoluto, nel di nuovo riattivare quel percorso processuale di tipo psico-pratico-dinamico che sta nella rimozione-spostamento-proiezione di se stesso come unità di universale, particolare (trattandosi dell’Autocoscienza Assoluta nel Sapere Assoluto fenomenologico) e, quindi, della conseguente reificazione della Negazione assoluta del puro nulla: l’esito della categoria del Qualcosa assunto dal Nulla come qualcosa di ontico. Ma non accade questo perché il Nulla, nella Scienza della Logica, non è relato ad alcunché di determinato (e dunque il puro nulla come negazione assoluta, ininterrotta ed ineusasta attività del negare che nega se stesso, come negazione assoluta ed autorepulsiva non può che non affondare se stessa come negazione negante e, quindi, porsi come qualcosa che non è pur essendo), per cui questa onotologizzazione regressiva ed illegittima semplicemente del Nulla partecipato, come valore semantico-apofantico-logico-predicativo con valore ontologico e reale, non perché non sia relato ad alcunché il nulla e neppure perché vi sia la polemica sull’aporeticità di un Etwas anticipato rispetto ad un Dasein, nel passaggio Essere-Nulla-Divenire, ma perché la Coscienza ha reificato, dopo aver avuto un problema di un Assoluto come preliminare, ed essendo essa stessa Autocoscienza Assoluta nella preliminarietà della Fenomenologia dello Spirito,rimette in discussione e riparte, come una sorta di coscienza naturale, ma appunto assoluta nell’asimmetria di una soggettività e di una oggettività. È chiaro altresì che sul piano del Pensiero Puro categoriale, in quanto puro pensiero logico-ontologico-sistematico, anche il Nulla è sistematizzato come assoluto valore dissolutivo (irrelato ad alcunchè), in quanto si è nell’ambito dell’Idea Assoluta. La circolarità dell’Autocoscienza, nella Fenomenologia dello Spirito rispetto alla Scienza della Logica, termina poiché la Negazione che nella Fenomenologia dello Spirito è riferita a figure determinate sia in termini soggettivi che oggettivi, ora esplica una funzione dinamica ma con una valenza autoriflessiva: poiché la Negazione non ha altri punti di riferimento se non la sua stessa autoriflessività. E quindi il processo (ecco la torsione di Hegel da circolare orizzontale a circolare verticale) di un soggetto che non pensa più l’altro come riferimento determinato a sé, ma pensa l’altro come riferimento determinante a se stesso, in quanto pensa il pensiero pensante e non più il pensiero pensato; come se il pensiero non debba più solamente pensare ad una logica cui si riferisca immediatamente un contenuto. Hegel critica tale atteggiamento del pensiero, poiché è da qui che si svilupperanno le aporie di una logica formale o trascendentale. Anche se quest’ultima inaugura poi la possibilità altra del pensiero come pensiero pensante e che pensando se stesso, non pensa solo un pensiero determinato. Il pensiero pensante è assoluto, in quanto idealismo esso è produttore dell’attività stessa del pensare. Da qui l’esito metafisico del soggetto che è descritto come produttore del tutto. Accade ora che il pensiero pensante possa figurarsi come avvitamento di un pensare inconcludente: l’autocoscienza è legittimata a cogliere l’essenza del pensiero come produzione autofondativa e autoconclusiva di se stessa e del mondo, poiché il pensiero pensantesi riporta la dimensione di una scienza della logica-ontologica e quindi metafisica. La condizione da cui nasce un esito autoriflessivo è quella di un avvitamento del pensiero su se stesso in una dimensione verticalista, con la regressiva ed indebita ontologizzazione della categoria del puro nulla e, quindi, con la reificazione del linguaggio. La logica come autofondantesi tende a cogliere la verità dell’essenzialità pensante come essenza della verità. Cogliere l’essenza del pensiero, significa cogliere la modalità di una Scienza della Logica che connetta il pensare e l’essere il cui intento è quello di pensare la Totalità, poiché non v’è Logica senza categorie logiche che surrettiziamente siano subordinate dalla Sostanza e cioè dall’Essere. Da qui la Logica, in quanto metafisica e scienza della logica, intesa come sistematizzazione del Vero e cioè mediante l’unità di pensare ed essere, che solo un’autocoscienza che pensa come pensiero pensante riesce ad avviare. Ma questo porta ad una riflessività che in modo illegittimo e regressivo entificherebbe il linguaggio. E quindi la categoria del puro Nulla diventa un Nulla che è. Il punto più alto di questa torsione hegeliana, nella Logica dell’Essere, è l’operazione di reificazione alla negazione assoluta che è rispetto alla Fenomenologia, in quanto tragitto pratico-esperienziale a filtraggio dinamico e riferito a figure determinate, è qui invece irrelata da alcunchè di determinato concepita quale attività che nega incondizionatamente: poiché è la negazione pura come negazione assolutamente intenta a negare e, negando indissolubilmente, nega anche la sua stessa condizione di non essere finendosi col porsi. Negando incondizionatamente, non solo nega ogni cosa o termine che voglia limitarla, ma anche soprattutto autoriflessivamente se stessa. Quindi l’espressione linguistica “non-essere”, cessando di avere un normale significato relativo a contesti logico-predicativi e semantico-specifici, assume il senso e lo spessore ontologico di un’Assoluto Nulla concepito come pura attività il cui Essere è costituito dal suo illimitato negare, che non può non negare per la sua illimitata incondizionatezza anche il proprio negare. Qui, invece, l’Essere della negazione assoluta viene prodotto dalla stessa coazione a ripetersi ed autoriferirsi come pensiero pensante, che reifica in modo indebito la struttura stessa del puro Nulla, che diventa “qualcosa”. Tuttavia Hegel, nella seconda Prefazione del 1831 della seconda edizione della Dottrina dell’essere,pensa ad Aristotele: nel senso che, quando Aristotele stila i 12 giudizi logici, sostiene che tali categorie logiche non possono non essere subordinate ed intramate dalla stessa prima universale categoria, cioè la Sostanza ovvero Essere. Cosicchè quando il pensiero pensa, esso pensa già l’Essere. Quindi non è che Hegel reifichi, egli stesso, qualcosa al di fuori di un discorso razionale, ma egli entifica nella dialettica e sviluppa (passando per il movimento della la Relazione-Negazione-Opposizione e Contraddizione non più riferito, tale movimento, a contenuti determinati, ma riferito a se stesso come autoriflessività) l’indebita ossificazione del puro nulla. In realtà tale ontologizzazione è nelle cose del Sistema della Scienza. Poiché la premessa è quella di un Pensiero non che pensi gli oggetti, ma che pensi se stesso come oggetto e come pensiero che È: questo suo Essere è l’Essere nella sua totalità e non nel senso di determinazioni finite e molteplici, come sul piano Fenomenologico. Questa dimensione Hegel la giustifica nella Prefazione alla seconda edizione del 1831 alla Dottrina dell’Essere, quindi non c’è un’improvvida anticipazione della categoria dell’Etwas come anticipazione del Dasein del capitolo secondo. Hegel non può introdurre una categoria che non sia prima già stata sviluppata, poiché porterebbe al collasso il sitema dialettico. È impossibile che l’andamento dello Spirito preveda un’intromissione di una categoria non ancora autosviluppatasi. Ora Cieswosky, nella sua trattazione titolata Storiosofia della Filosofia, afferma che la categoria del futuro non esiste presso Hegel, in quanto determinazione all’azione, alla trasformazione e all’atto. Mentre solo la filosofia post-hegeliana sarà quella dell’azione, portando a quattro le distinzioni nell’ambito della storia della storiografia filosofica, quindi, la filosofia della storia di Hegel e le epoche storiche, identificando nella Volontà la categoria dell’Atto o dell’azione. Questo per dare più “carne” al Soggetto e all’Autocoscienza hegeliana, per renderla meno astratta. Avrebbe ragione Hegel a immettere il futuro nella dialettica, ma così non è. Cieskosky e i giovani hegeliani in genere, non avrebbero posto tale problema se avessero interpretato il passaggio della Scienza della Logica di Hegel come una sorta di ritorno dal futuro: ritorna dal futuro la categoria dell’etwas che Hegel anticiperebbe. Lo stesso Trendeleburg, nelle Ricerche Logiche (1840, opera dedicata alla Scienza della Logica di Hegel), sosterrebbe che Hegel anticipi lo stesso Divenire o passare, mutuandolo dall’esperienza empirica della coscienza. Ma se così fosse la stessa critica a valenza metafisica-astratta delle categorie, si capovolgerebbe in “qualcosa di empirico invece c’è” nella Logica hegeliana. Non si può parlare di indebita reificazione da un lato, poiché essa è già contenuta nel manifesto stesso della Logica hegeliana. Se, invece, si parla di ontologia hegeliana, è da riferire al fatto che la tradizione aristotelica giustifica la consistenza ontologica delle categorie logiche. Ma se non si volesse tenere conto di ciò che precede estrinsecamente il Sistema hegeliano, l’Etwas non sarebbe comunque anticipato, ma sarebbe solo l’esito scettico dell’autocoscienza assoluta, che alla fine del sapere assoluto rimette in discussione se stesso come unità d’identità di universale e particolare. Ricominciando come una sorta di coscienza naturale a reinvestire, attraverso un campo tensionale di carico-scarico, la dimensione di una relazione psico-dinamica sotto la condizione assoluta (verticistica e verticale) tra sé e l’altro di sé, poiché ricomincia a riproporre quello schema tra rimozione-spostamento-proiezione che è di tipo psico-dinamica, ma ad un livello astratto-apofantico-predicativo e, quindi, verticale-circolare. Questo puro nulla, concepito come pura attività, mantiene come Essere non l’essere, poiché non si dirige al divenire qualcosa, ma solo a divenire. Non si può, infatti, affermare che il Nulla diventa Essere, ovvero che il Nulla venga ad essere ontologizzato. Semmai il Nulla viene ad essere attivato o attività pura, il cui essere è l’illimitato negare. Se il centro del pensiero pensante è il centro del pensare l’essere, non più nella dimensione statico-contemplativa-analitica (Aristotele, per il quale pensando le categorie si arriva a pensare ciò da cui le categorie provengono, ossia l’Essere), ma si pensa in primo luogo la dimensione dinamico-prassistica del pensare nella legittima condizione di interpretare il pensiero come Atto o Azione e non come Essere conoscitivo, ma in un senso trasformativo del pensiero che pensa se stesso, ossia attuativa. Ebbene il pensiero assume il senso di una circolarità in atto (logico-pratica o realtà in atto), l’Essere del puro Nulla è il fatto che esso sia pura attività e non già il fatto che esso sia Essere. Ma questa pura attività che è costituita dall’illimitato negare e che nega necessariamente ed assolutamente, deriva dalla “Logica stessa della Negazione” ad essa intrinseca e non attribuita all’essere. Nel senso che la negazione è non perché è, ma perché nega e quindi è. Ossia aldilà delle limitazioni nei giudizi negativi (differenza, contrarietà, negazione reale, ripugnanza reale positiva o contraddizione), si ha che il negativo nega assolutamente aldilà del valore del giudizio, ad esempio la mela non è rossa. Ossia, anche in una dimensione di un giudizio singolare dell’esperienza (la mela non è rossa) con un riferimento logico-predicativo-semantico ad un contenuto o contesto fenomenologico, “la mela non è rossa”, la condizione di un’apertura totale, tramite un elemento di giudizio empirico-singolare, a tutta la potenza illimitata infinita del negare. Nell’esempio “la mela non è rossa” v’è l’incondizionato Universale ed infinito atto del negare. Affermando che la mela non è rossa, si afferma che quel “non” è sempre attivante di tutta l’immane potenza del negativo. Da qui la negazione assoluta è sempre presente e non essendo, così, un’indebita ontologizzazione. Perché è presente in ogni singolo giudizio negativo. La negazione, anche se determinata, apre le porte all’infinito atto della negazione. Ecco l’infinito nel finito: la negazione che è finita, in quanto infinita. Da qui l’Unità degli opposti. Quando questo accade a livello noetico e non sul piano fenomenologico-apofantico, si ha la stessa condizione. Ma mentre a livello processuale dinamico psico-fenomenico si ha un contenuto determinato da cui partire, nel contenuto astratto l’Essere è dato dalle stesse categorie e, queste, aprono con la negazione all’infinito e all’unita di Pensare ed Essere. L’Essere o essenza del pensiero e, quindi dello Spirito, è il NEGATIVO. Nella Logica, la negazione non è negazione pura per il fatto che non è relata ad altro (vs Finelli-Parricidio mancato-Hegel introduzione), poiché se la negazione pura dipendesse dal fatto che essa è tale poiché non è riferita ad altro, si direbbe che tutto lo spirito e tutta la dialettica in quanto automovimento della negazione della negazione è pura, poiché senza Essere (facendo scomparire di colpo la Logica dell’Essere che non sarebbe a questo punto) si direbbe che non dipenda da alcunché di determinato. E se così fosse, non si avrebbe neppure la critica di Trendelemburg all’Etwas e al Dasein anticipato e presupposto da Hegel, poiché ancora la negazione pura nega a partire da se stessa e non a partire dall’altro e la negazione della negazione è la stessa negazione pura. Inoltre, avremmo che la monotriade categoriale Essere-Divenire-Nulla non può fondare il Nulla, poiché il Nulla è già negazione della negazione autofondantesi e non già fondato per difetto: ossia il Nulla che è non è fondato dal fatto che esso non ha alcunché di determinato per riferirsi e quindi è astratto nulla, oppure perché il puro nulla sia fondato dalla negazione della negazione, o perché il puro nulla è fondamento della negazione della negazione. In realtà negazione della negazione, negativo del negativo, puro nulla o assoluto nulla sono autofondantesi, in quanto sono l’essenza o l’essere dello Spirituale. Si scrive che Hegel debba poter assegnare differenze ed autonomia al Nulla di fronte all’essere. Onde poter concepire il nascere ed il perire del Divenire come passaggio dal Nulla all’Essere e dall’Essere al Nulla. E quindi è costretto Hegel a citare la categoria del Qualcosa, la quale in quell’ambito iniziale dell’argomentare logico di Hegel non può essere ancora introdotta, se non concettualizzata dal Nostro solo a partire dal capitolo secondo dedicato al Dasein (Mario Cingoli). Ma in realtà, Hegel non deve assegnare differenze ed autonomia al Nulla, poiché il Nulla è esso stesso autofondazione in quanto negazione della negazione; difronte all’Essere, il fronte dell’essere non è il Nulla ma è il Pensiero in quanto nulla. Ecco perché, scrive Hegel nella partizione generale dell’essere sortendo meraviglia, afferma che l’Essere è anzitutto determinato non in sé o in quanto tale, bensì contro altro. Tale affermazione deve essere letta come ciò per cui l’essere è in realtà in sé il suo opposto, ossia è Nulla. Se così è, allora il Nulla è il fondamento dell’Essere. Al nulla si riconosce già in sé la propria auto-funzione di negazione rispetto al fatto che nient’altro può fondare i Nulla e determinare l’essere del nulla. L’essere non è difronte al Nulla, per poi permettere il passaggio al divenire e quindi dal nulla all’essere e dall’essere al nulla. Ma non è quindi l’ontologizzazione del nulla a partire dall’essere: questo spiega il fatto che l’essere non fonda il nulla. Ma l’essere del nulla non è l’essere dell’essere, ma è l’essere dello spirito che è attività negante, ossia negazione della negazione: ma da ciò esso è pura attività in quanto essenza o essere del nulla. Quindi non si ha il bisogno di prendere l’essere dall’esterno per caricare il nulla di un significato, perché altrimenti il nulla sarebbe fondato dall’essere. Ma se così fosse si otterrebbe un presupposto rispetto alla negazione della negazione. Ossia di nuovo, la negazione della negazione sarebbe fondata da un Essere. La Negazione della Negazione, cioè il puro Nulla, è autofondato dalla sua stessa attività, in quanto l’attività del puro negare è l’Essere o l’Essenza dello Spirituale, in quanto negazione della negazione. L’essere è già quindi differente ed autonomo. Poiché è autonomo dal Nulla, poiché l’Essere non è l’Essere del Nulla, ma è appunto l’Essere incongruamente posto come Aristotele aveva dichiarato, ossia alla base delle categorie Logiche c’è l’Essere o Sostanza. Hegel non fa altro che riprendere tale dimensione del pensare dell’Essere. Se il Nulla avesse bisogno di una carica positiva non la prenderebbe dall’esterno o da un etwas che ancora non c’è, ma la prende, in quanto essere del nulla, da se stesso, come verità del Nulla. Ecco che la differenza e l’autonomia dell’essere di contro al nulla è posta dallo stesso intercalare dell’essere e non dalla necessità di dovere ontologizzare il Nulla. Il passaggio di Trendelemburg non è ancipite nel fatto che si possa concepire autonomia al Nulla di fronte all’Essere attraverso un’indebita sostanzializzazione del Nulla, ma semmai, è il contrario. Attraverso la sostanzializzazione dell’Essere come momento estrinseco rispetto all’attività intesa come Essere-Essenza del Nulla, ad autoprodursi come Essere, che infatti deriverà dal Nulla e non perché il Nulla si porrà come Essere rispetto ad un altro Essere. Altrimenti si avranno due “Essere”: poiché si scoprirà come Essere, non come verità ed essenza dello spirito (Essere o Essenza dello Spirito è la negazione della negazione in quanto Essere insieme Nulla, ma in quanto altro dall’essere del nulla). E quindi si produce intellettualmente e in modo incongruo, la possibilità di un essere e di una Sostanza estrinseca dalla stessa Sostanza in quanto essenza del Nulla o Essere del nulla in quanto attività, ma appunto come ulteriore essere reificato in modo indebito dalla soggettività assoluta o autocoscienza assoluta della Fenomenologia dello Spirito. Il “passare” non è un transito esperienziale, ma è il fluire dello Spirito, che in modo indeterminato fa passare il divenire come passaggio dal nulla all’essere e, da questo, al nulla. La categoria del qualcosa quindi non è anticipata in Hegel, ma è lo stesso scorrimento reificatorio dell’autocoscienza assoluta come esito della Fenomenologia dello Spirito. Esso vede qualcosa, poiché se medesimo attiva quella dimensione intellettuale non volta alla scissione, ma questa volta all’unità attivata dalla sua stessa universalità e quindi unità di universale e particolare. Sulla questione per la quale, secondo alcuni, non si riuscirebbe a dare fondazione al “puro nulla”: si ricorda qui che il “puro nulla” non può essere fondato, poiché altrimenti sarebbe fondato l’intero Spirito. E quindi il Concetto non sarebbe il Vero o l’Assoluto. Il puro nulla è in quella dimensione autoriflessiva sicuramente metafisica, la dimensione di un pensiero pensante in quanto negazione. Quindi si può dire che il pensiero che pensa se stesso, diventa il negativo che nega se stesso. Il pensiero pensante in Aristotele che pensa astrattamente, è il negativo che nega in Hegel. A differenza di Aristotele il negativo che nega in Hegel è negazione della contraddizione e quindi positività, poiché il determinato è prodotto dallo stesso concetto. Il determinato è originario ed organicamente originario dello stesso Concetto. Quindi è vita e Spirito. Aristotele invece teneva fuori attraverso una riflessione formale. Si afferma che: “soprattutto non si costituisce l’ambito di una concepibilità di una negazione che prima che esclusione dell’altro, sia negazione volta verso se stessa, quale ha da essere la negazione della negazione. Quale alterazione costante ed autoriflessa di ogni presunta identità”. Ossia sembrerebbe esserci un’ulteriore aporeticità. Se la negazione della negazione è la verità della dialettica o Spirito e, quindi, la verità in quanto negazione che nega assolutamente, in quanto l’essere o l’essenza del negativo è il fatto che nega assolutamente, come mai prima, nella Fenomenologia dello Spirito, si aveva una negazione che prima di negare se stessa, negava prima il determinato o altro da sé? Senza capire che il meccanismo non cambia: la negazione della negazione è sempre in atto anche in termini fenomenologici. Semplicemente la rappresentazione di una coscienza naturale e di una autocoscienza reale fa in modo, per quella ineliminabile alterità che è la realtà stessa, se si è su di un piano psico-dinamico, l’altro è già immediatamente quel negativo per cui si può dire che l’essenza della negazione della negazione, non è la negazione pensante come negazione assoluta, ma è l’altro che detiene la possibilità di attivare la negazione della negazione. Ma di nuovo allora la negazione della negazione sarebbe fondata dall’altro e quindi non sarebbe autofondativa? In realtà è autofondativa mediante la negazione dell’altro, in quanto figura determinata nella fenomenologia dello spirito. Ma questo non esclude il fatto che il motore della negazione della negazione viene prima del “mosso”, cioè dell’altro negato e che quindi la struttura della logica, una volta tolta l’oggettivo dinanzi al soggetto, esca in tutta la sua grandezza e purezza. Ma dall’altro lato nella fenomenologia dello spirito, lo spirito riconosceva l’altro, non in quanto fosse un alcunché, ma perché riconosceva nella dinamica dell’altro quello stesso movimento della negazione, che negava come essa stessa negava l’altro. Quindi si fa sempre riferimento alla negazione assoluta: che poi tale negazione assoluta sia contenuta in una dimensione “fisico” o sovraindividuale (extra-fisico) è, appunto, nella considerazione che la negazione della negazione è assoluta. Cioè è lo stesso Spirito assoluto, così attraversa tutte le dimensioni del reale. L’essere o l’essenza della negazione (negativo del negativo) è la negazione stessa, in quanto attivante. Quindi non ha bisogno di cercarsi un essere per porsi in modo positivo, da cui poi partirebbe la dialettica. Cioè se non diamo un esito positivo al nulla, non partirebbe la dimensione del passaggio dal nascere al perire; e cioè la vita stessa in quanto spirito: ma se così fosse il puro nulla non avrebbe come essere la negazione della negazione. Quindi ce l’ha da sé l’essere: poiché la negazione della negazione è l’essere o essenza dello spirituale, in modo astratto, ma lo è. La negazione della negazione, d’altronde, sul piano fenomenologico, è negazione dell’altro come altro da sé, poiché riconosce un duplice essere: l’essere del negativo che nega in quanto essenza. Ed è quello stesso che è autofondativo del nulla come “assoluto nulla” nella Logica dell’Essere. E l’Essere dell’altro. È chiaro che la negazione della negazione, essendo il vero essere e non quello estrinseco dell’altro da cui non può essere fondato, nega quell’essere. Quindi come si fa a dire che il nulla prende dall’esterno il proprio Etwas e derivarlo da un Etwas come altro? È come se la negazione della negazione, sul piano fenomenologioco di una coscienza, prenda dalla Sinnliche Gewisseneit, vero quel certo o certezza sensibile. Che sarebbe l’essere. Infatti, la coscienza naturale all’inizio farà così, ma subito si vedrà che nell’oggetto della percezione questa cosa sarà negata. Fino a che, nell’intelletto, la condizione di un oggetto è data o predisposta dal soggetto stesso. Se se ne accorge una coscienza naturale, come fa a non accorgersene lo spirito assoluto? E quindi l’essere in quanto essere che è il negativo. Si è detto già che se il pensiero in Aristotele è il pensiero che pensa se stesso, a questo fa riferimento la negazione che nega se stessa. Ma quest’ultima in Hegel, rispetto al pensiero pensante in Aristoretele, che è lo stesso, vi è il dato positivo che è incluso in quanto negazione della contraddizione, mentre in Aristotele non v’è. L’essere già è inclusivo del nulla. Quindi può dirsi assoluto il nulla come l’essere assoluto. E l’altro essere che ha dinanzi è il secondo essere del nulla, come l’altro era tale della negazione della coscienza negatrice naturale. Quindi non è che bisogna positivizzare estrinsecamente il nulla per dargli una posizione ontologica, poiché la posizione ontologica del nulla è presso se stessa, siccome l’essere del nulla è il suo stesso negare in quanto attività, ed in quanto attività è anche “divenire”. Infatti trapassa nell’essere. Ma questo essere, richiama il secondo essere, quello di fronte al nulla, poiché il vero essere è il cuore stesso del nulla. Il secondo essere o non vero è prodotto dall’intelletto incongruamente. Poiché il pensiero non sentendosi assoluto (in quanto ancora in parte rappresentativo come da esito della fenomenologia dello spirito) non può non riprodurre e reificare fuori di sé quella stessa unità o universalità che ha già presso se stessa, ma che non vede ancora esposta compiutamente e che quindi ri-sostanzializza con un essere fuori dal nulla e, quindi, di nuovo con un essere che pare fuori dal nulla medesimo. C’è questa sorta di dissociazione con sé dell’autocoscienza assoluta che dissocia il vero essere del nulla dal nulla dandogli una positività estrinseca (colpa della dissociazione mentale dell’autocoscienza e non dell’anticipazione nel sistema dialettico dell’Etwas. Ed il secondo Essere, che è quello oppopsto da sé, è quel nulla che comunque vedendosi come totalità con sé, ma in modo indebito: cioè nulla più essere produce un altro essere. Diciamo che il primo essere del nulla, è l’essere del nulla per-noi. Cioè per come non si deve pensare il nulla come aggiunta di essere, ma che nulla sia l’essere in sé per sé. E il secondo essere, quello altro del nulla, non è che il risultato della cosificazione proiettata. Quindi diciamo che il primo Essere del Nulla, in termini di Etwas, è la rimozione dell’autocoscienza assoluta del Nulla alla quale va aggiunta una positività: quella dell’essere e che Trendelemburg aveva creduto invece essere stata anticipata, non vedendo che è invece l’essere proprio del nulla. Questa è la prima ontologizzazione o rimozione della coscienza (sulla oggettivizzazione originaria stessa dell’essere nel nulla). Questa rimozione del nulla, in quanto negazione della negazione, prioetta anche questo essere, non solo dentro di sé come ontologizzazione indebita, ma anche come proiezione fuori si sé (ecco il secondo essere). Quindi nella monotriade si ha una dimensione dualistica dell’Essere, prodotta indebitamente da un’autocoscienza assoluta in quanto negazione della negazione, che è il puro nulla. Quindi si ha non una triade ma una quadruplice categorialità o logica quadrivalente: un Nulla, un primo Essere, un secondo essere e un divenire.